Santa Giovanna protettora della Polis

di Silvia Napoli /
18 Maggio 2024 /

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Ci sono termini talmente abusati nella vulgata corrente e nell’immaginario più spicciolo e mercantile da aver perso quasi completamente un potere evocativo forte. Senza dubbio uno di questi è l’aggettivo dark che pure ha una sua consolidata matrice rock ed una tradizione fashionista importante. Se volete tuttavia sperimentare un tuffo nella vertigine del male novecentesco e andare alle radici culturali di un disastro che ohimè non conosce campi innocenti, dovreste assolutamente lasciarvi avvolgere da questa opera totale dedicata alla contro eroina – contraltare della luminosità epica della pulzella d’Orleans, che è la Santa Giovanna dei macelli concepita da Bertold Brecht negli anni 30, una Giovanna Dark, di nome e a tutti gli effetti, come il compattissimo lavoro degli Eros Anteros insieme ai Laibach, ci consegna sapientemente. L’esito più sorprendente e interessante di questa che non è una rilettura, ma una visita reverente nel magistero brechtiano senza tuttavia complessi di sorta, anzi con una speditezza e una chiarezza di idee che fanno scorrere più di due ore di spettacolo senza attimi né di noia né di tregua è il saper conciliare l’impianto dimostrativo didascalico, il porsi dichiarato come teatro a tesi, con un portato di ambiguità multilivello, che irradiano certo dalla figura di Giovanna, ma non solo, tali da interagire naturalmente e senza forzature con la sensibilità e la angst contemporanea.  

Così, se da un lato la scelta cromatica è molto forte vertendo sul bianco il nero e il rosso, ammorbiditi o incruditi dal gioco delle luci e dei visuals a seconda dei casi, i contrasti tra i personaggi e il loro essere portatori di istanze e interessi contrapposti come è giusto che sia, pur invitandoci ad un orientamento e a un posizionamento, non sono risolutori e in qualche modo quantomeno di coscienza, pacificanti, ma scavano invece nelle contraddizioni di cui tutti siamo pregni.  

Altro dato è la coralità del lavoro, che se è un dato filologico, qui viene esaltata al massimo dal meccanismo coproduttivo e dal dato multilinguistico in scena, che una tantum non sono solo vezzo, o far di necessità virtù, ma l’esplodere conseguente nello stato attuale delle cose di una tragica partitura sanguinosa heritage dal secolo breve.  

Sono così tanti gli elementi di interesse in campo per questa che è anche, una produzione Ert, che non potevamo che discuterne insieme ad Agata/Giovanna  Tomšič, fervida mente cosmopolita degli Eros Anteros insieme a Davide Sacco. Entrambi firmano ideazione, regia, messa a punto dello spazio scenico, elemento non secondario che vede farsi i Laibach orchestra sul palco e coro da tragedia greca contemporaneamente  

Da dove vogliamo cominciare? A me piacerebbe partire dal fatto produttivo. Qui noi vediamo questa prima assoluta in Arena e dunque in territorio Ert, ma la realtà è molto più complessa e vi proietta in qualche modo in una dimensione anche sganciata da alcuni stilemi della vague teatrale da Romagna felix. Inoltre, per noi tutti un po’ orfani de Le vie Festival, certamente un modulo da ripensare, ma che comunque apriva finestre anche linguistico-espressive intriganti, le commistioni sonore, emotive, antropologiche che lo spettacolo, una estesa performance collettiva, potremmo dire, promuove, sono particolarmente ficcanti.  

