Il 18 settembre, in appena una settimana di discussione, è stato approvato alla Camera il testo del disegno di legge 1660 “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”. Sommerso dalle notizie sui gossip ministeriali, fino a poco tempo fa di questo ddl si è parlato poco. Proposto a gennaio scorso, la sua discussione è rimasta ferma fino a luglio, dopodiché si è rapidamente arrivati all’approvazione alla Camera, e il testo diventerà legge se verrà approvato anche dal Senato.
Le riflessioni qui riportate sono il frutto dell’approfondimento del contenuto del ddl e del confronto nell’assemblea di Antigone Campania.
QUALE SICUREZZA?
Il nuovo disegno di legge prevede un insieme di disposizioni in perfetta continuità con l’operato del governo Meloni, dal decreto rave al decreto Caivano, passando per il decreto Cutro: introduzione di nuovi reati, inasprimento delle pene, ampliamento dei poteri dell’autorità di pubblica sicurezza e dell’operatività di strumenti limitativi delle libertà personali (Daspo urbano, foglio di via, arresto in flagranza differita), aumento del controllo penale sui gruppi sociali più marginalizzati e garanzia di uno statuto privilegiato alle forze di polizia.
Il testo è suddiviso in sei capi, ma le novità più rilevanti sono contenute nei primi tre, rispettivamente in materia di terrorismo e criminalità organizzata, sicurezza urbana, tutela del personale di forze di polizia, forze armate, vigili del fuoco e degli organismi di intelligence. Già questa ripartizione rappresenta di per sé un programma politico chiaro e definitorio di ciò che il governo intende per sicurezza: obbedienza all’autorità statale, repressione del dissenso, criminalizzazione e ghettizzazione delle minoranze e delle categorie sociali ritenute “nemiche” o attentatrici della conservazione dello status quo. Un’ulteriore svolta politica repressiva mascherata da esigenze securitarie, che ignora le cause del disagio e che insegue il consenso attraverso provvedimenti muscolari ed esclusivamente punitivi. Un’idea di sicurezza con una consistenza solo mediatica e propagandistica che, nel proporre il controllo penale e la repressione di polizia come uniche soluzioni alla domanda di sicurezza della società, alimenta disagio e marginalità.
LA GUERRA INTERNA
Questo pacchetto ha un contenuto vasto e disomogeneo, interviene su materie diverse e complesse e non è possibile in questa sede farne una trattazione esaustiva. Tuttavia le direttrici comuni possono essere sintetizzate nell’intenzione di moltiplicare il potenziale repressivo della forza pubblica nei confronti di due gruppi umani: le persone poste ai margini della società, senza cittadinanza, senza lavoro, senza casa o che comunque minacciano il decoro urbano; i militanti politici, espressione di critica e dissenso, mirando poi a colpire quei punti di intersezione tra disagio e organizzazione delle lotte che minacciano l’ordine costituito e la pace sociale.
Altra categoria colpita dalle disposizioni del ddl è quella delle persone detenute. Immediatamente problematico risulta l’articolo 15 del pacchetto, che trasforma da obbligatorio a facoltativo il differimento dell’esecuzione della pena nei confronti di donne incinte o madri di prole di età inferiore a un anno. Nonostante il vigente obbligo di rimandare l’esecuzione della pena, è comunque possibile che una donna incinta finisca in carcere¹, ma sicuramente l’effetto di questa modifica sarà quello di moltiplicare il numero dei casi in cui assisteremo a questa aberrazione, a danno soprattutto delle donne senza fissa dimora e straniere che, non disponendo spesso di un domicilio alternativo, più facilmente saranno detenute anche se incinte o madri di neonati.
Ulteriori previsioni riguardano l’introduzione del reato di rivolta in istituto penitenziario e in centri di trattenimento per persone migranti², anche in riferimento a comportamenti di per sé privi di qualsiasi connotato violento, come condotte di resistenza passiva o semplice disobbedienza agli ordini.
