Dopo la Manifesta di Bologna, forti critiche dai circoli per il mancato impegno ad aprire il dibattito sul futuro del giornale

20 Luglio 2012 /

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Mauro Chiodarelli circolo di Bologna    
Cari Compagne/i, da mesi cerchiamo di conoscere il pensiero di ognuno di voi, fino all’ultimo addetto ai lavori, in merito al futuro vostro ed al futuro di questo nostro giornale, sollecitando un dibattito aperto e franco dalle pagine de il manifesto. Richiesta ripetuta con forza anche all’incontro nazionale del 7 luglio ma della pagina quotidiana, promessa, a questo destinata nessuna traccia.

Intorno a questo giornale morente è stato creato un cordone sanitario invalicabile e le comunicazioni sono relegate a bollettini sanitari sporadici e vaghi. Non comprendiamo se tali misure sono attuate per proteggere il malato dal pericoloso virus dei Circoli e per nasconderci l’accanimeto terapeutico a cui è sottopopsto internamente. I Circoli sono la parte organizzata di quei lettori e sostenitori che in passato hanno riversato nel giornale fiumi di denaro per garantirne la sopravvivenza e che ancora oggi mettono il massimo del loro impegno per aumentare abbonamenti e vendite e per continuare a raccogliere risorse. Quei Circoli che sono disponibili, sula base di un progetto condiviso, ad un ulteriore immenso sforzo per tentare l’acquisto della testata, ponendola definitivamente al sicuro da futuri rovesci, in una prospettiva di proprietà collettiva, in cui una testa un voto, sul modello della TAZ tedesca, per riconsegnarla in gestione alla cooperativa editoriale. Abbiamo parlato di questo il 7 luglio; abbiamo scritto questo nelle lettere inviate in seguito e che non hanno trovato pubblicità nel nostro giornale. Dopo una lunga ricerca abbiamo raccolto un minimo di indirizzi, che non sappiamo se giusti e completi, per cui vi chiediamo di estendere questa comunicazione agli eventuali esclusi, e proviamo questo ultimo tentativo di apertura di dialogo. Noi amiamo questo giornale, perchè è vostro che lo fate, quanto nostro che lo leggiamo e sosteniamo. Ma siamo laici e non abbiamo nessuna intenzione di accanirci su qualcuno che amiamo ma che non vuole essere aiutato a vivere. Però vorremmo sentircelo dire DA TUTTI, direttamente e con franchezza, per essere sicuri che si tratti di una posizione condivisa, senza fraintendimenti. Vi allego i primi interventi successivi all’incontro del 7 luglio, che non essendo stati pubblicati non sono a tutti noti. Il confronto, se non portato sulle pagine del giornale o del sito web,  può svolgersi sul blog del Circolo di Bologna www.ilmanifestobologna.it o sul blog del Circolo Sardo www.manifestosardo.org che sono a vostra disposizione. Compagne e Compagni noi non possiamo che attendere i vostri pensieri.

