Viaggio in Montenegro sulle tracce della Divisione Garibaldi

di Sergio Caserta /
4 Novembre 2025 /

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C’è una storia italiana che, come altre vicende della Seconda guerra mondiale, corre il rischio dell’oblio. Una storia tragica e nello stesso tempo anche eroica. 

La dura sconfitta militare che determinò l’armistizio dell’Italia l‘8 settembre del ‘43, concludeva nel modo peggiore l’avventura fascista, durata vent’anni. Restavano macerie e un esercito in rotta su tanti fronti di guerra. 

Particolare rilievo aveva avuto la presenza italiana nella penisola balcanica, perché già da prima della guerra avevamo sviluppato l’ambizione a colonizzare porzioni di territorio.  

Nel 1920 con il trattato di Rapallo a conclusione della Prima guerra mondiale, l’Italia aveva acquisito parte della Venezia-Giulia, l’Istria e la città di Zara. Successivamente con il trattato di Tirana aveva conseguito un sostanziale protettorato sull’Albania.  

Nello stesso tempo si era costituito lo Stato jugoslavo come regno degli Sloveni, Croati e Serbi, sulle ceneri dell’impero austroungarico. 

Cosicché quando nel 1941 entrò in guerra, l’Italia occupò immediatamente il Montenegro come emanazione del protettorato sulla confinante Albania. 

Da quell’occupazione si sviluppò una delle vicende più tragiche della guerra. 

Quando si giunge in Montenegro la prima cosa che salta agli occhi è il carattere aspro e montuoso del territorio, che rende l’idea di un’esistenza difficile, e questa è sicuramente una delle caratteristiche salienti del viaggio. 

Guidati dallo storico Eric Gobetti e dalla guida culturale Vesna Scepanovic, abbiamo visitato alcuni dei luoghi più significativi, delle vicende che hanno legato l’Italia al Montenegro in quel periodo che va dall’occupazione, all’armistizio fino alla fine della guerra. 

Partendo dalla capitale Podgorica che non è una città di particolare interesse architettonico, se si eccettua il caratteristico vecchio quartiere turco e alcuni edifici che in precedenza avevano funto da ambasciate, ci siamo recati a Cettigne, vecchia capitale poco distante da Podgorica. Lungo la strada ci siamo fermati al primo monumento del nostro viaggio dedicato ai caduti, nella Seconda guerra mondiale, della Nahija di Liesanska, noto come il monumento di Barutana. Un suggestivo esempio di architettura socialista segnato dal tempo e dall’attuale oblio, ma che conserva tutto il fascino dei luoghi autentici, dimenticati dalla storia. Cettigne è una città gradevole in collina, un piccolo centro in cui spicca il monastero serbo ortodosso, vero potente bastione del potere religioso e del rinascente nazionalismo serbo. Le bandiere del Montenegro circondano il perimetro del convento a delimitare le ambizioni di egemonia extratemporale e ricordano che il Montenegro non è serbo. Poco distante la sobria e suggestiva residenza di re Nicola Petrovic e il museo nazionale che raccontano la storia di questo piccolo regno, prima dell’unificazione Jugoslava, che aveva però molti legami con le altre monarchie europee a cominciare dalla figlia di Nicola, la principessa Elena divenuta moglie di Vittorio Emanuele III di Savoia.  

Lungo la strada principale si incontrano le antiche e suggestive sedi delle ambasciate europee, oggi destinate ad altro e infine la biblioteca nazionale che era stata durante la guerra la sede del comando dell’esercito italiano. La città fu teatro delle prime insurrezioni nel 1943, dopo l’8 settembre con l’armistizio dell’Italia e il crollo del fascismo e la dissoluzione dell’esercito, testimoniate da stele e monumenti. 

La sera nel villaggio di Rijeka Crnojevica (antica prima capitale del Montenegro), situato sulle sponde del lago Scutari cena tipica di pesce di lago, non prima di aver reso omaggio all’imponente monumento locale a combattenti e alle vittime del fascismo sulle cui lastre sono incisi tutti i nomi dei caduti. 

Nel terzo giorno di viaggio ci spostiamo a Kotor (Cattaro), antica città di mare ricca di storia con il porto naturale delle bocche di Cattaro, anch’esso ricco di eventi legati alla Seconda guerra mondiale e alle vicissitudini delle truppe italiane dopo l’armistizio, il luogo da cui tentavano di tornare in Italia. Percorriamo l’antica strada austriaca denominata “serpentina” a richiamare il percorso di montagna con tante curve e strettoie, ma che alla fine conduce alla meta tra panorami mozzafiato sull’incantevole golfo. 

Kotor è bella, piccola e compatta, circondata da mura che si possono percorrere, una cittadina di vicoli stretti e improvvise larghe piazze con numerose chiese, ortodosse e cristiane, fu a lungo dominata da Venezia quando era signora del mediterraneo orientale, poi dagli austriaci. È la città dei gatti, tantissimi che sonnecchiano tranquilli in ogni dove, c’è un museo dedicato a loro e artigianato felino a volontà. 

