«Cambiare il campo», incontro nazionale tra 300 lavoratori e lavoratrici agricoli, attiviste e intellettuali per 60 organizzazioni ha lanciato la proposta della convergenza agroecologica
Non è stata un’assemblea come le altre, ma il frutto di una costruzione lunga undici mesi quella andata in scena a Roma, dall’1 al 3 Marzo. «Cambiare il campo», incontro nazionale tra lavoratori e lavoratrici agricoli, attiviste e intellettuali, ha lasciato moltissimi stimoli in un’elaborazione e discussione straripante con grandi prospettive per l’avvenire. Cosa che, in tempi di difficile coagulo delle forze che progettano alternative, è già una notizia.
Che non sarebbe stata un’assemblea ordinaria lo indicavano già il numero delle iscrizioni che da dicembre 2023 ha continuato a crescere in modo progressivo andando oltre le aspettative del collettivo che ha organizzato l’evento: segno che stava circolando un bisogno poi tradottosi in un’assemblea di oltre 300 partecipanti in rappresentanza di 60 organizzazioni resa possibile anche da una squadra di volontari e volontarie che hanno messo a disposizione le proprie competenze sulla facilitazione agoreocologica. L’inedito, però, non sta tanto nella qualità e quantità della partecipazione ma nella proposta e nel metodo, il cui esito, sia chiaro, è tutto da costruire e valorizzare.
La convergenza agroecologica
La proposta è la convergenza agroecologica «per costruire e consolidare alternative al sistema agroalimentare industriale insostenibile e dannoso per la salute e l’ambiente». È stato uno dei termini più ricorrenti nel dibattito e vale dunque la pena capire cosa s’intenda per convergenza. La proposta di una conferenza contadina nasce, infatti, già nell’aprile del 2023, durante un incontro tra realtà che si occupano di sovranità alimentare. Incontro tenutosi durante l’assemblea nazionale di Genuino Clandestino che aveva visto riunite «contadine, attivisti, ricercatrici, abitanti delle città e delle zone rurali». Quello che però si è sviluppato nella tre giorni di Roma è stato determinato dalla composizione eterogenea e dalla capacità di conferire piena cittadinanza alle varie forme di attivismo presenti, i cui percorsi si sono intrecciati negli anni con tante altre esperienze, con una voglia e determinazione di fare, sapere e organizzarsi per raggiungere gli obiettivi.
La convergenza è quel metodo che negli ultimi anni abbiamo imparato dalle lavoratrici e dai lavoratori del Collettivo di fabbrica ex Gkn, già portato in piazza da alcune realtà contadine il 26 Marzo 2022 a Firenze alla Manifestazione nazionale «Insorgiamo! Per questo, per altro, per tutto». Il posizionamento contadino rispetto a mobilitazioni lanciate da un collettivo operaio è via via diventato capacità di costruzione, attraversando altre piazze come quella del «Convergere per insorgere» del 22 ottobre 2022, «consapevoli che il sistema economico-finanziario nel quale ‘i loro profitti valgono più delle nostre vite’ è causa di cambiamento climatico, distruzione dei territori, soppressione dell’agricoltura contadina, sfruttamento di lavoratrici e lavoratori, mancanza di reddito, scomparsa di una prospettiva di vita sana e socialità». Convergenza, quindi, innanzitutto come capacità di riconoscere dentro pratiche e soggettività diverse – la fabbrica e il campo, per sintetizzare – gli stessi avversari, le stesse dinamiche di organizzazione – la democrazia innanzitutto –, le stesse possibili parole d’ordine, la stessa unitarietà delle lotte, sia pure a partire da postazioni differenti.
La co-produzione di conoscenza
Tra i diversi punti di osservazione attivi nel processo di convergenza va indicata, fatto anch’esso inedito, la presenza di ricercatrici e ricercatori capaci di individuare una traiettoria radicale dell’incontro tra agroecologia e ricerca in una sfida metodologica sul piano della co-produzione di conoscenza. Le ricercatrici presenti sono parte di un processo di riconoscimento di bisogni e forme e hanno messo a disposizione, mettendosi in discussione, le proprie competenze per rendere i nostri percorsi autonomi, sostenibili e capaci di solidarietà verso altre lotte.
La questione del potere e della conoscenza, e di come e da chi questa venga prodotta anche in ambito contadino e del lavoro, rappresenta un punto essenziale. Qui riprenda l’esempio – citato in assemblea da Scienza Radicata – di un contadino francese della Confédération Paysanne, secondo cui esistono tre tipi di ricercatori: «Quelli che vengono a spiegarci le cose, quelli che vengono a studiarci e quelli che si mettono a disposizione e in ascolto per costruire processi insieme». Questi ultimi sono una componente fondamentale del percorso lanciato e averne esplicitato la presenza ha rappresentato un passo significativo per riconoscere forme di mutualismo tra ricerca e organizzazioni in lotta per la trasformazione sociale.
L’importanza dei braccianti migranti
Dentro una composizione eterogenea incardinata, allo stesso tempo, sul riconoscimento reciproco dei bisogni e sulla centralità della soggettività delle lavoratrici e dei lavoratori della terra, si è posto criticamente l’assenza, o quanto meno l’esigua presenza, di braccianti migranti. La voce dei lavoratori salariati migranti è giunta alla Conferenza grazie a un abitante di Villa Roth a Bari, attivista dell’associazione Solidaria, e attraverso un video-messaggio della cooperativa Doukula di Catania. Il confronto, avvenuto in uno dei tavoli dell’assemblea, ci insegna come fare questo lavoro di legame, d’incontro tra chi lavora la terra, tra soggettività oppresse dal sistema capitalistico e agro-industriale, sebbene non sia comunque mai dato o definitivo.
