In un libro uscito nel 2025 – Come il cambiamento climatico potrebbe cambiare il mondo (frutto di un articolo pubblicato nel 2014 su Development and Society, essendo l’autore morto a gennaio del 2015) – Ulrich Beck, introduce il termine di metamorfosi, ovvero: «un cambiamento strutturale che fa saltare obiettivamente i capisaldi antropologici su cui si fondano le nostre società, rendendo possibile e necessario ciò che prima non lo era». Secondo Beck, la comunità ecologica (la cooperazione tra Stati precedentemente avversari tra loro) si forma, o si formerà, non per spinta positiva ma per spinta negativa, non per valori che uniscono ma per timori che uniscono. Se è dunque impossibile, allo stato attuale, la cooperazione tra paesi diversi è però possibile che si raggiunga un consenso negativo su ciò che, a tutti i costi, deve essere evitato: la catastrofe globale. Beck usa, in tal senso, l’espressione: “catastrofismo emancipatorio”, poiché se il rischio giunge come una minaccia, esso porta con sé anche la speranza e il desiderio di scongiurarla.
Cercherò, in questo scritto – relativamente al solo aspetto dell’energia – di attenermi a questo pensiero: rendere pensabile e credibile (cioè possibile ancorché necessario) ciò che per i governi, i politici, i mass media e l’opinione pubblica manipolata, non sarebbe possibile per motivi economici, sociali e politici. Il cambiamento, qualora fosse realizzato, rappresenta la più straordinaria occasione di evoluzione della civiltà umana che si sia mai presentata nella storia: costruire un sistema basato su regole universali in grado di organizzare la cooperazione tra i popoli di fronte al rischio climatico e, quindi, avvicinarci all’orizzonte della “pace perpetua” di Kant. È una tesi che si riallaccia a quella sostenuta da Ferrajoli nella sua Costituzione della terra (Per una costituzione della terra. L’umanità al bivio”, Feltrinelli, 2022 e, in ultimo, Progettare il futuro. Per un costituzionalismo globale, idem, 2025): «Se l’umanità vuole sopravvivere, poteri globali e aggressioni globali impongono un salto di civiltà, cioè un’espansione del costituzionalismo oltre lo Stato, all’altezza dei poteri da cui provengono le minacce al nostro futuro. È chiaro che questa espansione è possibile solo sulla base di un nuovo contratto sociale di carattere globale tra tutti gli Stati e i popoli del pianeta che istituisca, in forma vincolante, le garanzie universali della pace, dei diritti fondamentali di tutti e dei beni vitali della natura» (Come vincolare il potere politico, il manifesto, 11 aprile 2025). Se pure l’ipotesi di Beck può apparire utopistica, essa è nondimeno l’unica possibile, pena la stessa sopravvivenza delle specie umana e non. Egli sostiene infatti che l’alternativa è la barbarie, la guerra, il disastro dell’umanità nel suo complesso, ovvero il ritorno del nazionalismo e del sovranismo che cercano di opporsi, in modo reazionario e velleitario, al cambiamento del mondo che intanto si è oggettivamente affermato.
Il quadro internazionale appare assolutamente in controtendenza a questa tesi. Tuttavia è solo la convenienza anche economica della cooperazione tra i popoli rispetto alla tradizionale competizione nazionale, con conseguenti compromessi politici e ideologici – accettare che i regimi democratici cooperino con quelli autoritari in nome di una comune minaccia – che può consentire di uscire dalla catastrofe. Ciò che rende pensabile questa metamorfosi è il fatto che gli strumenti per affrontare la crisi climatica ci sono (mi limito ad elencarli dal solo punto di vista energetico), già potenzialmente disponibili e pronti per essere usati.
Si rende innanzi tutto necessaria una premessa. Il consumo attuale di energia non è un fatto naturale; esso potrebbe essere facilmente ridotto senza drastici cambiamenti dello stile di vita, ma solo cambiamenti di abitudini. Al tempo stesso una riduzione del consumo di energia migliorerebbe la stessa qualità della vita. Nel campo dei trasporti ad esempio (settore che consuma gradi quantità di energia soprattutto nelle città) si tratterebbe di passare dai trasporti individuali a quelli collettivi facendo risparmiare oltre all’energia una grande quantità di tempo e abbassare lo stress legato alla guida in città. Stesso discorso vale per l’isolamento termico degli edifici, la quantità di cibo sprecato e così via.
Ma il mondo è organizzato in modo diverso: la TV, ad esempio, ci bombarda di pubblicità sull’ultimo modello di auto appena uscito, inducendoci a credere come esso sia assolutamente necessario alla nostra esistenza, così come per i cellulari o i PC e, da ultima, l’IA, la cui potenza, in rapida crescita, continua ad aumentare il consumo di energia. Nulla si dice, poi, per quel riguarda la progettazione urbanistica delle nostre città che potrebbe essere realizzata diminuendo gli spostamenti (con la riapertura di negozi e botteghe contro il proliferare dei centri commerciali) e aumentando il parco di auto per un trasporto collettivo.
