di Sergio Caserta
“L’istante del sopravvivere è l’istante della potenza” scriveva Elias Canetti nel suo storico saggio “Massa e Potere” e aggiungeva che il vero potere si tempera quando si misura con i nemici “dentro e fuori le mura”. Non si potrebbe descrivere con più efficacia la straordinaria difficoltà in cui si dibatte il Manifesto oggi, in lotta per la salvezza e nello stesso tempo predestinato a tenere quella sfida fondamentale nel panorama appiattito della stampa italiana: rappresentare il punto di vista autonomo e critico di una sinistra autentica che ancora non c’è, ma che ci dovrà assolutamente essere.
Se il Manifesto non lavora per un obiettivo di questa portata, oggi che non ci sono più, di fatto, giornali che rappresentino compiutamente, e con la qualità necessaria, una visione e un progetto per la sinistra, a cos’altro dovrebbe servire? Veniamo da un periodo molto complicato, quando è cominciata la liquidazione coatta, che porterà entro la fine dell’anno alla cessazione dell’attività della cooperativa editrice il Manifesto, mesi in cui mentre il corpo redazionale e dei collaboratori affrontava un pesante fardello con la cassa integrazione e il taglio drastico dei costi, tra i lettori attivisti, riuniti nei circoli, è iniziato un confronto serrato su come uscire dalla crisi e, contemporaneamente sono state promosse, con generosità, innumerevoli iniziative a sostegno del giornale.
Questo lavoro è approdato alla formulazione di una proposta di proprietà collettiva, racchiusa in un’ipotesi di statuto di società cooperativa costituita tra lettori e circoli, giornalisti, poligrafici e collaboratori, (ispirata al modello del quotidiano tedesco Die Tazgeszeitung) che si pensa possa riacquistare o partecipare al riacquisto della testata del Manifesto che sarà posta in vendita a fine liquidazione. Purtroppo questa proposta non ha avuto ancora la possibilità di essere vagliata in un confronto tra tutti coloro che sono interessati o interessabili a un tale progetto (sono tanti), anche perché, dobbiamo dirlo, la proposta ha incontrato, nelle discussioni che abbiamo svolto sull’argomento, non poche perplessità e resistenze, in particolare all’interno del collettivo redazionale: forse si è voluto vedere in essa, chissà perché, un pericolo per l’autonomia della redazione nella gestione del giornale.
Questo pericolo sarebbe una certezza se la testata diventasse di proprietà di un qualsiasi privato che, escludendo altri dalla partecipazione, determinerebbe una frattura politica e culturale con la sua storia, la sua tradizione, con l’essenza stessa del Manifesto: abbiamo già subito le conseguenze di alcuni preziosi “abbandoni”. Inesorabilmente con il trascorrere dei mesi, siamo entrati in una fase delicata e decisiva, in cui la questione della proprietà non è più separabile, in verità non lo è mai stata, da un progetto politico editoriale per dare al giornale una nuova prospettiva che porti al superamento dell’attuale situazione drammatica di calo di vendite.
Quest’ipotesi di proprietà collettiva è (però) nello stesso tempo un elemento fondante di un nuovo progetto di giornale, perché solo se si riuscirà a riattivare interesse, partecipazione, entusiasmo per la rinnovata funzione che il Manifesto dovrà riconquistare nel panorama informativo, si potranno acquisire le risorse necessarie alla realizzazione dello scopo prefisso: mantenere il giornale indipendente e autonomo. È uno sforzo culturale, politico, professionale che richiede l’utilizzo delle migliori energie che si potranno attivare, non può servire per questo scopo una visione puramente difensiva e trincerata dentro l’attuale perimetro delle risorse interne; fortunatamente il Manifesto possiede ancora una schiera numerosa di amici e sostenitori tra le migliori personalità della cultura, della ricerca, del pensiero, che possono essere mobilitate.
Ciò però può avvenire solo e in quanto la direzione del giornale, quella che si sarà data alla fine di questa lunga fase di transizione, abbia i requisiti, la visione, la capacità di suscitare (quel)l’interesse e il vasto movimento che è necessario attivare per raggiungere il risultato sperato. Per realizzare un progetto serio forse sarà necessario compiere alcuni passaggi intermedi, l’attivazione di interventi di tipo finanziario che consentano l’avvio in sicurezza di una forte fase di riorganizzazione: quest’ipotesi non può mettere in discussione l’obiettivo di un Manifesto dei redattori, dei collaboratori e dei lettori.
Un piano in tal senso potrà anche essere gestito concordemente; quel che non potrà avvenire è che i lettori e i circoli vengano ancora una volta utilizzati come “gli elemosinieri” ai quali demandare l’ingrato compito di chiedere soldi, in nome della “causa” per poi lasciare le cose andare, com’è avvenuto in passato. “Porgere l’altra guancia” cristianamente una volta può essere consentito, ma farsi riempire la faccia di schiaffi senza costrutto, questo proprio non si può chiedere ancora. Tra i circoli serpeggia ormai un sentimento di sfiducia sulle possibilità di un rilancio del giornale e sulla condivisione di un percorso comune, quindi l’assemblea del 4 novembre a Roma è l’ultima occasione per attivare un confronto vero sulle proposte in campo, per tracciare un percorso seriamente condiviso e concordemente gestito, solo in quel caso potremo dire che questi mesi non sono trascorsi invano.