 
Roberto Verdi Circolo di Padova
Sono convinto che, dopo la discussione, il confronto, nell’assemblea con la redazione del 7 luglio a Bologna, e leggendo il contributo di Mauro Chiodarelli, contributo che condivido, si omettono queste questioni:   La prima:  ho l’impressione che il collettivo manifesto non si sente più collettivo nel senso di proprietà collettiva e penso inoltre che queste parole  abbiano perso di significato e oggi siano di difficile declinazione nell’agire quotidiano. Se ne sente un bisogno, forse, ma non su questo non c’e espressione e dichiarazione. Timori di confronto? Quindi quando Benedetto vecchi parla di “recupero di sovranità”  e’ un modo per dire che ognuno deve prendere in mano il proprio destino, e di conseguenza quel destino? Il che non e’ poco. Essendo i fondatori del collettivo usciti, non e’ chiaro che rapporto ci sia tra coloro che oggi ci sono sia con la proprietà che con il proprio lavoro; che ho l’impressione sia di tipo individualistico, come oggi può essere declinato, Certo, la residua e attuale organizzazione del lavoro dovrebbe essere utile a qualcosa, ma anche qui si sente un “sfilacciamento”. Non voglio con questo fare nessun processo alle intenzioni, segnalo una mancanza, una mancanza per tutti di dibattito e confronto. La seconda e’ che questi ” timori” o “incapacità” nei confronti di una proprietà collettiva, posta non chiaramente durante l’incontro, ma “lasciata intendere” ( anche questo:,perché Lasciata intendere? Se ne puo discutere )  sia piuttosto il “non saper come fare” o anche il “non voler cominciare” qualcosa che non si sa come andrà a finire. Quindi si agisce per piccoli passi o guardando il proprio destino personale. Questo e’ un rispecchiamento, così si e’, non  tutti e non in assoluto, ma tendenzialmente dice molto. Certo, forse calcoli individuali, anche  legittimi, forse personalismi, o salvare il proprio stipendio o quello che volete, ma non sono gli unici e forse se tra noi circoli e aderenti ai circoli, come sono convinto, siamo in grado di attivare un metodo minimo di comunicazione condivisa e un progetto, penso che a Pietrasanta, l’ordine del giorno, dovrebbe essere se si riesce a costituire il gruppo che incomincia a pensare e a realizzare la proprietà dei lettori/editori sul modello TAZ ( che a questo punto ritrasferisce al manifesto ciò cha nel passato ha utilizzato per la sua riflessione interna per il proseguimento del progetto politico/editoriale. Leggendo il manifesto in questi giorni confermo un peggioramento del giornale e sapendo come e’ realizzato ( in una stanza) e con quante persone ( 7/8) e sopraffatti dall’emergenza, si può capire il perché, ma urge che le persone che lavorano al manifesto discutano del loro destino e ne facciano dibattito pubblico con altri. Così si può avere una relazione, adeguata all’oggi, tra redazione e una in itinere nascente
Proprietà editori/lettori.
 
Claudio Magliulo circolo di Bologna
Penso che i contributi di Mauro e di Roberto Verdi colgano nel segno.
C’è solo un problema. Come si fa ad organizzare un gruppo che progetta la costituzione di una cooperativa stile Taz se non siamo sicuri che i membri della redazione siano d’accordo?
Ho espresso il mio punto di vista durante l’assemblea, per quanto consentito dal mio ruolo di mediatore. Resto dell’idea che senza
a) un piano serio, strutturato e informato (vale a dire basato su indagini di mercato e calcoli economici reali) per ripensare non solo il giornale ma l’intero progetto editoriale compreso sito, Alias e vari inserti;
e b) una discussione aperta all’interno della redazione e poi con tutti i circoli e i simpatizzanti, in cui emerga una chiara linea d’azione condivisa;
il nostro sia tutto tempo buttato.
Non sono pochi i giornalisti del Manifesto che stanno allontanandosi giustamente dalla redazione, perché in qualche modo bisogna campare e non tutti hanno rendite su cui contare. Molti altri si fanno vivi poco e male, e non si può fare un giornale in queste condizioni. Allora mi chiedo che senso abbia accanirsi…
il Manifesto ha perso molti treni e ne sta perdendo altri mentre ci scriviamo. Nonostante la risibilità dell’operazione di Telese, non dubito che il suo Pubblico, in uscita a Settembre, eroderà ulteriormente la readership del Manifesto. E’ tempo di decidersi. E invece di baloccarsi su quanti posti di lavoro si possano salvare, il tema è come fare ad aumentare le vendite per salvarli tutti, potendo. Senza questo, anche i 34 “salvati” finiranno presto nelle condizioni dei “sommersi”. E uso volutamente un parallelo forte, perché l’impressione dolorosa che ricavo dall’atteggiamento della redazione è che, in buona fede, stiano andando dritti contro un muro perché non riescono a girare il volante.
Però noi più che insistere, fare proposte, lanciare idee e dare disponibilità, non possiamo fare. Nessun giornale, che io sappia, ha mai potuto contare su un gruppo così accanito di sostenitori. Se questo nemmeno è sufficiente a smuovere la redazione dall’immobilità, penso che allora resti solo da assistere ad un lento inesorabile declino pilotato dai tecnici.
Infine una provocazione: siamo sicuri che con 16 milioni di euro di debiti non convenga farla fallire questa cooperativa? e ancora: siamo sicuri che ci sia qualcuno che vorrà acquistare la testata?
Forse invece di tentare l’improba impresa di raccogliere alcuni milioni di euro per ricomprare la testata (dopodiché restano anche i soldi per l’ordinaria amministrazione!) forse si potrebbe pensare di raccoglierli per fare un giornale nuovo, che rinasca dalle ceneri del Manifesto. Il Fatto Quotidiano (che può non piacere, a me non piace, ma è un grande esempio di organizzazione dell’impresa-giornale), con 600mila euro di capitale iniziale ha fatto partire una macchina estremamente efficiente. I principi sono noti, li ha teorizzati Giorgio Poidomani, all’epoca amministratore delegato, in uscita da l’Unità. 600mila euro e 12 giornalisti. nel giro di un anno sono triplicati e hanno generato 35mila abbonamenti e circa 70mila vendite in edicola ogni giorno.
Senza parlare di futuro non si risolve il nodo del presente. Senza affrontare l’essenza del Manifesto, che è un collettivo politico ma esiste in quanto giornale che va in edicola, non si esce dal tunnel.
 