Qualunque discorso sui consumi di energia dovrebbe partire da una considerazione banale: le uniche fonti sostenibili (e per ciò rinnovabili) sono: il sole, il vento e l’acqua e quelle geotermiche. Altre diaboliche sostenibilità non esistono, tanto meno l’uranio sostenibile o l’idrogeno prodotto da energia elettrica. «Più che uno sforzo tecnologico, dunque, è necessario un cambiamento del paradigma economico e culturale, capace anche di garantire ricadute positive oltre che sulla qualità della vita, sull’occupazione» (Federico Butera, Sole, vento acqua. L’italia a emissioni zero nel 2050”, manifestolibri, 2023). I detrattori di questa tesi sostengono che queste fonti non basterebbero a soddisfare la domanda crescente di energia. Vedremo successivamente come questo non sia vero, ma in ogni caso, a prescindere da questa falsa affermazione, resta il fatto che diminuire l’energia consumata resta comunque un obiettivo necessario. Sempre i detrattori di questa metamorfosi rispondono che la soluzione più breve per raggiungere l’obiettivo di produzione di energia sia il nucleare. E qui il discorso diventa ingannevole e in malafede. Questa soluzione viene in realtà preferita poiché semplifica grossolanamente il problema e corrisponde a quella piaga del pensiero determinista e macchinista, esito della rivoluzione scientifica del Seicento (di Cartesio in particolare).
Qualche riflessione sui tipi di energia(con considerazioni che derivano, in molta parte, da un seminario svolto dal prof. Giorgio Parisi nel marzo del 2025).
Tornando al nucleare dobbiamo fare confronti tra questo tipo di energia e quella eolica o solare. Il solare, soprattutto per l’Italia costituisce la fonte di energia più efficiente ed economica per ovvii motivi di conformazione geografica. Il costo del fotovoltaico è inoltre almeno tre volte inferiore a quello del nucleare. Poi c’è da mettere in conto il rischio di incidenti come: Chernobyl e Fukushima. A Chernobyl, dopo l’incidente, si sono creati duemila kmq inabitabili attorno alla centrale (una superficie pari alla pianura padana), mentre a Fukushima si è stati costretti a ricorrere a una evacuazione forzata. Infine per l’Italia il nucleare è sconsigliabile perché è un paese ad alta densità abitativa (ancora non si è deciso dove collocare le scorie delle ex centrali in dismissione)
Perché allora dovremmo fare il nucleare? Le risposte, ci dicono, sono due: la prima, è che il fotovoltaico e l’eolico consumerebbero grandi quantità di suolo, attualmente destinato all’agricoltura. Il secondo è che l’energia solare è intermittente, ovvero la sua produzione varia nell’arco del tempo (giorno/notte, inverno/estate). A queste obiezioni si risponde facilmente. In Italia sono pochissimi i tetti degli edifici con pannelli solari, le fabbriche poi hanno solo il 7% di impianti solari sui tetti. Poi ci sarebbero i parcheggi, gli edifici pubblici come scuole ecc. e, infine l’agrivoltaico, ovvero l’uso del fotovoltaico nel quale possono convivere agricoltura tradizionale e solare, diminuendo al tempo stesso la quantità di acqua necessaria. L’altro motivo è che un pannello solare in Italia produce il 40% in più rispetto a quello installato in Germania. Nonostante questo la Germania ha 70 installazioni di solare per 70 Gw. In Cina, nel 2024, si sono installati due terzi degli impianti fotovoltaici di tutto il resto del mondo e in 10 anni i costi si sono ridotti del 90% e la ricerca applicata sui materiali e la loro efficienza continua. L’unico vantaggio (apparente) del nucleare di IV generazione è che usa il plutonio sotto forma di scorie delle centrali nucleari vere e proprie. In realtà non ci sono reattori di IV generazione funzionanti ma solo prototipi, ovvero progetti. Ricordiamo la storia del Superfenix costruito nel 1976, terminato 10 anni dopo, costato 20 miliardi, ha lavorato solo per qualche mese e poi dopo è stato chiuso perché era necessaria una grande quantità di acqua per il raffreddamento. L’acqua, però, rallentava il reattore tanto che il Superfenix veniva raffreddato con sodio fuso. Poi ci sono i mini reattori che avrebbero il vantaggio di essere costruiti in serie oltre ad essere meno pericolosi; anche questi hanno bisogno di una verifica lunga di tempi. Riassumendo il nucleare di IV generazione non è diverso da quello bocciato dai due referendum nazionali, il Superfenix ha fallito e i mini reattori sono di là da venire.
Infine c’è da fare il confronto tra solare e nucleare rispetto al problema dell’intermittenza del solare. La variazione del solare può essere recuperata in due modi: con le batterie al litio o con l’idroelettrico pompato (sollevare l’acqua nelle ore di poca o scarsa esposizione del sole e sfruttare il salto nelle ore di punta), o, ancora, attraverso l’immagazzinamento dell’energia elettrica domestica che può essere usata per le pompe di calore in inverno. Infine il surplus di energia elettrica da fotovoltaico può essere usata per produrre carburanti sintetici come l’idrogeno (per navi o aerei per i quali non si possono usare le batterie).
L’ultima energia sostenibile è quella geotermica, rinnovabile e non intermittente. L’Italia ha luoghi di produzione eccellenti, come Lardarello, dove si produce energia elettrica direttamente oppure indirettamente per scaldare le case, inoltre la geotermia è rinnovabile e non intermittente. In Cina sono enormi i processi di sfruttamento della geotermia per riscaldare le case con impianti che sono quattro volte quelli del resto del mondo in modo da ridurre i costi e i consumi di energia, con l’obiettivo di arrivare in 20 anni a eliminare le importazioni di petrolio.
Questo articolo è stato pubblicato su Volere la luina il 28 aprile 2025