di Luca Jourdan
Un’ennesima ribellione è scoppiata nel Nord Kivu, regione orientale della Repubblica Democratica del Congo. Il movimento armato M23 ha conquistato Goma, città ai confini con il Ruanda. I ribelli stanno ora trattando con il governo di Kinshasa e, se le cose procedono senza intoppi, dovrebbero ritirarsi ed attestarsi a 20 chilometri dalla città.
È la solita musica: sono ormai vent’anni che l’est del Congo non conosce pace. Nei primi anni Novanta, quando il paese si chiamava ancora Zaire ed era sotto il giogo della dittatura di Mobutu, esplosero i primi conflitti fra popolazioni sedicenti autoctone e i Banyarwanda per ragioni legate alla competizione per la terra e a dispute sul diritto di cittadinanza (il termine Banyarwanda indica i gruppi di lingua ruandese, alcuni dei quali erano presenti nell’area al momento della definizione dei confini in epoca coloniale, altri sono immigrati nella regione a partire dal periodo belga). Da allora il genocidio in Ruanda (1994), le due guerre del Congo (1996-1998) e la ribellione di Laurent Nkunda (2008) hanno continuato ad alimentare un ciclo di violenza senza fine.
Si tratta di una guerra complessa, che ha causato milioni di morti, e in cui le risorse minerarie giocano un ruolo centrale. I diversi belligeranti si battono per il controllo delle miniere di coltan, diamanti, oro e cassiterite, tutte risorse che dall’est del Congo raggiungono le capitali di Uganda e Ruanda per poi essere vendute sul mercato internazionale. Ma non è questa l’unica ragione: la competizione per la terra e la continua manipolazione delle identità etniche alimentano un clima di odio e paranoia.
L’M23 è un movimento sostenuto dal Ruanda e dall’Uganda e comandato da Bosko Ntaganda, ricercato dalla Corte Penale Internazionale e il cui nome di battaglia ‘terminator tango’ non ha bisogno di essere commentato. Nel 2008 Ntaganda aveva preso parte alla ribellione Laurent Nkunda, che all’epoca si batteva, a suo dire, per difendere la popolazione Banyarwanda dalle milizie genocidarie hutu, ancora presenti nella foresta congolese a quasi vent’anni dal genocidio in Ruanda. La ribellione si era conclusa con l’accordo del 23 marzo 2009 (da qui il nome M23) secondo cui i ribelli avrebbero dovuto essere integrati nell’esercito nazionale congolese, con tanto di stipendio e riconoscimento dei gradi degli ufficiali. Le cose sono andate diversamente e di conseguenza Ntaganda ha deciso di riprendere le armi. Ogni presto è buono nel Nord Kivu, purché la guerra continui.
Ma dal lato del governo congolese le cose non vanno certo meglio. L’esercito nazionale è dedito al saccheggio: i generali congolesi non si sono battuti contro i ribelli, che hanno preso Goma con facilità estrema; per contro sono in competizione fra loro per il controllo delle miniere di coltan e cassiterite della regione. Intanto nel Sud e Nord Kivu le milizie locali stanno nuovamente proliferando. Vi sono ormai più di cinquanta gruppi armati, di piccole o medie dimensioni, alcuni dei quali vedono di buon occhio la nuova ribellione, altri vi si oppongono. Dal canto suo, Il presidente Kabila attraversa un periodo di difficoltà enorme e di perdita totale di legittimità: non solo il suo esercito non è riuscito a fermare l’M23, che conta solo 2.000 uomini per quanto bene armati, ma è ormai assodato che le ultime elezioni, che videro la sua rielezione, furono truccate.
Un altro grande perdente di questa ennesima crisi sono le nazioni Unite che hanno in Congo la missione più grande e costosa della propria storia. I caschi blu, circa 18.000 e ben equipaggiati, non hanno fatto nulla per impedire l’avanzata dell’M23. D’altra parte, la missione ONU non fa altro che riflettere le profonde divisioni della comunità internazione: gli interessi nella regione sono troppi e troppo divergenti.
È probabile che questa nuova ribellione si spegnerà fra poco: all’M23 verranno fatte alcune concessioni in cambio di una tregua. Ma ancora una volta le cause profonde di questa guerra non verranno nemmeno sfiorate.
Luca Jourdan interverrà questo pomeriggio, a Ferrara, al convegno Repubblica Democratica del Congo, un Paese senza Stato