Il fallimento dei referendum sul lavoro e sulla cittadinanza è rivelatore della crisi della democrazia italiana e del clima avvelenato dalle destre. La battaglia della CGIL per il lavoro riparte dai 14 milioni di sì
L’unica battaglia persa è quella che non si è combattuta. Il che non vuol certo dire che la sfida lanciata dalla CGIL per riportare un po’ di democrazia nel lavoro sia stata vinta: poco più del 30% degli italiani e delle italiane si sono recati alle urne e di conseguenza i 4 referendum sul lavoro e quello sulla cittadinanza sono stati bocciati per il mancato raggiungimento del quorum del 50% più uno degli iscritti alle liste elettorali. Decisamente pochi, meno rispetto alle aspettative, ai sondaggi e alle sensazioni delle ultime settimane. Il voto certifica la crisi democratica che da tempo colpisce l’Italia, la sfiducia dei cittadini verso la politica e in particolare verso le forze del centrosinistra che solo qualche anno fa avevano varato leggi liberiste che hanno ridotto i diritti dei lavoratori in nome del libero mercato e del lavoro flessibile, anzi precario. Lo scetticismo nei confronti dei referendum è legato anche al tradimento della politica che più volte ha contraddetto la volontà popolare: il referendum vinto sull’acqua pubblica non ha impedito la privatizzazione del bene comune, operazione a cui non si sono sottratte alcune regioni governate dal centrosinistra. E sul nucleare, per due volte gli elettori hanno gridato il loro No ma ora il governo Meloni (e non solo) si dice pronto a riaccendere i reattori. Non è sufficiente una vivace campagna elettorale per ricostruire un feeling tra cittadini e politica in un clima avvelenato dalle destre che devono la conquista del governo del Paese all’astensione, cioè alla crisi della partecipazione e della democrazia. Infine, è vero che il pesce comincia a puzzare dalla testa, ma ci vuole poco prima che l’intero suo corpo emani lo stesso odore. Trent’anni di liberismo hanno cambiato il Paese reale, contaminandolo, e la rassegnazione e il disinteresse sono i pilastri di presidenzialismi e sovranismi, dell’uomo solo, o donna che sia, al comando.
Dunque, quel miracolo che la CGIL e le forze del centrosinistra allargato al M5S sognavano non si è realizzato. L’abbiamo scritto e ripetuto ai lettori di area che i miracoli capitano di rado, e il voto dell’8-9 giugno l’ha confermato. Il che non significa che per la democrazia ci si deve battere solo se si ha la certezza di vincere. Non può consolare la considerazione, pur giusta, che i 14 milioni di voti di cui quasi il 90% con la crocetta sul Sì all’abrogazione di leggi ingiuste sul lavoro sono più dei voti raccolti dalle forze di destra alle elezioni politiche, perché quel che conta è che i referendum sono falliti. Né può consolarci che al mancato voto abbiano certamente contribuito l’ordine di scuderia lanciato da Meloni, La Russa e la troika delle destre a disertare le urne e andare al mare in due giornate di sole estivo. La destra fa il suo mestiere e non ha certo a cuore democrazia e partecipazione, e non a caso ha evitato di far coincidere le elezioni amministrative per i sindaci con i referendum, come testimonia il fatto che dove si è votato al ballottaggio e a Nuoro per il primo turno il 50% più uno è stato superato. Certo, l’informazione è stata manipolata, in gran parte negata. Tutto vero, come è vero che le donne hanno votato il 7% più degli uomini e che gli studenti fuori sede hanno votato e votato Sì. Ma la sconfitta resta e fa male. Com’era prevedibile si è votato di più nelle grandi città e in regioni come la Toscana e l’Emilia Romagna. Senza però trascurare i segnali negativi. Tra questi, il 35% dei no al quinto quesito, quello che proponeva di abbassare da 10 a 5 anni il diritto a richiedere la cittadinanza di chi vive, lavora, manda a scuola i figli e paga le tasse in Italia. Il che significa che se anche gli elettori di destra avessero votato il referendum sarebbe stato bocciato, a differenza di quelli sul lavoro. Razzismo e paure non riguardano solo i cittadini di destra, la guerra tra poveri non è un modo di dire.
Un’unità da capitalizzare
Eppure, segnali contraddittori e talora positivi ci sono e vanno colti. La battaglia della CGIL per i diritti del lavoro, dal reintegro dei licenziati ingiustamente alla lotta alla precarietà e alle morti e gli infortuni, ha riportato il lavoro al centro della politica e ha “costretto” il PD di Elly Schlein a schierarsi, con una severa autocritica sul jobs act renziano, e al M5S di Conte di entrare in gioco insieme con l’Alleanza Verdi Sinistra. Un’unità sui contenuti che andrebbe capitalizzata, anche se sono già partiti gli attacchi e le vendette della destra PD contro la segretaria. Il secondo aspetto positivo è che la CGIL con i suoi 5 milioni di iscritti ha battuto in lungo e in largo il Paese e convinto 14 milioni di persone a non dare per persi i diritti sul lavoro, e da qui dovrà ripartire magari praticando sul serio e senza rinvii il radicamento nel territorio, nella direzione del sindacato di strada e non più solo di fabbrica. Terzo elemento positivo è il risultato del voto per il rinnovo dei consigli comunali e dei sindaci: tutti i capoluoghi di provincia in cui si è votato, da Genova a Ravenna, da Taranto a Nuoro sono andati al centrosinistra, con l’eccezione della sola Matera dove le forze democratiche si erano presentate divise. Per dirlo con Paola Cortellesi, “C’è ancora domani”.
Per ultimo, il processo allo strumento del referendum che è l’unica forma di democrazia diretta in Costituzione. È insensato che si possa eleggere un senatore, un deputato, un presidente di regione o un sindaco a prescindere dal numero di votanti, a volte nettamente al di sotto del 50% mentre per i referendum sia necessaria la maggioranza assoluta. Ma perché le forze democratiche se lo chiedono solo ora, e non se l’erano chiesto quando governavano? Coerente quanto indecente la risposta del governo: invece di abbassare il quorum, raddoppiamo le firme da raccogliere per rendere possibile un referendum, da 500mila a un milione. Il modo più semplice per togliere la parola ai cittadini.
Questo articolo è stato pubblicato su Area il 10 giugno 2025