Questo lavoro è infatti una collaborazione produttiva virtuosa con Slovensko Mladinsko Gledalisce di Lubiana insieme a Cankarajev Dom – Theatre National du Luxembourg, il nostro Polis Festival (tuttora in corso, n.d.r.), il Teatro Stabile di Bolzano e lo spettacolo è agito in italiano, sloveno, tedesco, inglese sovratitolati. Tutto questo, non solo ha un senso contenutistico molto attuale, ma si collega alle tue osservazioni generali. In realtà, noi siamo cresciuti a pieno titolo dentro quel felice contesto che tanto ci ha dato e continua a darci. Un habitat fortunato in qualche modo e con cui continuiamo a collaborare fattivamente. Il nostro festival così territorializzato sta lì a dimostrarlo. Il fatto è che abbiamo sempre viaggiato molto e ci siamo anche formati su situazioni e approcci molto differenti. Questo certo ha nutrito il nostro immaginario. Ma per quanto riguarda il resto d’Europa ci sono grandi differenze con la nostra condizione culturale italiana, per quanto il quadro sia un po’ fosco dappertutto in un momento storico come questo.  

Quando noi parliamo con certe realtà del Nord e in parte est Europa e valutano la nostra situazione proprio in termini di tutele etc. si mettono le mani nei capelli e a volte ci dicono di scrivere una petizione all’alta corte per i diritti umani… non riusciamo neppure ad avere una legge sulle intermittenze vagamente simile a quella francese… Dunque, loro hanno dei meccanismi di residenza stabilizzati e connessi con le comunità. Si possono permettere anche di uscire dalla logica produrre sempre qualcosa di nuovo a tutti i costi e di coltivare un repertorio. Per questo Brecht in altri posti si rappresenta ancora molto. Mentre qui è un po’ caduto se non in disgrazia nell’oblio, o nella messa tra parentesi come del resto una serie di istanze ideologiche e sociali che ne sostenevano viceversa la fama negli anni 60. Insomma, non riusciamo a considerarlo un classico a pieno titolo e proprio per questo non è soggetto a molte rivisitazioni e sperimentazioni. Viceversa, noi ci abbiamo lavorato già in passato, proponemmo già da giovanissimi un nostro lavoro su Brecht alle Albe, tuttora ne proponiamo un altro all’interno di Polis che sono le famose ma mai “rappresentate”, o meglio messe come reading concerto, difficoltà per gli intellettuali a dire la verità, tema attuale in modo sconcertante.  

Noi in altri termini, consideriamo che la qualità politica e artistica di Brecht non sia la sua appartenenza partitica o meno o l’aver dettato un apparato concettuale per la messa in scena, quanto la visionarietà, un aspetto che non viene in risalto perché ci si lascia intimidire appunto dai meccanismi di raggelamento delle emozioni da lui stesso indicati. Ma questo non significa che passione, ironia, amarezza, un disperato bisogno di speranza non siano alla base di tutto il suo vasto lavoro. Anche in questa Giovanna di sarcasmo ce n’è tantissimo e non solo. Da anni poi io e Davide pensiamo che tutto questo recitare e sentir recitare in italiano, il che comporta anche un adattamento evidente alle sensibilità nostrane di tutti gli autori anche stranieri messi in scena, ci aveva un po’ stancato. Altrove è molto più normale così come non doppiare i film ma sottotitolarli, vedere spettacoli in lingua originale o in lingue che possano essere comprese in maniera maggioritaria… così questo progetto ci è sembrato perfetto per realizzare un po’ il nostro sogno… Un progetto a cui abbiamo lavorato tanto nel tempo, a cui avevamo cominciato a pensare in periodo covid e che proprio per questo poi ci ha imposto stop and go, ma anche consentito molti scambi di vedute…. 

