Il caso Wam. Ripartire dal lavoro dopo il sisma

6 Luglio 2012 /

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Foto di Chiara Tolomelli

E’ arrivato l’accordo tra la Fiom-Cgil di Mirandola e la direzione dell’azienda Wam di Ponte Motta (Cavezzo), per gestire la fase di emergenza post-terremoto. A causa delle forti scosse del 29 maggio, lo stabilimento è stato dichiarato inagibile. Impossibilitati a procedere con la produzione in loco, si è scelto di delocalizzare temporaneamente il lavoro a Formigine. Francesca Corcione, delegata RSU Fiom della Wam e ospite della Manifesta il 7 luglio a Bologna, racconta la fase di trattativa e le crepe del modello emiliano.
Alice Facchini
Foto di Chiara Tolomelli

Con la scossa del 29 maggio, parte dei capannoni della Wam sono crollati. L’azienda ha intenzione di ricostruire gli edifici?
Ad oggi, su un totale di 8 capannoni (60 mila mq), sono rimasti agibili solo 3 reparti e una palazzina degli uffici, che comunque dovranno subire interventi di ristrutturazione molto seri. I restanti 5 reparti, più il reparto spedizioni e il magazzino, verranno invece rasi completamente al suolo. Nonostante l’entità del danno sia enorme (è calcolata intorno ai 40 milioni di euro), l’intenzione dell’azienda resta quella di ricostruire gli edifici in loco e in totale sicurezza. La legge del 6 giugno 2012 sulla sicurezza pone la nostra zona a rischio 3: la Wam vuole invece costruire nuovi edifici con le norme vigenti nelle zone a rischio 2, in modo che, se anche venisse un terremoto più forte di questo, l’azienda sarebbe al sicuro.

Quali reparti della Wam sono ancora attivi? E quali si riattiveranno a breve?
Per il momento, a Ponte Motta è riattivato un solo reparto, Tecno CM, che ha ricominciato ad essere operativo da lunedì 2 luglio. Era il capannone che ha subito meno danni, che è stato spogliato e messo in sicurezza. Da lunedì 9 luglio, partirà anche il reparto filtri, lavorando un po’ dentro l’edificio e un po’ fuori, sotto tendoni. Un altro gruppo di circa 20 lavoratori è stato trasferito alla Roncuzzi di Ravenna, che è sempre di Wam. Chi va a Ravenna, sta via dal lunedì al venerdì: si sposta con la macchina aziendale, e là alloggia in un albergo, a carico dell’azienda. Altri 160 ricominceranno a lavorare sempre da lunedì 9 in un nuovo stabilimento a Formigine, dove provvisoriamente Wam si trasferisce in attesa di ricostruire a Ponte Motta.

Per quanto riguarda questa delocalizzazione temporanea, quale accordo è stato trovato con l’azienda?
Nelle trattative con il titolare Veiner Marchesini e successivamente con i direttori di produzione Stefano Baraldi e Fabrizio Vari, siamo riusciti ad ottenere esattamente quello che chiedevamo. Il compromesso si è trovato abbastanza facilmente. L’accordo è stato siglato il 4 luglio: l’azienda assicura per il futuro la ricostruzione dei capannoni a Ponte Motta, garantendo di mantenere tutta l’occupazione. Per quanto riguarda Formigine, siamo andati in deroga al contratto nazionale, modificando l’orario di lavoro: sono previsti 6 giorni settimanali di lavoro, in turni da 7 ore l’uno, per un totale di 42 ore settimanali (40 ore ordinarie e 2 di banca ore). La riduzione dell’orario deve venire incontro ai lavoratori: il lavoro non sarà più meccanizzato ma manuale, dunque molto più duro, e in più dormendo in tenda è più difficile riposare. Sono inoltre previsti dei turni: non lavoreremo tutti contemporaneamente, ma ci sarà una rotazione per impiegare più personale possibile. Da qui a fine luglio, il 90-95% dei dipendenti dovrebbe rimettersi all’opera. Per le prime due settimane, non sono previsti turni di notte, ma successivamente si attiveranno anche quelli, in caso di bisogno: dobbiamo poter soddisfare gli ordini dei clienti che non abbiamo perso. Per il trasporto dei lavoratori da Ponte Motta a Formigine (in tutto 48 chilometri), sono a disposizione degli autobus, a carico di Wam.

Foto di Chiara Tolomelli

La questione del terremoto ha messo in evidenza delle debolezze del modello emiliano di sviluppo. Nonostante l’Emilia-Romagna sia considerata un polo d’eccellenza, si è rivelata una forte mancanza di sicurezza degli edifici. Come commenta questo fatto?
Io sono anche una responsabile della sicurezza: quello che ho notato è che non eravamo assolutamente preparati a un fenomeno del genere. Noi abbiamo fatto tante prove di evacuazione per gli incendi, ma non ne è mai stata fatta una per i crolli. Per questo, ci siamo trovati tutti spiazzati, non sapevamo come comportarci. Quello che a me stupisce è che sono crollati capannoni nuovi: si può capire che crollino capannoni vecchi, ma non quelli costruiti pochi anni fa. A mio parere, si dovrà aprire un’inchiesta in questo senso, anche perché risulta che 9 capannoni su 10 sono stati costruiti dalla stessa azienda, l’Acea Costruzioni di Zaccarelli.

Nei crolli sono morti soprattutto lavoratori stranieri. Come mai questo dato? Ci sono ancora categorie più deboli di altre?
Il fatto che i morti siano soprattutto stranieri si spiega in quanto i crolli maggiori sono avvenuti in aziende metalmeccaniche e ceramiche, dove c’è una percentuale molto alta di lavoratori stranieri. Quel tipo di lavoro, molto pesante e faticoso, non viene più praticato dagli italiani: la verità è questa. Spesso, inoltre, il turno di notte viene scelto dagli stranieri, perché ormai gli autoctoni non lo vogliono fare più: infatti, con la scossa del 20 maggio, alle 4 di notte, sono morti prevalentemente stranieri.

Alice Facchini
Foto di Chiara Tolomelli

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