Il futuro del Manifesto: abbiamo già cominciato

25 Ottobre 2012 /

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Foto di Mkarco
Foto di Mkarco
di Norma Rangeri e Angelo Mastrandrea
Questo è il giornale della sinistra plurale: politica, sindacale, sociale, culturale. È un giornale che guarda alla sua storia e molto attento ai cambiamenti in atto; è il giornale che da sempre difende i lavoratori più svantaggiati e i precari; è il giornale dei diritti e della giustizia sociale. È il foglio della sinistra, di tutta la sinistra. È un giornale aperto all’ambientalismo e al riformismo sociale, pioniere nella difesa dei beni comuni. È un giornale che mette insieme i “vecchi” comunisti e i giovani meno ideologizzati e più libertari.
Pensare di difendere la nostra storia senza tenere conto del fatto che le giovani generazioni non sanno neppure cosa voglia dire “comunismo” significa attardarsi in una lotta politica e in una informazione minoritarie. Abbiamo l’ambizione di accompagnare il cambiamento del mondo del lavoro, di raccontarne l’involuzione, di restituire la ricchezza delle mappe internazionali, di continuare a imparare dall’inchiesta sociale, di condividere le esperienze dei nuovi movimenti, di aiutare il compito di ricostruire una sinistra critica, il cui mondo sospettiamo più interessante e ricco di come lo rappresentiamo. Abbiamo un punto di vista radicale, mai settario. Forse a qualcuno questa prospettiva larga non piace. Ci si accusa di non avere una linea: non l’abbiamo infatti, non siamo un partito.

Negli ultimi tre anni, quando abbiamo assunto la responsabilità della direzione (dopo quasi due anni di assemblee sfibranti quanto inefficaci) abbiamo dedicato tutte le nostre energie al lavoro quotidiano. In un momento di crisi pesante per la carta stampata, dovevamo tenere il più possibile stabili le copie, difendere i posti di lavoro e curare la qualità del manifesto, dialogando tanto con l’opposizione interna quanto con la crisi esterna, che mazzolava tutti i quotidiani. A leggere le percentuali di perdita delle altre testate, da Repubblica, all’Unità, al Fatto, con centinaia di giornalisti mandati a casa, possiamo dire di aver affrontato la crisi perdendo copie sì (mentre il contesto si arricchiva di nuovi e agguerriti concorrenti) ma mantenendo un livello accettabile di vendite. I postumi della fine tardiva di Berlusconi, oltre alla crisi più generale dell’editoria nazionale (e internazionale: testate storiche come Newsweek ora sono solo sul web) ha colpito tutti duramente.
Dopo un’estate terribile ora le nostre copie in edicola stanno risalendo, e la stagione politica che ci aspetta ci fa ben sperare, ma naturalmente non ci mette al riparo. L’assenza cronica di pubblicità, i costi eccessivi di una redazione troppo numerosa, da sempre, hanno pesato moltissimo, al punto da portarci alla liquidazione amministrativa. E avendo Valentino Parlato sottolineato questo passaggio nel suo articolo, ricordiamo che se siamo stati confermati dai liquidatori alla direzione del giornale è anche perché non c’era chi fosse disposto ad accollarsi questo peso. Non solo.
Come i nostri lettori sanno, circa un anno fa abbiamo dato le dimissioni: era faticoso, fisicamente e psicologicamente, lavorare senza poter contare sulla solidarietà esplicita di persone che hanno fatto la storia (insieme a questa direzione) del manifesto. Mentre fuori grandinava, abbiamo lavorato con l’elmetto, spesso non per ripararci dai colpi esterni, ma da quelli che venivano dall’interno: questa direzione ha affrontato una opposizione costante. Da qui, nella speranza di favorire un clima più disteso, l’offerta delle nostre dimissioni. Ma neppure dalle fila dei critici più accaniti si è fatto avanti qualcuno disposto a prendersi la responsabilità del giornale in un momento così difficile.
Ci si può addebitare, ed è l’unica critica che ci sentiamo di accogliere, di non avere incentivato un dibattito assembleare interno. Ma, a nostra parziale discolpa, va il fatto di avere lavorato in condizioni drammatiche, con la redazione dimezzata dalla cassa integrazione, e dunque con tempi strangolati. Nulla ha mai ostacolato la possibilità di attivare una discussione da parte di chi più di noi aveva tempo e modo per sollecitarla; imputare a noi di non averlo fatto è singolare. Abbiamo sempre tenuto nella massima considerazione il contributo critico dei circoli, tutti (non abbiamo mai fatto la conta di chi ci sostiene e chi no), come naturalmente di tutte le lettrici e i lettori. Detto questo, il manifesto ha sempre rivendicato a sé la propria autonomia, mai piegandosi a interessi di partito, e quando accadde Luigi Pintor si dimise dal giornale. Vogliamo continuare così. Ben venga qualsiasi contributo, idea, suggerimento, proposta perché il giornale possa vivere oggi, domani e per altri quarant’anni.
Sul futuro esistono alcune proposte di rilancio e di riorganizzazione del giornale. Ne vogliamo discutere pubblicamente. Ma una cosa deve essere chiara: chi ha fatto il giornale nella sua fase più difficile non si farà da parte. E, sarà bene ribadirlo: noi siamo estranei a qualunque ipotesi di nuove società editoriali che cancellino l’esperienza di autogestione della cooperativa. E siamo preoccupati, invece, per l’esplicita ammissione di progetti di appropriazione della testata discussi fuori dalle stanze della redazione. Se i circoli del manifesto raccoglieranno i soldi necessari per aiutarci a ricomprare la testata entro la scadenza dell’asta liquidatoria, tanto meglio. Saremo felici di saltare il passaggio del socio finanziatore. Ma deve essere chiaro che, anche in caso di acquisto, noi tratteremo alla condizione di avere una cooperativa libera e autonoma.
Immaginiamo che la nostra risposta e lo scritto di Valentino Parlato non saranno una piacevole lettura per molti di voi. Avevate pensato che il manifesto, nonostante le difficoltà, fosse unito nella lotta per le magnifiche e progressive sorti della sinistra? Non è così. Ci sono oggi, al nostro interno ­ come del resto è sempre accaduto – sguardi diversamente critici, tanto sulla sinistra che sul giornale da fare. Meglio esibirli apertamente.
Ps: Ci suona pretestuosamente polemico il riferimento di Valentino Parlato al commento nel quale citavamo l’articolo di Rossana Rossanda. Non abbiamo fatto, in quell’articolo, che sottolineare alcuni aspetti della sua analisi sulla quale concordiamo. La prossima volta, se capiterà, scriveremo le stesse, identiche cose senza fare nomi e cognomi.
Questo articolo è stato pubblicato sul Manifesto del 25 ottobre

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