Come avete lavorato sul testo e perché questo in particolare  

In verità, abbiamo semplicemente minuziosamente letto il testo brechtiano perché le ambiguità, le aporie, le domande sottintese sono tutte già li. Non abbiamo cambiato praticamente niente… Questo testo in particolare per noi era quasi una magnifica ossessione… per via della sua volontà di rappresentare l’essenza stessa del Capitalismo. Una sorta di gioco a squadre in cui tutti sono un po’ pedine… non è un caso che normalmente si dica giocare in borsa. Brecht aveva compreso quale crudeltà si esplichi nel capitalismo finanziario a cui ora noi possiamo aggiungere il dato tecnologico che rende tutto ancora più immateriale. Se vuoi un paradosso dato che si parla di produzione di carne. Tutto questo certo, comprese le allusioni di Mauler al sacrificio del bue e dei vitelli oggi ha anche il sapore di una accusa allo specismo. La materialità delle pratiche mortifere del Capitale si evidenzia nello sgocciolamento continuo di sangue, che funge anche da tappeto sonoro nella vasca boudoir in cui si immerge lo stesso super capitalista con fare gigione e richiamo figurativo pittorico. Questo aspetto oscuro dell’irraggiungibilità quasi dell’intangibilità del Capitale viene rappresentata dalle call tra managers imprenditori investitori. In qualche modo personaggi con un tocco villain un po’ fassbinderiano tra pellicce e vestaglie. Perché se ci pensi si possono spostare anche in ciabatte montagne di soldi. O cambiare destino di persone. Poi abbiamo le breaking news che irrompono con una grafica, una tipologia di  

font da giornale scandalistico e sostituiscono certo i mitici cartelli degli allestimenti classici. Qui si evidenzia la natura dell’informazione nella pervasività del sistema. Una natura puramente enunciativa comunicativa che non ammette repliche. Poi abbiamo la manovalanza. Gli operai alla fame che in qualche modo vorrebbero organizzarsi travolti come sentono di essere da un gioco e giogo letteralmente (in fondo sono loro i poveri vitelli), speculativo e apparentemente insensato. Essi indossano tutte bianche forse simbolo di innocenza ma anche esse evocative di attualità e parlano in lingua slovena. In fondo in maniera anche filologica sé pensiamo alla composizione migratoria dei lavoratori nell’America che Brecht conobbe. I capitalisti si esprimono in tedesco. Gli annunci sono in lingua inglese: il nostro esperanto praticamente. Un richiamo vagamente strheleriano può essere rappresentato dalla figura del nuovo corpo intermedio, il mediatore manager segretario factotum che tiene tutte le fila perché comprende tutte le lingue e traduce in qualche modo persino le intenzioni: lui si muove agile quasi felino ma anche arlecchinesco tra i tanti padroni. Può ricordarci tante figure opache di cui si nutre anche il capitalismo di oggi, se pensiamo a tutti quelli che da qualche parte insieme agli algoritmi controllano e censurano le nostre esternazioni sui social o predispongono consumi e prodotti ad personam.  

Puoi dirci qualcosa in più sui registri recitativi e sulle figure cardine dell’opera? Naturalmente anche sugli aspetti musicali. 

Come abbiamo detto all’inizio l’impatto linguistico si porta dietro registri e sensibilità diverse che abbiamo cercato di coordinare in modo che mantenessero identità e specificità senza risultare nessuno prevalente. Sulla stratificazione di interessi tra produttori e speculatori si stagliano Giovanna, i black hats, Mauler naturalmente che agisce come deus ex machina della tragedia. Per quello che riguarda me non nascondo che il ruolo intanto bilingue a sottolineare la natura molteplice della protagonista, non è stato per nulla facile. Ho avuto momenti in cui temevo di non farcela a trovare la chiave giusta. Il fatto è che specie nella tradizione italiana appunto Giovanna è una santarellina. Io invece ho voluto mettere in luce tutte le ambiguità del caso. Giovanna entra ed esce dai black hats, in fondo sta sempre a chiedere soldi al suo presunto antagonista persino con atteggiamenti lolitesco-seduttivi e si riserva di cambiare opinione sui metodi di lotta. Alla fine, quando scende tra il pubblico affermando che pure ci sarà una violenza rispondente ad un’altra violenza e che in pratica vanno gettati i corpi nella lotta essa assume una sorta di coscienza di classe riassorbita e compendiata nel suo stesso sacrificio. Si potrebbero poi versare fiumi di inchiostro sulla vera natura della demagogia dei black hats attivisti al servizio di valori interpretabili contrattabili manipolabili. In questo senso i Laibach, sono perfetti nella parte. Loro che stanno (genialmente) in scena sempre, ora più ravvicinati ora più lontani dal pubblico, nascosti o rivelati da strati di strategico velatino con i loro abiti di scena abituali ed una iconografia personale assolutamente congrua al tutto, leggasi la bandiera con croce nera, sono una vera band di culto nell’area slovena. Noi li conosciamo da anni apprezziamo il loro giocare con le simbologie dei vari totalitarismi, il loro essere sempre in una poetica del fake. Molto divertente anche il loro rapporto con il merchandising che sempre lì deve accompagnare anche in teatro e che vendono a prezzi non esattamente politici. C’è cultura e ironia nella loro postura e lavorare con loro è stato semplice e naturale. Hanno composto tutte le canzoni dello spettacolo su testi di Brecht che ci siamo limitati a sfrondare. Mauler è un grande attore di teatro ed altre cose come del resto il giornalista televisivo: uomini di spettacolo con grande esperienza. Deve essere istrionico e cabarettistico del tutto sopra le righe su indicazione dello stesso autore. Le sue vestaglie frac a sottolineare questa dimensione padronale volgare del suo personale che è sfacciatamente pubblico e non è un caso se ci ricorda qualcuno, sono rigorosamente vampirescamente rosse. Abbiamo messo una grande cura anche nei costumi in modo che sonorità e visualità si compenetrassero il più possibile perché questo non è un mondo da cui si scampa.  