Circolo della Versilia
Scriviamo perché siamo rimasti esterrefatti dall’articolo del corazziere Valentino Parlato sulla prima pagina di oggi: una difesa acritica, senza argomenti e a dir poco sconcertante per il nostro giornale. Il manifesto ha sempre raccolto le opinioni piů diverse e spesso lascia spazio alla discussione, ma una simile difesa d’ufficio di Napolitano su una sacrosanta indagine della magistratura sulle trattative intercorse tra stato e mafia non trova spiegazione. O meglio, la trova nel tentativo di mantenere buoni rapporti con le massime istituzioni per sopravvivere un minuto di piů come testata. L’articolo di Parlato non č un semplice editoriale di discussione: in contraddizione con gli interventi di esperti come Azzariti, esso ben rappresenta la crisi politica del manifesto. Chi in redazione avrebbe pubblicato quelle righe disarmanti? Chi avrebbe fatto questa difesa in nome del “pericolo che corre la democrazia”? E non č che la democrazia corre piů pericoli per la storia sporca e oscura del paese e delle nostre istituzioni che per le indagini a fatica portate avanti dai giudici di Palermo? Su questo si dovrebbe ragionare, pensando alla perdita di copie e alla crisi profonda che attanaglia il nostro giornale: non solo siamo incapaci di fare inchieste, ma anche riflessioni alla cui base ci sia una discussione interna, collettiva. Questa ci pare la natura profonda della crisi. Ma c’č di piů. Come Circolo della Versilia avevamo deciso di dire la nostra alla prossima riunione del 13 agosto a Pietrasanta, anche perché avevamo seguito da distanza le ultime fasi il dibattito. L’incredulitŕ e l’indignazione di oggi č grande e ci porta a un’altra considerazione: come sappiamo e come abbiamo constatato in questi giorni, gli interventi dei circoli vengono bellamente ignorati dal giornale, che fa promesse e poi si richiude nelle sue stanze romane. Si sta creando una distanza abissale tra la redazione e la realtŕ circostante, e non solo per l’assenza sui territori. Significativo un episodio di un paio di giorni fa, che a questo punto ci sentiamo di raccontare. Il giornale ci ha contattati per sentire la nostra disponibilitŕ a tenere un banchetto per un fantomatico “meeting dei diritti” che si terrŕ alla Cittadella del Carnevale di Viareggio (spazio a pagamento), di cui nessuno in zona ha sentito parlare a meno di una settimana dall’inizio. Si tratta di un meeting con tanto di direzione artistica, con un solo dibattito e tanti spettacoli e stand. Sentiti compagne e compagni del circolo, nessuno di noi č libero (abbiamo la festa dal 4 al 15 agosto), ma la reazione č stata unanime: che cos’č? e neanche ci hanno contattati per sentire cosa si dice in giro? Basta la presenza di Pancho Pardi e di Giulietti per dare dignitŕ a un’iniziativa fantasma? Leggiamo le due righe di invito da parte del direttore artistico per un dibattito sulla libertŕ d’informazione: “L’idea č di non fare gli interventi da “soloni” sul parco 5 min e via, ma di strutturarlo proprio come un talk show in modo che dal dibattito possa nascere qualcosa di costruttivo”. Che la deriva sia questa? Il modello televisivo in cui tutti dicono la loro, anche chi non ha niente da dire? E chi se ne importa se il capo dello stato č lo stesso regista di questo governo di rapina, spending-review o macelleria sociale e tagli alle scuole, alla sanitŕ, alla ricerca? Per una sera si puň dire quel che ci pare, del resto in “una situazione difficile come quella attuale” – sembra dire Parlato – bisogna accettare questo e ancora di piů: i bombardieri italiani in Afghanistan, l’acquisto degli F35, la cancellazione della Discoteca di Stato, tanto per citare le ultime due questioni sacrosante su cui il manifesto si č battuto. Si tratta di uno sfogo che non avremmo mai voluto fare. Se abbiamo deciso di ritrovarci attorno al manifesto e organizzare le nostre iniziative politiche come Circolo č perché era ed č un punto di riferimento, tuttavia oggi ci pare che stia perdendo la bussola e siamo a dir poco preoccupati. Non disposti, perň, a barattare un giorno in piů della sua sopravvivenza con i suoi stessi principi ispiratori.
 