Una città turistica e si vede: orde di giapponesi, di turchi, indonesiani, arabi, meno europei e pochi italiani. Cittadina protagonista nella Seconda guerra mondiale delle gesta di soldati del battaglione Messina che si contrappose ai tedeschi dopo l’8 settembre. Al pomeriggio bagno di mare settembrino nella ridente Perast. La città di Nikšić, base per il trasferimento in Bosnia, espone nella piazza principale la statua a grandezza naturale dell’eroe della resistenza Ljubo Ćupić che sorride beffardo nel momento della sua fucilazione eseguita da cetnici e fascisti italiani, il 9 maggio 1942. 

Il viaggio riprende verso la meta successiva, Sutyeska, uno dei più importanti di tutta la ex Jugoslavia, attraverso la catena delle Alpi Dinariche e panorami spettacolari con i canyon del fiume Piva, un territorio ricco di acque, boschi e di zone incontaminate. Oltrepassare la frontiera della Bosnia con i rigidi controlli, ricorda cos’era l’Europa divisa. Giungiamo nel parco memoriale di Sutiyeska, Tjentiste dove si trova il più grande spomenik dedicato all’epica omonima battaglia, in cui l’esercito della resistenza jugoslava resistette all’attacco di ingenti forze nazifasciste, riuscendo a scampare al tentativo di annientamento. In quell’episodio Tito rimase ferito e rischiò di morire. Il museo della battaglia e il sacrario con i nomi di tutti i combattenti caduti, è un gioiello di pittura, enormi affreschi raccontano episodi della guerra di liberazione e richiamano valori di pace in contrapposizione agli orrori della guerra, una visita da non perdere. Lungo il viaggio il territorio bosniaco con le sue case distrutte o bruciate, ricorda gli orrori dell’ultima guerra del 95. 

Ritornati in Montenegro nella città di Pljevlja dove è eretto il monumento alla divisione partigiana Garibaldi, alla cui inaugurazione nel 1983 intervenne l’allora presidente della repubblica Sandro Pertini, comprendiamo la portata drammatica degli eventi che coinvolsero l’esercito italiano, dopo l’otto settembre del 1943, quando con l’armistizio e la resa agli alleati anglo americani, la fuga del re e degli alti gradi delle forze armate, le nostre truppe si ritrovarono senza ordini, abbandonate a se stesse, costrette  a decidere come comportarsi con gli ex alleati tedeschi ormai divenuti nemici, arrendersi a loro o combatterli. Una storia tragica di sofferenze immani. A Pljevlia la divisione Garibaldi appena costituita fu duramente attaccata e smembrata dai tedeschi, in seguito combatterono gloriosamente contro di loro. Alla scuola superiore che era stata sede del comando italiano, incontriamo docenti e studenti e ci rendiamo conto della cultura cosmopolita che si insegna, sotto l’ispirazione di Rosa Luxemburg

A Berne, incontro con le organizzazioni partigiane montenegrine e nel villaggio musulmano di Petnjica scopriamo in incontro sorprendente e struggente che esiste un monumento a soldati taliani caduti nella lotta antifascista a fianco della popolazione che avevano aiutato nei lunghi mesi di guerra, che non è stato mai visitato dalle autorità italiane. Scopriamo che c’è memoria riconoscente e solidarietà antifascista da un partigiano di 99 anni che ricorda tutto. Umanità calda sulle note di Bella ciao, e una bevuta di grappa. 

L’imponente monumento metafisico alla pace dell’architetto Bogdan Bogdanovic, ispirato alla pace e alla solidarietà internazionalista, ci ricorda che socialismo ha anche voluto dire coltivare un’aspirazione pacifica dei rapporti tra i popoli che poi è stato in realtà difficile preservare, se vediamo come vanno le cose del mondo anche a queste latitudini. 

Dopo aver visitato Vipazar sul lago di Scutari dove scoppiò l’insurrezione popolare montenegrina il 13 luglio del 1941, visto l’antica città di Bar (Antivar) con la splendida fortezza turca e il mercato musulmano, con un ultimo bagno sulla spiaggia di Velika-plaza termina il nostro viaggio super interessante ed emozionante nella storia molto poco conosciuta dell’Italia nel Montenegro della seconda guerra mondiale – tra cippi degli eccidi, monumenti, lapidi e scritte sui muri che il tempo ha levigato. Questa bella esperienza ci ha ricordato un tempo e una vicenda in cui gli italiani furono allo stesso tempo feroci aguzzini al pari dei nazisti ma anche combattenti per la libertà e la democrazia. È la nostra complessa identità storica. 

Le vicende della divisione Garibaldi in Montenegro sono raccontate da Eric Gobetti nel libro “la resistenza dimenticata” (ed. Mosaici) .

Fotoreportage dal viaggio in Montenegro:

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