Francesco Lorusso, gli anni di piombo e l'eco dei momenti oscuri

14 Marzo 2013 /

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di Francesca Mezzadri e Daniela Belfatto
Qualche giorno fa era l’anniversario della morte di Francesco Lorusso, l’11 marzo del 1977, durante i moti studenteschi che esplosero nella città di Bologna, vale la pena rispolverare questo documento che risale al 2007, L’eco dei momenti oscuri: voci rilette 30 anni dopo (file pdf) che raccoglie gli interventi del consiglio comunale di Bologna in occasione dei “fatti” di marzo e di settembre del ’77. Come appare scritto nella prefazione del documento, “leggendo le parole del sindaco e dei consiglieri comunali di sinistra, di centro e di destra, si percepisce una distanza abissale della Politica dai movimenti di lotta e un’ostilità profonda per le rivendicazioni degli studenti. (…) C’è il terrore che i bisogni dei giovani possano demolire, con l’Ordine costituito, la grassa tranquillità della città rossa per eccellenza”.
L’obiettivo del documento, uscito 30 anni dopo la morte di Lorusso, era quello di trasmettere tracce di una memoria storica diretta degli avvenimenti e di fornire una sorta di analisi, seppure sommaria, di quello che successe “dopo”, condotta a partire dal punto di vista di due studentesse universitarie di “oggi”. Le conclusioni alle quali l’analisi è giunta evidenziano soprattutto una tangibile distanza tra il mondo delle istituzioni e della politica, da quello dei giovani studenti, distanza di parole, di linguaggio, di pensiero. Una distanza che ancora oggi, dopo 36 anni, pare non si sia colmata.

