di Oana Parvan
Dalla mattina del 27 gennaio i militanti dell’Associazione Inquilini e Assegnatari (Asia) dell’Unione Sindacale di Base presidiano 24 ore su 24 l’ingresso all’ex-caserma Sani di Via Ferrarese 199, luogo degradato nel cuore della Bolognina. Eloquenti gli striscioni colorati che hanno da subito ravvivato l’area parcheggio e il piccolo parco antistante: “La casa è un diritto”, “Caserma Sani: non vendiamola, riusiamola”.
Ma cosa c’entra un sindacato degli inquilini col tentativo di vendita di una caserma militare? Nell’ultimo anno Asia ha calcato le pagine della stampa locale per le ripetute occupazioni di stabili pubblici e privati: prima in via San Donato, poi in via Achillini e, recentemente, in via XXI Aprile, con l’occupazione dell’ex-clinica odontoiatrica Beretta. In tutti i casi, si trattava di edifici disabitati e dismessi da tempo, autorecuperati in poche settimane e resi accoglienti da cittadini italiani e migranti, studenti e precari, alle prese con l’emergenza casa e la disoccupazione dilagante.
Come recita il volantino che i presidianti distribuiscono ai passanti incuriositi: “Ogni anno avvengono oltre 1500 sfratti per morosità. Solo nel comune di Bologna ci sono oltre 10.000 nuclei familiari che aspettano una casa popolare, che non arriverà” (dati delle graduatorie per l’assegnazione di alloggi popolari). Ad ogni occupazione abitativa, la Prefettura ha risposto con sgomberi, denunce e ordinanze di sequestro, mentre il Comune ha tentato di tamponare l’emergenza abitativa inserendo nelle strutture approntate per il Piano Freddo, quindi aperte fino al 31 marzo, un numero consistente di occupanti.
La Sani, il cui funzionamento cessa nel lontano 2003, viene messa in vendita dall’Agenzia del Demanio nel 2010 insieme ad altre 18 caserme bolognesi. Identificata subito come “gioiello del Demanio”, con i suoi 26 edifici su 108.000 metri quadri, che si estendono da via Ferrarese a via Stalingrado, la caserma vale poco meno di 42 milioni di euro e fatica a trovare un nuovo proprietario. Fino ad oggi due aste sono andate deserte e si apre la possibilità di una trattativa privata, ossia di una reale svendita del bene rispetto al suo valore.
“Bisogna proporre con fermezza una difesa collettiva dei beni comuni – dice Giorgio Simbola di Asia – impedire che vengano venduti, che il patrimonio pubblico si disperda. Il presidio nasce per aggregare forze che hanno bisogno di utilizzare questo spazio e sono disposte a impegnarsi nel suo recupero e nella sua gestione, raccogliendo le istanze del quartiere”.
Foto di Gianluca Botta
La proposta che Asia ha avanzato all’Agenzia del Demanio è quella di ricevere una temporanea concessione a uso gratuito dell’area, da articolare in due direzioni: autorecupero – a costo zero per il Comune – degli stabili abitativi, che potrebbero dunque risolvere il problema della casa per molte persone e l’accesso della cittadinanza allo sterminato spazio verde, per la realizzazione immediata del parco pubblico e di orti urbani, che comitati come Casaralta che si Muove – Comitato Parco Subito chiedono da tempo. Risposte incoraggianti alla proposta sono arrivate dal direttore dell’Agenzia del Demanio di Roma, Stefano Scalera, che, come precisa Federico Orlandini (delegato sindacale Asia) “ha confermato la validità della nostra visione, ossia che di fronte all’abbandono e all’inutilizzo possono essere portati avanti progetti che mirano al riuso finché questi beni sono ancora pubblici.” Resta decisiva la posizione del Comune “che non ha ancora concesso una data d’incontro per parlare della caserma Sani”.
Sono gli stessi abitanti del quartiere a ricordare i progetti del Comune, in una video-intervista realizzata dagli studenti che supportano il presidio. Così manifesta la sua disillusione una signora: “Bisogna decidere cosa fare in breve tempo. Noi, all’inizio, avevamo detto che volevamo fare la palestra, con la piscina per i bambini. C’era anche il palazzo della scuola all’interno. Di cose se ne sono dette tante, poi alla fine non si sta facendo nulla”. Il progetto di cui parla la signora intervistata fa riferimento al Piano Strutturale Comunale, previsto per l’area Bolognina Est, che ha fatto parlare di sé nell’ambito della realizzazione di grandi opere, in corso come l’Alta Velocità, o solo in progetto come il People Mover.
Secondo le indicazioni presenti nel Documento Guida del Laboratorio Bolognina Est, gli interessi pubblici e privati si coniugherebbero concedendo “alle proprietà diritti edificatori e destinazioni d’uso più ampie di quelli definiti dal vecchio Piano Regolatore Generale, a condizione che esse accettino e si impegnino a consentire la realizzazione di interventi di interesse pubblico”, tra cui si menziona un’area riservata al verde pubblico, un edificio destinato a diventare scuola materna ed eventualmente una biblioteca. La domanda che sorge spontanea è chi saranno i realizzatori di queste opere e a quale prezzo? La vendita della Sani ai privati in cambio della realizzazione di piccole isole di bene pubblico è l’unica possibilità di riqualificazione dell’area? O forse non sarebbe meglio sperimentare soluzioni che renderebbero al Comune e alle sue casse disastrate ben più che 42 milioni di euro, almeno in termine di benessere sociale e ricchezza collettiva?
Ma queste domande investiranno senz’altro le polemiche del futuro. Ad oggi, invece, quello che emerge da quest’esperienza nella Bolognina del 2013 è che i bisogni degli abitanti sono tanti e che esistono le forze necessarie per dare delle risposte rapide, senza onere per il Comune e nell’interesse generale della cittadinanza.