Questi luoghi di privazione della libertà rappresentano il vertice di quella che possiamo immaginare come una piramide della repressione e del controllo sociale, e per questo la disciplina sulla gestione di questi spazi regola i conflitti laddove questi sono più chiari ed evidenti. Le carceri oggi versano in condizioni critiche, con un sovraffollamento medio del centotrenta per cento: negli istituti penitenziari le condizioni di esistenza sono indegne e insopportabili, e contro di esse spesso le persone detenute protestano, più spesso con scioperi pacifici, talvolta rivoltandosi. Il testo prevede la punibilità dei partecipanti e degli organizzatori, con pene che possono arrivare fino a vent’anni se la rivolta è compiuta con uso di armi, oppure se a causa della rivolta si verifichino eventi di lesione o di morte. Il legislatore – considerando anche le continue proposte di abrogazione del reato di tortura – lancia un segnale di sostegno politico ai sindacati di polizia penitenziaria, concedendo carta bianca agli agenti nella gestione dei conflitti entro le carceri, legittimando l’uso della forza attraverso una copertura mediatica e giudiziaria della polizia fondata sulla criminalizzazione della popolazione detenuta.
Per la tutela del decoro urbano, poi, si ampliano le ipotesi e aumentano le pene del reato di impiego di minori nell’accattonaggio; inoltre diventa possibile applicare il Daspo urbano³ in base alla sola denuncia – omologando la disciplina a quella prevista per il Daspo negli stadi – indipendentemente quindi dall’accertamento della responsabilità penale per reati contro il patrimonio e contro la persona commessi in determinati luoghi tra i quali stazioni ferroviarie, aereoportuali e marittime.
Altri bersagli delle nuove restrizioni sono le persone migranti. L’articolo 32 del pacchetto vieta agli esercizi commerciali di vendere sim ai cittadini extra-Ue sprovvisti di regolare permesso di soggiorno. Una norma che aggrava l’emarginazione nella quale tendenzialmente già versa una persona priva del permesso di soggiorno, cui viene negata anche la possibilità di comunicare. Sempre destinata alle persone migranti è la proposta di riforma della disciplina sulla revoca della cittadinanza acquisita dopo la nascita. In virtù della normativa vigente è già possibile revocare la cittadinanza di una persona condannata per alcuni reati tra cui terrorismo, associazione mafiosa, rapina o estorsione aggravata, entro tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna. La riforma proposta introduce il dubbio requisito della “possibilità di ottenere un’altra cittadinanza” come presupposto per la revoca, e allunga il termine per la decisione da tre a dieci anni. In questo modo, oltre che aumentare il rischio di creare apolidi, si manterranno per lunghi anni persone già fragili, destinatarie di condanna, in una condizione di incertezza determinata dalla minaccia di perdere la cittadinanza.
Ulteriori previsioni riguardano poi l’introduzione di un reato ad hoc per punire le condotte di occupazione o di cooperazione nell’occupazione degli immobili destinati a domicilio altrui, con ampi poteri di intervento da parte della polizia che, in alcuni casi, potrà ordinare l’immediato rilascio anche in base al mero sospetto dell’illegittimità dell’occupazione.
LOTTE E DISSENSO
Un ulteriore giro di vite repressivo è finalizzato a ridurre gli spazi di agibilità dei militanti politici, con l’intento di criminalizzare condotte pacifiche e inoffensive espressione di dissenso, e di aggravare il trattamento sanzionatorio per quei reati che più spesso vengono contestati in occasione di manifestazioni di carattere politico. L’articolo 1 propone di introdurre modifiche al Codice penale che renderebbero punibile, anche come condotte di terrorismo, la diffusione o la detenzione di materiale contenente istruzioni su tecniche e metodi per compiere atti di violenza o di sabotaggio con finalità di terrorismo, oppure al fine di commettere reati contro l’incolumità pubblica. Questo arretramento della soglia di rilevanza penale porta a sanzionare anche comportamenti ben lontani dalla commissione di reati, rendendo potenzialmente punibili anche le attività di informazione e propaganda su pratiche di lotta.
Tra le norme del capo II spiccano nuove fattispecie di reato calibrate su misura contro quelle forme di protesta che negli ultimi anni hanno fatto notizia. Per esempio, diventa reato il blocco stradale non violento, compiuto ostruendo il traffico con il solo corpo; condotta praticata dai movimenti di lotta per il clima o anche come modalità di esercizio del diritto di sciopero, che attualmente integra un illecito amministrativo. È poi suggerita l’introduzione di un nuovo reato che punisce il deturpamento di beni adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche allo scopo di ledere l’onore o il decoro dell’istituzione.
Numerose sono le norme a tutela delle forze dell’ordine, di cui si ampliano poteri e attribuzioni, garantendogli una vera e propria immunità legata all’esercizio della funzione. Per esempio, si aggrava il trattamento sanzionatorio per alcuni reati in base alla qualifica della vittima se è “ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza”.
