Patatrack. Ovvero: penso e ripenso all'idea del ministro dell'Istruzione che esterna

22 Ottobre 2012 /

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di Maurizio Matteuzzi, delegato nazionale Conpass
Nei tempi della mia giovinezza mettere in forma scritta una parolaccia era disdicevole in quasi tutti i luoghi possibili. Inconcepibile che fosse poi pronunciata in tv. Gli stessi quotidiani non potevano usare parole come “puttana”, per cui, negli articoli di cronaca, per spiegare certi avvenimenti, si ritrovava la strana espressione “mondana” in sua vece; tanto che io, bambino, facevo fatica a capire. E da qui nacque il riuscitissimo schetck in cui Vianello intervistava Tognazzi vestito da mondina, e questi esordiva: “Sono una mondina; lavoro tutta la settimina”. Oggi in pochi la capirebbero.
L’uso del turpiloquio si è via via fatto strada, e oggi rappresenta quasi una necessità per non soccombere in certi contesti. Film in Tv in prima serata fanno ampio ricorso a parole come… Ma lasciamo perdere. Che sia un bene o un male non è oggetto del presente intervento. Noterò soltanto che, se il turpiloquio è usato in modo sistematico, dal punto di vista comunicativo perde la sua efficacia; solo se rappresenta una eccezione, il culmine di un crescendo di indignazione ad esempio, esso, nel contrasto con uno stile di norma decente e austero, fa l’effetto dei piatti o del tamburo in una sinfonia, cioè fa il suo mestiere di portare all’achmé la tensione e l’enfasi.
In quel che intendo scrivere mi verrebbe naturale farne non episodico ricorso; e d’altra parte, vuoi per quel che s’è detto sopra, vuoi per inclinazione naturale, me ne sento frenato. E allora ho concepito una via intermedia, che dia adito, averroisticamente, alla doppia lettura: tutte le volte che l’anima concupiscibile o anche a volte quella irascibile mi suggerisce un termine volgare, l’anima razionale, l’auriga platonico, farà sì che io la sostituisca con l’espressione “patatrack”. E ognuno potrà pensare a quello che vuole, perscare, nella sua Erlebnis, l’atto riempiente che ritiene più idoneo.

L’idea mi è suggerita da una barzelletta antica, che ho sempre trovato molto spassosa. Un tale, arricchito e accettato pertanto dai “salotti buoni”, si ritrova ad un party in un consesso altolocato e aristocratico, in cui ognuno a turno racconta una berzelletta. Venuto il suo turno, egli dichiara di conoscere solo barzellete alquanto “sporche”, e cerca di passare la mano. Ma più di una dama presente lo stimola, invitandolo a fare appunto l’operazione che ho descritto. Ed ecco quanto ne esce: “Patatrack patatrack patatrack, patatrack patatrack, patatrack culo”.
Riprendo ora alcuni titoli dalla stampa recente:

  • Il Tempo – Interni Esteri – Profumo: «A scuola a 5 anni». Poi ci ripensa
  • Profumo ci ripensa, niente nuovi precari in graduatoria…
  • Il ministero ci ripensa: più prof al Nord
  • Profumo: «A scuola a 5 anni». Poi ci ripensa
  • Cattedra 24 ore: Profumo indietreggia, ma annuncia altri tagli

Solo esempi scelti fra i tanti, si ritrovano più o meno in ogni testata, pertanto non cito neanche i giornali da cui sono tratti. Chi fosse curioso, potrebbe lanciare la ricerca con Google, e troverebbe centinaia di titoli più o meno uguali di tutti i giornali.
Fino alla Repubblica del 22 ottobre: “Profumo ci ripensa”, in prima pagina:

“E il ministro dell’Istruzione, Profumo, fa un passo indietro annullando l’aumento di ore a parità di stipendio per gli insegnanti”

Poi ancora a pagina 6 in un articolo di Corrado Zunino:

“Profumo cambia idea: niente ore in più”.