Pensate di portare in giro questo spettacolo? Quali ricadute avrà nell’immediato sul vostro lavoro e cosa rispondete a chi vi fa osservazioni sull’inserimento di video riguardanti celebri lotte e vertenze del momento?  

Cominciamo da questo punto: non sono vezzi di scena, ma quello che ci capitava praticamente sotto il naso nei periodi in cui provavamo. Insorgiamo certo, la parola d’ordine che poteva essere fatta propria da diversi personaggi e le manifestazioni per i terribili fatti di Suviana. Semplicemente ciò che il mondo ci proponeva appena fuori dalle mura del teatro. Poi lo spettacolo sarà prologo al festival Polis dedicato alla cultura teatrale tedesca di oggi in tutti i suoi aspetti. Lo porteremo certo a Lubiana dove forse nel teatro dei Mladisko e la prima volta che si rappresenta questo testo e sarà una bella sfida per noi. Dal punto di vista produttivo è certamente un lavoro impegnativo. Si sa che Brecht da noi è poco rappresentato per via delle compagnie numerose che prevede. Il minimalismo è un po’ conseguenza forzata del nostro esangue sistema produttivo e distributivo. Qui noi siamo stati barocchi. Vorrei dire qualcosa sul festival che prevede sabato 11 maggio una tavola rotonda appunto sui temi di cui sopra a cui abbiamo invitato esponenti della prestigiosa Volksbhune e un incontro condotto dall’ottimo Gianni Manzella con l’esplosivo collettivo femminista She she pop, che sarà anche in scena la sera stessa. Ci saranno i Rimini Protokoll con le loro Walks nella città e noi stessi che faremo un reading concerto su un testo in un certo senso filosofico e poetico di Brecht quale quello sulle difficoltà per gli intellettuali di dire sempre la verità. E anche artisti molto giovani in questa cornice di immaginario di cultura nordeuropea. Ma nulla di particolarmente ostico. C’è spazio per il divertissement e soprattutto per l’attenzione al rapporto con le scuole e le giovani generazioni.  

In chiusura di conversazione, pensate di fare, di praticare un teatro politico?  

La risposta migliore a questa domanda sta per me in una iniziativa che cerchiamo di mettere sempre in pratica nelle nostre programmazioni e che agiremo anche in questo festival. Ovvero i biglietti sospesi: un certo numero di biglietti messi a disposizione per chi non ha risorse personali per accedere alla fruizione culturale. Queste per noi sono azioni politicamente concrete che ristabiliscono i contatti e le relazioni con la società dalla postura corretta e rendono plausibile il nostro lavoro di artisti. 

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