Nei casi di violenza o minaccia e resistenza a pubblico ufficiale commessi contro poliziotti, la pena è aumentata di un terzo, senza la possibilità per il giudice di poter graduarla o ritenere prevalenti le circostanze attenuanti. Le pene per questi reati sono poi ulteriormente innalzate se la condotta è realizzata in occasione di manifestazioni contro la realizzazione di grandi opere o infrastrutture strategiche, come la Tav o il ponte sullo Stretto.
Inoltre, il ddl introduce un nuovo reato di lesioni personali nel caso in cui la persona offesa sia un agente di polizia. Generalizzando l’ambito di applicazione di una norma speciale già vigente, nata per contrastare il fenomeno ultras, se il pacchetto sicurezza sarà legge ogni lesione ai danni di un agente di polizia nell’esercizio delle funzioni sarà punita più gravemente di quella inferta a un altro cittadino: in caso di lesioni lievi da due a cinque anni di reclusione, fino a sedici anni per le lesioni gravissime.
L’ALLEANZA CON LA POLIZIA
L’intento del ddl è quello di stringere le maglie del controllo penale e di polizia sulla società, criminalizzando i soggetti più emarginati e aggredendo quelle forme organizzate di espressione del dissenso che mettono in discussione lo stato di cose presenti. Il ddl mira a colpire là dove le lotte si intersecano con il disagio e lo organizzano proponendo soluzioni militanti a questioni come l’aumento degli affitti, le condizioni di lavoro e la giustizia climatica. Questo progetto è perseguito cercando un’alleanza con le forze di polizia, protagoniste del ddl e destinatarie – loro sì – di vere e proprie politiche di sostegno.
Nell’impianto del ddl gli agenti di polizia sono infatti identificati con la sicurezza stessa, e per questo sono protetti sia dalle minacce provenienti dalle strade (aggravando il trattamento sanzionatorio dei reati commessi ai loro danni), sia dalle conseguenze penali, civili e amministrative delle loro condotte nelle aule dei tribunali. Significativa è a questo proposito la previsione della possibilità, per gli appartenenti alle forze di polizia, di poter ottenere dallo Stato una somma – fino a diecimila euro per fase processuale – a copertura delle spese legali per “fatti inerenti al servizio” per cui sono a processo.
In ultimo, ed è forse la previsione maggiormente preoccupante, l’articolo 28 del ddl si propone di liberalizzare il porto d’armi per tutti gli agenti di pubblica sicurezza, favorendo il potenziale ricorso alla violenza nelle strade da parte dei circa trecentomila appartenenti ai vari comparti delle forze dell’ordine. Questi ultimi potranno infatti detenere e portare in strada, fuori servizio e senza necessità di licenza, un’arma ulteriore e diversa in aggiunta alla pistola d’ordinanza già posseduta. Il tutto per consentire agli agenti di operare senza rischiare conseguenze penali per porto abusivo di armi, come espressamente dichiarato nella relazione illustrativa del progetto di legge.
In questo scenario è evidente che il ddl 1660, aumentando l’insicurezza e la distanza dalle istanze sociali, è una minaccia per la libertà di critica e di manifestazione del dissenso. Un pericoloso progetto autoritario avverso il quale molte realtà, tra cui la Rete nazionale “Libere/i di lottare: contro il ddl 1660”, stanno organizzando manifestazioni e appuntamenti di lotta come il corteo del 28 ottobre a Napoli, per contestare l’avvio del maxi-processo contro i disoccupati organizzati napoletani per fatti legati alla lotta per il lavoro, la dignità e, se vogliamo, per una reale sicurezza. (gaia barone, raffaele tartaglia)
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¹ Al 31 dicembre 2023 ben dodici donne incinte si trovavano detenute tra icam e sezioni nido nelle carceri ordinarie.
² Emblematico che attraverso la previsione legislativa si equiparino tacitamente i Cpr alle carceri, nonostante si sia sempre negata la natura di luoghi di detenzione dei primi.
³ Il Daspo urbano, introdotto dal governo Gentiloni nel 2017, è un obbligo di allontanamento, o un vero e proprio divieto di accesso, a determinate aree urbane, emanato dal sindaco o dal questore nei confronti di persone che minacciano il decoro e la sicurezza.
Questo articolo è stato pubblicato su Monitor il 30 settembre 2024