di Paolo Dadini, circolo il manifesto Bologna
Non mi convince il modo in cui si è aperta la discussione sulle pagine del quotidiano in seguito alla pubblicazione dell’articolo di Valentino Parlato e alla risposta dei direttori Rangeri e Mastrandrea. Certo il ritardo con cui si è aperta la discussione sulle pagine del giornale con l’esplicitazione dei contrasti esistenti nel collettivo di via Bargone così a ridosso della scadenza dell’assemblea della redazione con circoli, lettori e collaboratori del 4 novembre, non aiuta a comprendere le articolazioni delle posizioni-proposte in campo e rischia di far diventare la giornata di domenica prossima un rissoso sfogatoio di conflitti poco comprensibili da chi dall’esterno ma con passione partecipativa ha seguito negli ultimi mesi le sorti de il manifesto. Provo sinteticamente a proporvi alcune mie perplessità.
- 1. Ho letto e riletto gli interventi di Rossanda e Parlato come quelli di lettori a nome dei circoli pubblicati sul giornale in questi mesi ed in nessuno di questi ho trovato riferimenti che richiamassero l’ipotesi di far diventare il manifesto un partito. Mi sembra una preoccupazione che non ha ragione d’essere quella di ritenere che ci sia qualcuno che pensa al manifesto come partito. Di più , mi sembra ingeneroso politicamente ed umanamente un pò vergognoso accusare persone come Valentino Parlato e Rossana Rossanda di progetti di tal fatta. Ma, vivaddio, non dimentichiamoci che il manifesto è stato fino adesso e speriamo potrà essere in futuro un giornale di parte (non partito) che “fa politica”. E “dalla parte del torto”. Che oggi, nella drammatica situazione sociale ed economica che stiamo vivendo, vuol dire stare in quel campo confuso, contraddittorio ed ancora pieno di limiti che si oppone alla dittatura del pareggio di bilancio e del fiscal compact. In quest’ottica riconosco la lucidità delle analisi di Rossanda e la sollecitazione di tenere indissolubilmente legate la questione del “di chi è” il manifesto con il “cosa è” il manifesto.
- 2. Anche a me piace trovare ne il manifesto (altrimenti non continuerei a comprarlo tutti i giorni) gli interventi di intellettuali politici che non potrei leggere altrove, oppure per stare sulle pubblicazioni più recenti l’ottima copertura del no-Monti Day ed il lancio approfondito del Forum sociale di metà novembre a Firenze. Ma bisogna avere l’onestà intellettuale di dire che si vendono sempre meno copie del giornale non solo in valore assoluto negli ultimi anni come molti altri organi di stampa, ma anche in riferimento agli ultimi mesi da febbraio quando sono intervenuti i liquidatori. Nonostante il grande sforzo di tutti, redazione come lettori e circoli (la sconfitta ci vede tutti quanti coinvolti), che si sono duramente impegnati in questi mesi le copie sono scese sotto la fatidica cifra di 15000 copie vendute e portano i liquidatori ad anticipare la messa in liquidazione della testata a dicembre invece del previsto mese di marzo 2013. Il giornale attuale può piacerci soggettivamente ma se calano le vendite è la dura legge del mercato che lo boccia: il giornale così com’è non va.
Ed arriviamo così al tema che sarà centrale nell’assemblea del 4 novembre: la messa all’asta della testata in tempi ravvicinati rende obbligatorio entrare nel merito delle opzioni possibili. Da tempo è in campo la proposta di una proprietà diffusa e collettiva (una testa un voto) che salvaguardi l’autonomia del collettivo redazionale.Si sa che circolano ipotesi di compratori esterni. E’augurabile che le diverse ipotesi trovino quel giorno una chiara esplicitazione perché non si può escludere la conciliabilità di opzioni apparentemente distanti. Salvaguardando il legame tra il “di chi è” il manifesto ed il “cos’è ” il manifesto. Auguro a tutti quelli che parteciperanno buon lavoro con un invito che chi non c’è più non avrebbe mancato di inviarci dalla sua isolata Gaza: restiamo umani.