Ancora sulla fortuna delle parole: "Facoltà"

17 Gennaio 2013 /

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Foto di Renata F. Oliveiradi Maurizio Matteuzzi
La legge 240/10 o “riforma Gelmini” che dir si voglia (noi non vorremmo, ma si deve) ha previsto, tra le altre molte (troppe?) cose l’abolizione in via definitiva delle facoltà. Al loro posto le “scuole”, o, come dice qualcuno, le schools, più esotico. Interessante: lo si dice in inglese, per quanto la parola sia di origine greca (da scholàzein, avere tempo, riposarsi fisicamente, oziare), poi latina, poi italiana e, se vogliamo, neolatina: esiste quasi uguale in spagnolo (escuela), in provenzale (escola), nel francese antico (escole) e moderno (école), in rumeno (scoala), in portoghere (escola).
Direi che una parola più neolatina è difficile da trovare. Tant’è che l’hanno fatta propria anche gli anglosassoni; e noi, furbi, gliela prendiamo indietro, ma detta a modo loro. Sta di fatto che ora esistono i dipartimenti, che si raggruppano in “schools”; lasciam pure agli psicologi il quesito di cosa avesse la Gelmini, o chi per lei, contro la parola “facoltà” di tanto grave da cancellarne l’uso plurisecolare e universale (non so di altri stati che abbiano atenei privi di facoltà; anyway…). Non è un gran male, in fondo possiamo consolarci con le “schools”.

Parola sfortunata, dunque, “facoltà”. Da facultas, latino, indicante potenza, attitudine, capacità, dalla cui fressione (facultatem. facultate) derivano in italiano prima facoltade e poi per troncamento facoltà. Ora ne siamo privi, pazienza: ci siamo fatti una ragione di tante cose, sopravviveremo anche a questa.
Ma ecco, attenzione a pensare che eliminare così qualche secolo d’uso e di storia sia facile. Come in quei film dell’orrore in cui il cattivo sembra vinto, è stato colpito con sette pallottole calibro 9, gli è stato spaccato il cranio, è senza un arto, e giace lì immobile per terra, e tuttavia all’improvviso torna su, e afferra feroce ancora una volta la gamba del protagonista (di solito una bella bionda indifesa), così è avvenuto con “facoltà”, resuscitata nell’agenda Monti, ove si legge:

“Bisogna inoltre rilevare per ogni facoltà in modo sistematico la coerenza degli esiti occupazionali a sei mesi e tre anni dal conseguimento della laurea, rendendo pubblici i risultati”

Lì per lì a chi si occupi di linguaggio fa piacere: ecco, vedi, la vendetta delle parole. La Gelmini ti ha ucciso, vecchio verbo consunto e corroso dal tempo? E io ti resuscito: facoltà, alzati e cammina.
Poi però vengono i dubbi, per questa stramaledetta malattia di pensare contro la quale ancora nessun farmaco si è dimostrato completamente efficace (e sì che ne hanno sperimentati ed usati a iosa..). Ma come fa un “professore”, un presidente bocconiano, un ex-rettore, a non sapere che le “facoltà” non ci sono più? Non glielo hanno detto? Ma non c’è uno scriba, nella catena della produzione dell'”agenda” che rischia di condizionarci il futuro, che abbia messo un piede in una università negli ultimi anni?
È del tutto evidente il totale disinteresse per l’accademia, per la ricerca, per la cultura. Non si sa nemmeno come è fatta, non si è nemmeno letta la “riforma” delle riforme, quella per la quale, meglio, contro la quale, migliaia, centinaia di migliaia di ricercatori, studenti, professori sono scesi nelle piazze, sono saliti sui tetti, hanno fatto lezioni in piazza, hanno scritto centinaia di articoli, lettere, proteste, richieste, dichiarazioni. Perché, “professore”, ci chiede di misurare ciò che non c’è più? Come faremo ad obbedirle? Che sia una metafora? Che sia un apologo, una parabola, dobbiamo interpretare?
Facoltà; parente stretto di “facoltativo”, possibile, non vietato. Ma anche di “facoltoso”, dotato di mezzi. Ecco, forse qui sta il nesso freudiano. Si ha in mente l’università dei facoltosi, e così la lingua scappa da sola verso il lapsus. A riprova, il senatore Ichino, da sempre strenuo difensore dell’aumento delle tasse, e quindi di una università dei ricchi, e che i poveracci si indebitino pure fino al collo con i prestiti d’onore, è corso subito a corte, sgomitando per un posto in fila.
Facoltà per facoltosi, facoltativa per gli altri: anche no; di questo ha veramente bisogno l’Italia!

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