Lombardo, direttrice del Cie Bologna: «La legge va riformata: le donne non ci devono entrare»

26 Maggio 2012 /

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Per anni ha dovuto vestire i panni della «cattiva». L’hanno accusata di tutte le colpe di «una legge imperfetta» con cui anche lei si trova a dover fare i conti e, soprattutto, di gestire i Cie più costosi di Italia: Bologna e Modena. Ma Anna Maria Lombardo, direttrice della Confraternita della Misericordia e con un passato da operatrice all’interno di una struttura per donne maltrattate, non ci sta. E ora che il suo incarico è in scadenza (salvo sorprese, il gong suonerà alla mezzanotte del 30 luglio) si toglie qualche sassolino dalle scarpe.
L’intervista di Alessandra Testa

Lombardo, il suo incarico dura ormai da dieci anni. Il Cie di Bologna è davvero un luogo disumano?

«A detta di tutti, non lo dico io, il Cie di Bologna è il meno peggio del paese. E non solo perché tutti i miei operatori (54  fra Bologna e Modena) sono inquadrati con un contratto a tempo determinato e sono qualificati, ma anche perché i trattenuti in via Mattei hanno a disposizione un medico 24 ore al giorno (in tutto ne abbiamo 10), 4-5 infermieri e una squadra formata da assistenti sociali, psicologi, mediatori culturali oltre che da una rete di volontari che, attraverso diverse associazioni, operano all’interno della struttura contribuendo alla creazione e al mantenimento di percorsi di recupero e protezione sociale. Certo, le risorse sono poche e le motivazioni per cui i nostri ospiti sono trattenuti qui sono opinabili, ma è la legge e noi abbiamo fatto il possibile per fare del nostro meglio e districarci in una vera e propria giungla normativa. Sul mio conto ne hanno dette di tutti i colori ed è stato veramente faticoso riuscire ad instaurare rapporti di fiducia con il mondo della politica, del terzo settore e, in particolare, delle tante associazioni di donne che gravitano nella struttura. Nessuno di coloro che hanno potuto toccare con mano il nostro lavoro può dire che siamo dei negrieri. Spesso si parla senza sapere quel che accade veramente. Per esempio: alcune delle iniziative di protesta che sono state organizzate all’esterno della struttura e che poi hanno portato a delle violente rivolte all’interno con incendi di materassi, secondo voi, a chi hanno fatto bene? Ai trattenuti che poi non avevano più dove dormire mentre chi li aveva “istigati”, finita la dimostrazione, se n’è tornato a casa propria dove lo aspettava un letto caldo? Anche se si pensa che i Cie non dovrebbero esistere, bisognerebbe pensare alle conseguenze che certe azioni hanno sull’esasperazione dei nostri ospiti»…

A proposito di rivolte, lo scorso 14 maggio è uscita la notizia di un pestaggio avvenuto all’interno del vostro centro, pestaggio che avrebbe causato un ferito. Come è andata?

«Ma quale pestaggio? Semplicemente è accaduto che quella mattina, durante una normale perquisizione (perché bisogna controllare se entrano droghe o oggetti contundenti), uno dei trattenuti ha brandito una forbicina per impedire l’ingresso agli agenti. È scoppiato un parapiglia, ma nessun pestaggio. Abbiamo portato il soggetto al pronto soccorso per avere un referto, ma vi assicuro che non ha avuto nemmeno una prognosi di due giorni. Ma secondo voi, al giorno d’oggi, un poliziotto si rende davvero protagonista di un pestaggio col rischio poi di finire in galera? E, soprattutto, con tutti i volontari delle associazioni che operano all’interno del centro, se picchiassimo i ragazzi non lo denuncerebbero? La tensione qui dentro, purtroppo, è all’ordine del giorno. A fomentarla solitamente è chi ha una storia di reati alle spalle, sono tanti gli ex detenuti finiti al Cie, personaggi irrecuperabili che hanno un’influenza negativa anche su quelli che io chiamo teneramente “gli sfigati”, quelli cioè che sono qui non perché hanno fatto qualcosa di male, ma per esempio perché hanno perduto il lavoro e con esso il permesso di soggiorno. Ma lo sapete che al Cie ci sono anche delle badanti, trattenute perché lavoravano in nero? Ma quanti italiani ci sono che lavorano in nero in questo paese?»

Dal 30 luglio la gestione del Cie di Bologna passa al consorzio Oasi di Siracusa. L’Oasi ha vinto il bando al massimo ribasso con un’offerta di 28 euro al giorno a trattenuto. Come cambierà la vita della struttura?

«Noi ora gestiamo il centro con 69 euro e 50 al giorno per persona (per un carcere, se ne spendono 112). E, vi assicuro, che non sono tanti. Basti pensare a quanto costa un medico: 23 euro l’ora. A mio avviso, gestire un centro con 28 euro al giorno è impossibile. In questi anni abbiamo fatto di tutto per garantire assistenza sanitaria e psicologica ai nostri ospiti. Per l’ultimo bando, la Prefettura ha imposto 30 euro come base d’asta al ribasso. Abbassare in questo modo le cifre va nella direzione opposta. I  vincitori del bando non si sono ancora visti. Le consegne non le abbiamo ancora passate. Nel frattempo, abbiamo presentato ricorso al Tar, speriamo di vincerlo. Sarebbe un peccato buttare all’aria dieci anni di esperienza, di contatti e progetti messi in piedi».

Le associazioni e anche una buona parte dei partiti del centrosinistra ritengono quella dei Cie un’esperienza fallimentare e ne chiedono la chiusura. Lei cosa ne pensa?

«Non dico che i Cie vadano chiusi, ma penso che la legge vada cambiata. Sicuramente centri di transito per chi è senza documenti sono necessari, ma non lo è una permanenza di 18 mesi. Basterebbero un paio di mesi. Anche perché molto spesso chi non viene identificato in 6 mesi, non lo sarà nemmeno in 18. E poi ci sono categorie di persone fragili a cui non dovrebbe essere permesso di entrare in un Cie dove la regola è la promiscuità: ex detenuti, tossicodipendenti a fianco di gente pacifica che finisce per esasperarsi e avere serie turbe psicologiche».

A quali categorie si riferisce?

«Alle donne, innanzitutto. Nessuna donna dovrebbe stare in un centro di identificazione ed espulsione, che sia una vittima di tratta, una profuga o un’ex badante. E poi i richiedenti asilo o protezione umanitaria. Questa gente va aiutata, non ostacolata».

Alessandra Testa

 

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