Se poi prendessimo le dichiarazioni sull’uso che delle mediane deve fare l’ANVUR, l’agenzia governativa per la valutazione del merito degli insegnanti universitari, potremmo mettere assieme un ancor più cospicuo florilegio: le commissioni devo attenersi ai criteri bibliometrici in certi settori e magari in altri no, ma no, possono prescinderne in tutti i casi, però motivando, ma no, devono applicare i criteri bibliometrici, sì, no, non lo so.
In questo l’ANVUR segue l’andamento in modo pedissequo: le mediane sono queste; anzi no. Poi non è che ci sia una mediana, la mediana è una e trina, ce ne sono tre, ma solo per certi settori, anzi no, errare humanum est, abbiamo sbagliato i conti, le mediane vere sono queste, ma forse ne pubblicheremo di migliori.
Naturalmente a tutti vengono idee del papatrack. Lo dico per esperienza diretta, me ne sono venute tante. Il punto è: quando devi prendere decisioni che determineranno scelte politicamente strategiche, destinate a forgiare la classe dirigente, o quanto meno la classe “insegnante” dei prossimi anni per tutta una nazione, quando devi emanare provvedimenti che cambieranno radicalmente la vita di migliaia di persone, e di centinaia di migliaia di “uditori” o “allievi” di quelle persone, e ti viene un’idea, come dicevamo, del patatrack, non sarebbe il caso di consultare qualche persona di esperienza, qualcuno che passi il suo tempo a fare lezione sul serio, e non a sedere nei consigli di amministrazione o nelle auguste sale dei Rettorati? O magari qualche associazione delle categorie interessate, professori, studenti, famiglie, qualche sindacato, qualche opinion leader che non sia già a libro paga della compagine tecnico-governativa?
Pare invece che la strategia sia un’altra, quella che gli anglosassoni chiamano del trial and error. Quella di procedere, perciò, per prova ed errore. Poi, se tutti s’inpatatrac, allora basta ripensarci, cosa costa? Insomma, si procede alla patatrack di cane, poi gli aggiustamenti verranno da sé (o meglio, dall’intensità delle reazioni). Viene in mente un’altra battuta circolata ai tempi della cattura di Bin Laden: nome in codice della operazione della CIA: “Boh, proviamo anche qua”.
Da giovane lessi un libro (be’, veramente anche due, ma ora voglio parlare di questo specifico libro). Vi si sosteneva che il vantaggio competitivo della specie homo sapiens sapiens rispetto a tutte le altre consiste nel sapere prevedere l’esperienza, e non dovere così procedere per prova e d errore come fanno comunemente le altre specie. Poiché quando lo lessi ero ancora immune dal rincoglionimento senile, sono certo che dicesse proprio così. Esempio: chi progetta un ponte, non procede per prova ed errore, controllando a posteriori se “sta su”, ma si affida alla scienza delle costruzioni, e ne calcola la portata a priori. Un ingegnere dovrebbe averne un’idea, e farsese una ragione: di ponti crollati non se ne sente particolare bisogno. Così, si prevede l’esperienza futura, senza pagare i rischi dei fallimenti.
Da un’altra parte mi viene in mente anche la distinzione tra intelligenza e istinto in Bergson. La bestia non può che seguire l’istinto, l’uomo può ricorrere all’intelligenza (purtroppo è una possibilità, non un obbligo). Così in un incendio, una povera bestia seguirà l’istinto di scappare in alto, ardendo subito viva, mentre un uomo dovrebbe sapere che l’aria più è calda e più sale, e l’aria più fredda rimane più in basso; e dunque si sdraierà per terra, salvando la ghirba se i soccorsi arrivano in tempo.
Insomma, tornando a noi, quando a un ministro viene un’idea del patatrack, non dovrebbe pensarci bene prima di diffonderla e trasformarla in diktat, per poi “ripensarci”? Pensarci e ripensarci non è bello, se in mezzo si danno le esternazioni. Uno può consolarsi, se proprio il pensare e il ripensare gli è connaturato, ponendosi nella situazione resa famosa dalla gogliardia:

“Penso e ripenso, e nel pensar m’impazzo,
ch’io nacqui un dì dal copular d’un patatrack”

dove la rima viene in soccorso all’ermeneutica.

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