L’Italia è un paese sicuro? La risposta non può che essere negativa, se si pensa all’aumento costante degli infortuni e delle morti sul lavoro. E cosa fa il governo Meloni? Niente, anzi aumenta nei fatti l’impunità delle imprese. In generale, l’Italia non è un paese sicuro per i lavoratori resi sempre più precari e poveri, con i giovani costretti a emigrare per trovare un lavoro e un salario decenti oltre frontiera. Non è certo un paese sicuro, il nostro, per i migranti alla ricerca disperata di un futuro fuori da guerre, carestie, dittature, sempre più costretti alla clandestinità e all’illegalità e non è sicuro per chi tenta di salvarli dai marosi e dagli aguzzini libici, trattato non da eroe ma da presunto trafficante di uomini e spiato dallo Stato attraverso i servizi segreti con l’utilizzo di raffinate tecnologie israeliane (Paragon).
Non è certo un paese sicuro per i detenuti, sempre più numerosi per colpa di leggi liberticide, costretti in carceri sovraffollate (65mila prigionieri a fronte di una capienza di 46mila posti effettivi), quasi sempre privati del diritto al lavoro, spesso trattati come i prigionieri di Abu Ghraib e in diversi casi certificati sadicamente maltrattati e torturati. Non è sicuro per gli studenti e gli ambientalisti manganellati a ogni piè sospinto. Gli ultimi casi vedono come vittime i ragazzi e le ragazze di Extinction rebellion, Ultima generazione e Palestina libera, fermati a decine e denunciati per un sit-in di protesta davanti a una fabbrica di armi, la Leonardo. Raccontano alcune manifestanti: “Portate in caserma, costrette a denudarci e a effettuare piegamenti” anche “alla presenza di poliziotti maschi”. Una di loro aggiunge l’imbarazzo alla rabbia, “avevo le mestruazioni”. Certo, non si sentivano sicure dopo quel trattamento e le denunce piovute tra capo e collo. Ora, però, i denunciati per sequestro di persona, perquisizioni degradanti e violenza privata sono gli aguzzini in divisa. Nelle scuole si torna alle pagelle vecchio stile, con tanto di voto in condotta e pene pesanti fino alla bocciatura per gli studenti indisciplinati. Dice il ministro dell’istruzione che questa è la cura “per uscire dai fumi tossici del ’68”.
Provvedimento per regolare i conti dentro la maggioranza
Dunque, c’è poco da star sicuri e ben venga una nuova legislazione. Peccato che il decreto-legge varato dal Consiglio dei ministri pochi giorni fa vada nella direzione opposta, cioè di una ulteriore riduzione della libertà individuale e collettiva, dunque della sicurezza dei cittadini, e della criminalizzazione del dissenso. Il giurista Patrizio Gonnella, anima dell’associazione Antigone, non usa mezze parole per riassumere la natura del decreto: “È il più grande attacco alla libertà di protesta nella storia repubblicana”. A partire dalla forma, dato che il governo ha bloccato la discussione parlamentare perché aveva fretta di approvare le nuove norme liberticide volute in particolare dal vicepremier Salvini, impossessandosi del provvedimento sulla sicurezza per trasformarlo in decreto d’urgenza. In questo modo è stato di fatto sottratto al dibattito e all’eventuale modifica parlamentare con i deputati e i senatori ridotti a certificatori, potendo al massimo strappare nel pochissimo tempo concesso alla discussione minime modifiche. Costituzionalmente i decreti d’urgenza sono consentiti solo in situazioni straordinarie come i terremoti o le alluvioni, non certo per regolare i conti nella maggioranza di governo.
Sterilizzazione delle lotte
Leggendo il contenuto dei 34 articoli del decreto d’urgenza, vien voglia di invocare l’intervento del Tribunale dell’ONU per i diritti umani. Alcuni degli aspetti securitari più liberticidi del progetto originario delle destre sono stati attenuati e in un paio di casi eliminati (uno riguarda la galera per le donne incinte con figli di meno di un anno, l’altro il divieto ai migranti privi di visto di soggiorno e magari richiedenti asilo di acquistare una SIM telefonica) solo grazie all’intervento del Quirinale che ne aveva segnalato l’incostituzionalità. Ma quel che resta nel decreto continua a fare paura. Gli agenti e i militari indagati o imputati per abusi non saranno sospesi dal servizio, al contrario lo Stato si farà carico delle spese legali. Tradotto: impunità. Le pene per i “colpevoli” di proteste saranno aggravate di un terzo, fino a 5 anni di carcere e 15mila euro di multa e si introduce un nuovo reato di lesioni gravi a pubblico ufficiale con tanto di arresto in flagranza anche soltanto per resistenza passiva (dalle opposizioni è chiamata norma anti-Gandhi). Questo reato vale anche in caso di proteste in carcere. Il blocco stradale da illecito è trasformato in reato e punito con un mese di carcere e 300 euro di multa se attuato da una sola persona (cioè mai), ma se il blocco avviene nel corso di una manifestazione ed è effettuato da più persone (cioè sempre) sono previsti fino a 6 anni di galera. Così si sterilizzano le lotte operaie, solo per fare un esempio.
Il decreto-legge prevede sanzioni più dure di quelle oggi in vigore in caso di proteste “ai danni di grandi opere” e infrastrutture strategiche. Guai a opporsi alla TAV in Val di Susa o al ponte sullo stretto di Messina. Invece di rendere più semplice la concessione della cittadinanza italiana, il decreto-legge rende più facile la sua revoca in caso di condanne. Il reato di occupazione di immobili è punito più severamente di quanto lo sia oggi, con condanne fino a 7 anni di carcere per gli occupanti. Il movimento per il diritto alla casa è avvisato. Non bastando al governo Meloni la criminalizzazione dello spinello, ora si vieta anche la cannabis light che finora aveva un mercato legale e dava lavoro a migliaia di persone: la messa al bando dell’intera filiera avrà dunque anche gravi conseguenze occupazionali. Dulcis in fundo – ma abbiamo segnalato solo gli aspetti più gravi del decreto sicurezza – l’introduzione dell’aggravante per tutti i cosiddetti reati sociali nel caso in cui si perseguano nelle stazioni. E con questo, le manifestazioni operaie contro i licenziamenti dovranno tenersi a debita distanza dai binari. Questa norma dev’essere stata fatta inserire dal ministro dei trasporti Salvini, come se i ritardi dei treni fossero provocati dalle lotte dei lavoratori o degli ambientalisti o degli studenti. A proposito degli studenti, il governo è stato costretto ad alleggerire rispetto al testo iniziale della maggioranza la norma che concede il libero accesso dei servizi segreti negli atenei e nella pubblica amministrazione, e dunque obbliga le università a fornire all’intelligence tutti i dati richiesti sugli studenti, in palese violazione della privacy.
Solo una grande mobilitazione popolare potrebbe fermare questo mostro giuridico che trasformerebbe l’Italia in uno stato di polizia. A dire il vero, anche il presidente della Repubblica potrebbe dire la sua rifiutandosi di firmare il testo eventualmente approvato da un Parlamento silenziato. In caso contrario, l’unica possibilità rimanente per salvare la nostra civiltà giuridica dall’assalto fascista è il ricorso all’arma del referendum. Le opposizioni politiche e sociali insieme ai migliori giuristi italiani stanno verificando la possibilità, in extremis, di percorrere questa strada, qualora le altre due ipotesi dovessero venir meno.
Questo articolo è stato pubblicato su Area il 10 aprile 2025