Il futuro del Manifesto: un settimanale per il 2013

6 Gennaio 2013 /

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Il futuro del manifesto
Il futuro del manifesto
di Daniele Barbieri
Ogni tanto sogno. Oppure entro – versione fantascientifica – in qualche universo parallelo dove la storia si è biforcata e ci sono piccole differenze: a esempio Pio Laghi si pente pubblicamente prima di morire oppure io salvo uno dei Giovanardi dall’annegamento e lui diventa anti-proibizionista. Ne ho narrato qui in blog sotto il titolo «Il cuscino della notte».
Mi è ricapitato di nuovo. Oggi nella posta ho trovato un messaggio dal futuro cioè datato martedì 19 marzo 2013. Mi arriva dalla redazione de «il manifesto (settimanale)» e ha tutta l’aria di essere l’editoriale: molto concreto perché, immagino io, una più complessa analisi – la «dichiarazione di intenti» – sta all’interno.
Forse voi preferite pensare che ‘sta roba l’abbia scritto io (in trance?) o che si tratti di uno scherzo. Io altro non so dirvi ma tutto è possibile: vedremo, in fondo il 19 marzo è vicino. Ecco il testo ricevuto.

Care compagne e cari compagni, quello in edicola è il numero zero, sperando in una buona primavera. Come sapete il quotidiano «il manifesto» non esiste più, perlomeno per come lo abbiamo conosciuto.
Era inevitabile che un po’ di giornaliste/i (di ogni età) e di chi leggeva quel quotidiano anomalo non si rassegnasse. Così grazie all’aiuto decisivo della sottoscrizione lanciata dai Circoli tentiamo un’impresa controcorrente: un settimanale che resista alle tempeste in corso.
Abbiamo molto da lavorare e forse altrettanto da farci perdonare. Così vogliamo dire le cose nel modo più chiaro possibile.
1 – Abbiamo i soldi per un anno circa (vedi a pagina 47): se a marzo 2014 non avremo tot abbonamenti e tot vendite (vedi pag 48) sbaraccheremo.
2 – Il settimanale è aperto da 4 brevi editoriali e poi si divide in due tronconi. Una parte teorica e una, più cospicua, di inchieste.
3 – Contiamo sulla collaborazione di chi ci legge e dunque annunceremo in anticipo i temi di molte inchieste (quelle evidentemente più di lungo periodo) contando sui vostri contributi e/o suggerimenti.
4 – Le parole indicate con asterisco rimandano al glossario. Dal numero 1 vi sarà una rubrica (speriamo che esca di rado ma temiamo invece la vedrete spesso) intitolata «i nostri errori».
5 – Pian piano costruiremo un bel sito ma per quello andate a leggere la proposta intitolata (alla De Andrè) «Quello che non ho» a pagina 24.
6 – Ancora una volta ci portiamo nello zaino il pessimismo della ragione ma anche l’ottimismo della volontà. Vogliamo uscire uscire dalla preistoria umana sapendo che la ricchezza sociale basterebbe per tutte e tutti se fosse valorizzata, saggiamente utilizzata e ben distribuita.
Tutte e tutti noi qui in redazione (i nomi sono in quarta di copertina) con – lo speriamo – tante/i lì fuori pronte/i “a invaderci”

NOTA PERSONALE
Sono particolarmente affezionato – come ho più volte scritto anche in blog – al quotidiano «il manifesto» (si scrive così, con l’iniziale minuscola) con i suoi pregi e i suoi difetti. Perché lì ho scoperto Eduardo Galeano e tante altre/i. Per il suo coraggio in molte occasioni («teorema Calogero» per dirne una). Perché ho lavorato lì come correttore di bozze, poi scrivendo e per anni come “corrispondente” (mai assunto) dall’Emilia-Romagna. Per i molti articoli scritti con Riccardo Mancini e firmati Erremme Dibbì. Per notizie e commenti preziosi che ho trovato. La colonnina dei difetti sarebbe lunga ma ve la risparmio. Ho sempre pensato che se «il manifesto» fosse stato meno snob e più sociale, scritto in buon italiano e non in specialistese, pensato molto più dal basso e dunque senza paginate sui Palazzi, con tante inchieste vere… avrebbe venduto quel che bastava per vivere tranquillo. Un po’ come mi dicono accade al suo “cuginetto” tedesco.
Se fosse così facile il settimanale «Carta» (altra impresa nella quale ho messo zampa) avrebbe venduto 30mila copie e invece no. So dunque che questo «cuscino della notte» qui sopra non rimanda a un gioco ma a una grande fatica. Però spero che un gruppo di coraggiose/i tenti, che molte/i “giochino”. Come ben sapete le lotte davvero perdute sono quelle che neppure si iniziano. Io ci sto. D’altronde «per costruire un futuro bisogna prima sognarlo» come ricorda Marge Piercy nella testata di codesto blog.
Questo post è stato pubblicato sul blog di Daniele Barbieri

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