Le soggettività maggiormente ricattate dai ritmi dell’agricoltura dominata dalle grandi catene di distribuzione organizzata che determinano gli standard di qualità dei prodotti e guidano i processi di trasformazione del lavoro, sono centrali perché impongono il tema dell’accessibilità, cioè gli aspetti sociali e politici connaturati al cibo. Tenere in cima alla nostra agenda «l’accessibilità» è importante per rifuggire la trappola dell’alternativa possibile in isole felici. La trasformazione della società passa infatti per l’autodeterminazione alimentare e dei territori come prospettiva in cui si usa il mutualismo conflittuale per difendere il lavoro e allo stesso tempo per la costruzione e difesa di processi e meccanismi di partecipazione in cui al centro vi sia la scelta del come, per chi e cosa produrre.
Questa complementarietà delle lotte o dei bisogni delle lavoratrici salariate lungo tutta la filiera di produzione, dal campo alla trasformazione, fino alla logistica e dentro i supermercati, aiuta a comprendere quanto sia complesso tenere tutto insieme e a interrogarsi sulla costruzione dei meccanismi organizzativi adeguati per riuscirci.
In questo senso il dibattito, sperimentale, sul sindacalismo a insediamento multiplo, ri-proposto durante la conferenza, ha posto evidentemente l’intenzione di tenere collegate la città alla campagna, il lavoro salariato e quello in autogestione, le lotte con il mutualismo e viceversa. Questa proposta aiuta il proseguimento del percorso perché spinge verso un’interpretazione concreta e immediata della convergenza: da un lato il riconoscimento, l’ascolto reciproco dei bisogni di chi compone un collettivo, un’assemblea, una comunità per la convergenza agroecologica e sociale e l’individuazione degli strumenti immediati per rispondere in autogestione ai nostri bisogni; dall’altro la tensione per generalizzare le rivendicazioni e non lasciare indietro nessuno.
L’approccio lanciato dall’assemblea finale è quello di iniziare a convergere a partire dalla nostra vita e dal valore politico delle nostre pratiche, come relazione e ponte tra città e campagne, tra lotte, lavoratori e lavoratrici. Per questo credo interessante la proposta, tra le tante, di iscriversi, informarsi, prendere parte agli ordini collettivi proposti da Autogestione in Movimento FuoriMercato come esempio immediato di convergenza verso un’economia popolare in cui l’agroecologia e il lavoro in autogestione non siano nicchie fortunate o isolate ma creino meccanismi vivi di reciprocità.
Il far da sé è strettamente connesso alla critica alle politiche pubbliche e alle rivendicazioni politiche, dal piano Green Deal della Commissione europea per la transizione verso economie climatiche neutrali all’agricoltura 4.0, fino alla Pac (Politica agricola comune) 2023-27. Le proteste dei trattori esplose in tutta Europa pongono il tema della rappresentanza e dei rapporti di forza per influenzare e determinare le politiche globali, siano esse quelle decise dall’Unione europea che dagli Stati nazionali. Il collettivo per una Convergenza Agroecologica e sociale pone, invece, la consapevolezza sulle contraddizioni di una Pac che sin dai suoi albori e nella sua ri-organizzazione degli anni Ottanta, con il cosiddetto Libro Verde, ha un’ottica produttivista e a favore dei soggetti forti del sistema agro-alimentare.
Per queste ragioni sono rilevanti le domande uscite dalla conferenza: come incidere a livello politico? Cosa possiamo e cosa vorremmo fare per costruire le nostre alternative, concepire e rivendicare politiche pubbliche espressione di questi mondi?
In modo trasversale, a partire da differenti modalità dialettiche con soggetti istituzionali, nell’assemblea di Roma è emersa la contrarietà alla delega a qualsiasi organizzazione già esistente in direzione di una più diretta e chiara auto-rappresentazione. Ma in un mondo in trasformazione che sempre più sussume l’idea di «sovranità alimentare» è ormai tempo di chiedersi quale sia l’organizzazione di cui abbiamo bisogno.
L’idea di «un reddito di contadinanza», con una mobilitazione che potrebbe essere incisiva, almeno a livello di immaginario, e tenere insieme il desiderio di partire da sé e la rivendicazione di un intervento pubblico, è stata uno spunto per dare alla convergenza qualche gamba in più per camminare. Come afferma Dario Salvetti su Jacobin, «il tipo di intervento pubblico a cui ci richiamiamo non esiste e non può darsi senza controllo sociale diffuso, crescente, dal basso. La classe dirigente del nostro intervento pubblico si forma nelle mobilitazioni sociali, sindacali, politiche, nelle pratiche di autogestione, mutualistiche, di comunità». Quest’idea riguarda anche il percorso per una convergenza agroecologica e sociale dentro e oltre la seconda tappa di confronto assembleare che si terrà a fine maggio, contestualmente a una giornata di mobilitazione contro la liberalizzazione dei nuovi Ogm.
*Martina Lo Cascio è sociologa e attivista di Contadinazioni e Autogestione in Movimento FuoriMercato. Si occupa di agroecologia, scienza radicata, lavoro migrante e agricolture nella Supermarket Revolution.
Questo articolo è stato pubblicato su Jacobin il 22 marzo 2024