"Cura la tua destra". Perché non tagliare le spese militari?

28 Giugno 2012 /

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Nella serata di sostegno al Manifesto che si terrà venerdì 29 alle 18:30 nella Sala dello Zodiaco della Provincia – organizzata dal PdCI, con la partecipazione di Leopoldo Nascia di “Sbilanciamoci” e di Tommaso Di Francesco del Manifesto – si parlerà di crisi del debito e di spesa militare. Sul tema interviene Giorgio Tassinari* per segnalare come dalla messa a confronto della spesa militare tra i paesi del G8 emerga un’anomalia tutta italiana.

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La legislatura che si è aperta nel 2008 con il governo Berlusconi quater e che sta proseguendo in questi mesi con il governo Monti trova uno dei suoi assi portanti nelle linea di “rigore” e taglio della spesa pubblica portata avanti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Sotto questo profilo non si vedono discontinuità tra i due Ministeri: la legge finanziaria per il 2009, nota come legge 133/08, e il decreto “SalvaItalia” del dicembre 2011 si pongono obiettivi ambiziosi in termini di riduzione della spesa pubblica, finalizzati soprattutto a ridurre progressivamente sia il rapporto tra il deficit del settore pubblico e il prodotto interno lordo (il famoso parametro di Maastricht, che deve stare assolutamente al di sotto del 3%), sia il rapporto tra debito pubblico e PIL. A tal fine, la legge 133 ha operato riduzioni di spesa (tagli) alla scuola, all’università e alla ricerca e in generale a tutta la spesa che rappresenta la “mano sinistra dello stato”, mentre la “mano destra” è costituita dalle spese per la guerra, per la sicurezza interna, per il finanziamento alle imprese, e così via. Con il governo Monti, o meglio Monti-Napolitano, la dissennatezza giunge fino al punto di fare del pareggio di bilancio un obbligo costituzionale (revisione dell’art.81).

Ci sarebbe molto da dire sulla razionalità economica dei parametri di Maastricht e dell’obbligo costituzionale del pareggio di bilancio, nonché sull’uso strumentale che di questi parametri è stato fatto, ad esempio per redistribuire reddito verso i ricchi  o per privatizzare i beni pubblici, ma qui vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che la riduzione della spesa pubblica è stato fatta soprattutto nei confronti della mano sinistra, mentre la mano destra è rimasta pressoché intatta. Senza intraprendere un’analisi esaustiva delle modificazioni della composizione della spesa pubblica italiana negli ultimi decenni, mi soffermerò solo sulla spesa militare.

Secondo il rapporto 2012 dello Stockholm International PeaceResearchInstitute (SIPRI, 2012), nel corso del 2010 la spesa militare italiana (che, secondo la definizione SIPRI, comprende le spese per le forze armate, correnti e in conto capitale, l’apparato amministrativo della difesa, le forze paramilitari, come le guardie nazionali, e le attività spaziali di tipo militare) è stata pari a 31,9 miliardi di dollari (a prezzi costanti 2005). In rapporto al PIL, la spesa militare dell’Italia pesa circa l’1,7% (dato riferito al 2006). Per avere un punto di riferimento, si consideri che la Germania nel 2010 ha speso l’1,4%, la Spagna l’1,0%, il Canada l’1,5%. Se consideriamo la percentuale di spesa militare rispetto al PIL la percentuale italiana è comunque ben al di sotto della media mondiale (2,5%) e anche della media europea. Va peraltro tenuto conto che la media mondiale è influenzata dall’apporto della superpotenza americana, e delle medie potenze nucleari quali Russia, Gran Bretagna e Francia, oltre che dalle enormi spese dei paesi in via di sviluppo.

Un elemento distintivo del nostro paese rispetto agli altri paesi capitalistici è la persistenza della spesa militare (in termini percentuali rispetto al Pil) nel corso del tempo, sempre intorno al 2%, fin dal 1993, subito dopo la fine della Guerra Fredda. Tutti gli altri grandi paesi occidentali mostrano, al contrario, una diminuzione delle spese militari, in alcuni casi assai accentuata come nel caso della Spagna (che passa dall’1,7% all’1,0%, ovvero una riduzione di oltre un terzo), in altri più modesta, come la Germania (Tab. 1).

Tab. 1  – Spese militari in rapporto al PIL dei paesi del G8 (1993-2010)

Paese 1993 1998 2003 2010
USA 4,5 3,1 3,8 4,8
Regno Unito 3,5 2,6 2,7 2,6
Francia 3,3 2,6 2,7 2,6
Germania 1,9 1,5 1,4 1,4
Russia 5,3 3,3 4,3 3,9
Italia 2,0 1,9 2,0 1,7
Canada 1,8 1,3 1,1 1,5
Spagna 1,7 1,3 1,1 1,2

Fonte: SIPRI MilitaryExpenditure Database

Non è questa la sede per approfondire le motivazioni di questa difformità di tendenze. La conclusione è comunque chiarissima: mentre i paesi del G8 hanno in qualche modo approfittato della fine della Guerra Fredda per ridurre il peso delle spese militari, in Italia ciò non è avvenuto. Questo fatto è ancor più rilevante proprio perché durante il periodo considerato si è avviato il processo di riduzione del debito pubblico, intrapreso prima al fine di assicurare la convergenza verso i parametri di Maastricht, poi, dal 2008 in avanti, per convincere il capitale finanziario della sostenibilità del debito pubblico. È opportuno in tale ambito ricordare che la riduzione del rapporto debito pubblico/PIL implica che il saldo primario del bilancio statale sia positivo (le entrate, in breve le tasse, devono essere maggiori delle spese) e che anche il saldo globale del bilancio statale sia positivo: cioè, il saldo primario deve essere non solo positivo ma anche maggiore della somma necessaria pagare gli interessi sul debito. In Italia, questa strategia politica si è realizzata attraverso una diminuzione della spesa pubblica soprattutto sui settori che forniscono beni e servizi alla cittadinanza e attraverso i quali si realizza la redistribuzione del reddito, come la scuola, la sanità e via dicendo- ma senza toccare le spese militari.

In qualche misura, si ripete in Italia quanto si verificò in India al tempo della dominazione inglese: attraverso le  tasse levate dai colonialisti, i dominati pagavano l’esercito che li opprimeva.

*docente di Statistica economica all’Università di Bologna

 

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