Giuliana Beltrame circolo di Padova
Alle compagne e ai compagni della redazione.
Dopo l’assemblea dei circoli a Bologna, pur nella perplessità generale che alcuni vostri interventi hanno sollevato, siamo ripartiti sperando aveste colto la nostra determinazione ad essere parte attiva nella soluzione dei problemi del giornale e anche la nostra richiesta (fatta senza giri di parole) di trasparenza  e pubblicità del dibattito.
Detto in altri termini è emersa la forte richiesta che:
–       esplicitiate le vostre posizioni e le vostre proposte di uscita dalla crisi (assumendone ovviamente la pater- o mater-nità), così che si possa capire con chiarezza chi sostiene che cosa e perchè
–       dedichiate, come proposto da Parlato,  una pagina del giornale per ospitare il dibattito su “il manifesto domani” con le posizioni di lettori, circoli e redazione
Fino ad oggi, 18 luglio, benchè siano stati inviati diversi contributi, è stata pubblicato solo il resoconto fatto da Sergio Caserta del Circolo di Bologna..
E’ deprecabile che Carlo Lania dica  che il contributo finanziario che i lettori hanno garantito in questi anni con notevole fatica, non è così importante, e che conta solo il ruolo di “informatori dai territori” che i Circoli possono avere. Salvo poi verificare che, in occasione di inchieste su territori specifici (il nord est), chi scrive non ha alcun interesse a contattare i circoli della zona, che magari potrebbero essere in grado di fornire informazioni o contatti. Sembra che anche questa funzione sia considerata irrilevante.
Viene il dubbio che non vi rendiate conto che rischiate di rompere quel rapporto fatto di fiducia e affetto oltre che di interesse politico che ha consentito al manifesto di superare le innumerevoli difficoltà economiche e politiche che hanno attraversato la sua storia.
Il Manifesto è un patrimonio collettivo, per questo in molti continuiamo a sostenerlo e, malgrado tutto, aspettiamo una seria discussione che individui attraverso quali scelte sarà possibile rilanciarlo.
 