L’eco dei momenti oscuri: voci rilette 30 anni dopo
Ci sono molti modi per ricostruire un passato che non si è vissuto, la cui eco arriva fino ai giorni nostri attraverso le canzoni, i libri, le pagine di giornale e i racconti di chi lo spirito dell’epoca ha vissuto. Il 1977 esercita ancora un forte fascino sulle giovani generazioni, soprattutto su coloro i quali, come noi, si trovano a vivere da studenti universitari questa città, amata e contestata, la quale ci offre spazi di espressione, di dissenso, di arricchimento culturale, di crescita. L’eco di quegli anni arriva fino a noi, attraverso le mura e i portici della città, che ancora oggi portano i segni e le ferite di un momento storico importante, un momento di continuità e al tempo stesso di frattura rispetto al passato e di cui cerchiamo ancora oggi di ricostruire il significato.
Fotografie, convegni sulle radio libere, interventi di intellettuali e libri: l’Università di Bologna ci ha offerto diverse volte momenti di riflessione su quanto accaduto, in chiave di insegnamento e al tempo stesso di denuncia, perché i problemi vissuti dai giovani dell’epoca, la mancanza di fiducia nel futuro, le discriminazioni sociali, la crisi dei valori e la rivoluzione culturale sono temi sempre attuali e che ancora oggi ci troviamo ad affrontare, tra aule universitarie e piazze.
Spesso però la visione che di quel mondo ci viene offerta proviene da alcuni soli dei suoi protagonisti, quei giovani oggi adulti che hanno incarnato quello spirito di contestazione e quella rivoluzione intellettuale, declinandole ciascuno secondo la propria concezione di “partecipazione” e di “dissenso”. Mancava, ad un quadro seppur sempre incompleto, la voce delle istituzioni di Bologna e di quanti, esponenti politici di colore e orientamento diverso, si sono trovati in quel momento difficile a governare la città.
Ecco perché ci è parso utile ed interessante avere a disposizione i discorsi pubblici ed”istituzionali” di quanti, sindaco e consiglieri, hanno espresso il proprio punto di vista, hanno tentato di difendere Bologna e le sue tradizioni democratiche, si sono trovati a decidere quale messaggio veicolare ai giovani e agli studenti, ai cittadini e ai commercianti, alle forze dell’ordine e al paese intero.
Ci è sembrato di sentirle quelle voci, quei dibattiti, e senza pretesa di ricostruire nella sua globalità un quadro politico ed istituzionale che ci è lontano geograficamente e culturalmente, abbiamo cercato di rivivere lo stesso spirito, e, leggendo tra le righe dei vari interventi, abbiamo delineato quelli che, a nostro parere, sono gli aspetti più importanti e le parole chiave che hanno connotato il quadro interpretativo dei dibattiti in Consiglio comunale sui fatti di marzo.
Abbiamo cercato quell’eco che ci aspettavamo di trovare, abbiamo cercato in questi dibattiti la forza che le foto e i racconti sul ’77 hanno trasmesso all’immaginario collettivo delle giovani generazioni di oggi. Ci aspettavamo delle prese di posizione forti, di denuncia, ci aspettavamo dei veri e propri schieramenti. Ma il linguaggio dei politici non è quello dei giovani e dei movimenti e la reazione delle istituzioni, soprattutto di quelle locali, non poteva non tenere conto di molteplici istanze e diritti e non poteva non cercare, nei toni e negli atteggiamenti, una qualche moderazione e mediazione, nonché una qualche immagine di unità, almeno riguardo alla difesa delle città e delle sue istituzioni democratiche.
Non abbiamo perciò individuato, come ci attendevamo, prese di posizioni forti, e dibattiti accesi, non più di quanto possiamo assistere oggi in dibattiti politici tra schieramenti e fazioni diverse, su temi di portata forse ancor meno rilevante degli avvenimenti che hanno riguardato Bologna nel marzo del 1977. Premessa quella che può apparire una constatazione forse ingenua, ma proveniente da una lettura il più obiettiva possibile del materiale a disposizione, abbiamo rivissuto i dibattiti e i loro personaggi, abbiamo individuato i momenti di convergenza delle posizioni, così come le conflittualità latenti e manifeste, ci siamo stupite di alcune mancanze nei vari interventi, in quello che ci aspettavamo essere una ricerca di responsabilità e cause, una presa di coscienza degli errori politici commessi, una presa in carico delle conseguenze, con “serena coscienza”.
E invece ci ha stupito – complice naturalmente la retorica tipica di ogni dibattito pubblico in consiglio comunale – una certa uniformità delle posizioni, la mancanza di un certo coraggio politico nell’affermare le proprie opinioni, un certo arroccamento difensivo, a tratti campanilista, al di sotto del quale solo alcune voci singole hanno tentato di andare oltre la difesa e di scendere in un’analisi del quadro politico, sociale e culturale nel quale collocare e cercare di comprendere i fatti.
Ci saremmo aspettate, nelle “poche” parole rivolte a Francesco Lorusso, studente vittima, se non della mano di un singolo, della crisi e delle contraddizioni di un’epoca, meno pietas e più riflessione politica, meno accuse rivolte a nemici “isolati” e più capacità di assumere le responsabilità di una gestione politica non sempre capace di anticipare i cambiamenti o di rispondere alle istanze avanzate, meno omissioni e più onestà intellettuale, meno vittimizzazione e più capacità di analisi.
Detto questo non ci sentiamo, attraverso l’analisi di soli pochi verbali e attraverso una conoscenza comunque non completa di fatti e personaggi, di esprimere alcun giudizio politico o di merito. Abbiamo cercato, da neolaureate e studentesse che si trovano a vivere una crisi di fiducia nel futuro, lo spirito dell’epoca, e abbiamo cercato di comprendere i nostri predecessori, quei giovani che hanno lottato per far sentire la loro voce di dissenso ed esasperazione. Cercavamo perciò, negli interventi del Consiglio Comunale rivolti ai fatti di Bologna, appunto i “fatti di Bologna” e una loro analisi.
Ci è sembrato si sia persa l’occasione, in queste sedute, di un confronto e di una riflessione approfondita sugli avvenimenti accaduti. Al tempo stesso comprendiamo la difficoltà di quanti, sindaco e politici, rappresentanti di tutti i cittadini e delle loro diverse istanze e diritti, si sono trovati a prendere delle decisioni in un momento di profonda crisi, cercando di non alimentare il clima di tensione attraverso prese di posizione forti, e al tempo stesso evitando di addentrarsi in una difficile ricerca di responsabilità individuali. La violenza irrazionale, denunciata negli interventi, incontra anche il nostro dissenso e non rientra certo tra gli strumenti di quella che noi consideriamo partecipazione e contestazione politica.
Eppur forse ci saremmo aspettati noi, giovani e non politici di professione, di ritrovare in quelle parole, e pur nel quadro retorico necessario in un consiglio comunale, una maggiore capacità di comprensione e di analisi, evitando il ricorso a generalizzazioni indiscriminate nell’affrontare dinamiche troppo complesse per essere ricondotte a un braccio di ferro interno alla sinistra, alla deriva di valori etici, o alla reazione di frange isolate di teppisti.
Gli “uomini delle istituzioni” hanno il compito e gli strumenti per comprendere la portata politica, sociale e culturale degli eventi e delle situazioni che si trovano a dover amministrare: ci saremmo aspettate che gli uomini – visto che solo di uomini erano gli interventi trascritti – che si sono trovati a gestire i fatti di Marzo ’77 le avessero utilizzate di più, evitando alcune polemiche strumentali e omissioni.

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