Marco Ligas circolo della Sardegna
Dopo l’accordo raggiunto al ministero del lavoro che scongiura, almeno nel breve periodo, l’interruzione delle pubblicazioni, continua il dibattito promosso dai circoli del Manifesto sullo stato del quotidiano.
La riunione del 7 luglio svolta a Bologna è stata un momento importante di questo dibattito: non solo si è parlato delle difficoltà economiche del giornale ma si è discusso anche della necessità di un nuovo progetto editoriale e di un rapporto più costruttivo tra redazione e area del Manifesto, intendendo per area del Manifesto l’insieme dei lettori, dei sostenitori, dei simpatizzanti e di tutti coloro che sin dalla sua nascita hanno considerato il Manifesto uno strumento di informazione critica e di progettualità per la sinistra. A Bologna c’erano i rappresentanti dei circoli, ormai presenti in varie regioni del paese, e diversi compagni della redazione: una buona occasione dunque per un ampio confronto. Il tema ‘proprietà della testata’ ha occupato una buona parte del dibattito. In particolare ci si è soffermati sulla proposta di dar vita ad un’Associazione che raccolga 8/10 mila soci che partecipino attivamente alla vita del giornale. L’impegno economico dei soci (5/6 cento euro da versare anche in modo dilazionato nel corso di un anno) dovrebbe garantire l’acquisto della testata. Naturalmente un obbligo precipuo dell’Associazione sarà quello di garantire il massimo rispetto dell’autonomia della redazione. L’idea di un’Associazione formata da lettori che diventano comproprietari del giornale ha avuto il riscontro favorevole di tutti i rappresentanti dei circoli: è apparsa l’unica strada percorribile non solo per uscire dalla crisi ma, soprattutto, per ricreare e consolidare un rapporto circolare con un’ampia area della sinistra che ha sempre considerato il Manifesto un importante strumento di informazione, estraneo alla sudditanza che caratterizza gran parte della carta stampata nel nostro paese. Su questo tema, che ritengo della massima importanza, è emersa una diversità di opinioni con alcuni compagni della redazione, soprattutto con Benedetto Vecchi e Carlo Lania. Entrambi hanno ribadito la centralità del ruolo di chi fa tutti i giorni il giornale; Lania ha addirittura escluso l’ipotesi di una partecipazione dei circoli alla proprietà della testata che, a suo parere, deve appartenere esclusivamente a chi lavora nel giornale. Si tratta di differenze importanti che non possono essere affrontate e risolte con un dibattito tutto interno alla redazione per poi comunicarne le conclusioni ai lettori, magari chiedendo loro un ulteriore impegno economico per la sopravvivenza del quotidiano. Ritengo che i temi discussi a Bologna debbano essere pubblicizzati; il Manifesto, come stabilito, deve riservare una pagina ai lettori e ai redattori perché tutti possano esprimere le loro opinioni; non abbiamo cose da nascondere, la fuoriuscita dalla crisi passa attraverso la pubblicizzazione del dissenso e la sua ricomposizione dopo un’ampia partecipazione di chi si sente parte integrante di questa esperienza. Se non si percorrerà questa strada penso che il futuro del Manifesto sia segnato. Nella migliore delle ipotesi sopravvivrà un altro quotidiano, un Manifesto qualsiasi, di cui non si avverte certo il bisogno, ma chiuderà definitivamente la sua esperienza il Manifesto, quello nato nel 1971. E non ci sarà alcuna motivazione del tipo ‘nel corso di questi decenni è cambiato il mondo intero per cui non si capisce perché non possa cambiare anche il Manifesto’ che legittimerà l’errore che si rischia di commettere. Naturalmente le diversità che sono emerse a Bologna su questo aspetto non possono mettere in secondo piano i temi relativi al progetto editoriale e al ruolo politico del Manifesto. Di che cosa deve parlare il giornale, che cosa viene sottovalutato? Valentino Parlato ha ragione quando ricorda che stentiamo a cogliere i cambiamenti che sono avvenuti nel paese, soprattutto a livello sociale. Dovremmo fare più inchieste, dice, e capire meglio le condizioni di vita di tante persone che subiscono la povertà e vengono relegate nell’area della marginalità. Forse, dico io, facciamo troppe interviste a dirigenti del centro sinistra i quali ripetono stancamente le solite cose senza che ne siano convinti loro stessi e invece dovremmo appassionarci/impegnarci di più nell’individuare nuovi obiettivi di impegno politico e sociale. Insomma la crisi incalza, mette in difficoltà tanti lavoratori, l’unità per fronteggiarla diventa sempre più difficile; questi processi avvengono nel nostro paese ma anche in Europa dove nessuno parla più di lotta comune contro un capitalismo sempre più aggressivo. Forse dovremmo occuparci di più di queste cose, questo è il ruolo politico che il Manifesto dovrebbe svolgere con più determinazione. Naturalmente senza dimenticare la situazione di estrema precarietà che viviamo attualmente in seguito all’amministrazione controllata

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