La settimana politica si apre sotto cattivi auspici per l’unità della nazione. La destra al governo vuole approvare in breve tempo l’Autonomia differenziata tra le Regioni, cospargendo di ulteriori veleni la vita civile e sociale del nostro Paese. Ne abbiamo viste tante nella nostra storia, ma che un disegno di legge portasse già nel titolo l’obiettivo programmatico di differenziare ancora di più un’Italia già divisa e diseguale è cosa del tutto nuova nella vita delle istituzioni parlamentari. Si tratta di un obiettivo che sfiora l’irresponsabilità.
È evidente la strumentalità nel forzare i tempi su una materia così complessa e delicata. Incombono le elezioni europee e la Lega di Matteo Salvini vuole portare a casa qualche risultato per mobilitare la propria base (che è tornata a restringersi ad alcune aree del Centro-Nord) e per difendersi dal tentativo di Giorgia Meloni di ergersi a unica erede di Berlusconi e di lanciare un’Opa su tutto l’elettorato di centro-destra. Salvini nelle settimane scorse ha provato con il finanziamento del Ponte sullo stretto di Messina di darsi una qualche visibilità, ma l’argomento scelto non si è dimostrato esattamente quello più gradito ai leghisti padani.
È del tutto singolare che le due destre italiane, quella ex missina e quella leghista, provino a mostrare una compattezza su di un argomento che teoricamente li dovrebbe vedere molto distanti. Che c’entra, infatti, un progetto di maggiore indebolimento delle competenze dello Stato centrale a favore delle Regioni (in gran parte del Centro-Nord) con un progetto di più ampi poteri del Primo ministro? Come potrebbe rappresentare meglio la nazione un Presidente del Consiglio eletto con voto popolare mentre si incrina ulteriormente la struttura unitaria dello Stato? Come si fa a conciliare il “patriottismo” della destra meloniana con “le piccole patrie” care alla destra salviniana?
La cosa singolare nella politica italiana è il fatto che coloro che si professano sovranisti (come Salvini e la Lega) vogliono nei fatti dare più poteri a chi mette in discussione la sovranità dello Stato nazionale, e coloro che si professano nazionalisti (come la Meloni e Fratelli d’Italia) si dichiarano però favorevoli a uno spappolamento della nazione. Se la Lega sostiene oggi un “accompagnamento dolce” della disunità, “una separazione soft” del Paese, Fratelli d’Italia professa uno statalismo nazionalista che non dovrebbe, in linea teorica, essere compatibile con un ulteriore allargamento dei poteri delle Regioni.
Certo, autonomie locali e nazione non sono assolutamente termini contrapposti: si può consolidare l’idea unitaria di nazione rispettando e promuovendo le capacità di autogoverno dei territori. E nella prima fase della vita delle Regioni, dal 1970 al 2000, questa conciliazione è stata ampiamente praticata. Poi il regionalismo ha assunto un carattere divisivo, non una migliore articolazione e declinazione della nazione, ma un tentativo di trasformare le Regioni in piccoli Stati. La Lega è stata protagonista di questa fase conflittuale del regionalismo con l’unità della nazione in tutta la sua (ormai) lunga presenza sullo scenario politico italiano. E oggi la destra meloniana sembra accodarsi a questa distruzione di un equilibrio della nazione che finora ha retto. Ci sono, infatti, due questioni ineludibili quando si parla di “Autonomia differenziata”.
La prima. Si può aprire una nuova fase della storia delle istituzioni in Italia, spostando ulteriormente il baricentro del comando da quelle centrali verso i poteri regionali, senza discutere seriamente su come il sistema regionale ha funzionato durante la gestione della pandemia da Covid? Infatti, è giudizio ampiamente condiviso dagli studiosi, dagli opinionisti e dalla pubblica opinione che nel periodo 2020/2022 si sono evidenziati in tutta la loro crudezza i macroscopici limiti del regionalismo italiano (al di là della prosopopea efficientista dei loro presidenti, del Nord, del Centro e del Sud) al punto da rendere non rinviabile un’immediata revisione delle competenze attribuite, a partire da quelle in campo sanitario. Le stesse vicende climatiche (con le catastrofiche alluvioni dei mesi scorsi) ci dimostrano come sia essenziale una guida centrale in risposta ai cambiamenti climatici e a tutela del paesaggio e dell’ambiente, E ulteriori passi in avanti nelle competenze differenziate per territori potrebbero infliggere un colpo letale anche alla scuola, ultimo presidio (con tutti i suoi problemi) di acculturazione nazionale. E in una nazione in cui la mobilità degli insegnanti dal Sud verso il Nord rappresenta uno dei dati più stabili dell’ultimo cinquantennio, si potrebbe assistere alla nascita di “frontiere regionali” di accesso all’insegnamento.
La seconda. Una nazione come l’Italia, che ha squilibri territoriali così marcati senza averli mai risolti nel corso della sua storia, si può permettere di incrinare ancora di più il potere statuale lasciando solo ai livelli locali il compito di superarli? Insomma, ci possiamo consentire ulteriori differenziazioni? Andare avanti lungo la strada dell’Autonomia differenziata è come rendere ogni Regione padrona del suo territorio senza legami con i destini nazionali e senza corresponsabilità con i compiti di riduzione dei divari tra i cittadini dello stesso Paese. L’autonomia differenziata sarebbe la costituzionalizzazione delle diseguaglianze tra cittadini appartenenti a territori diversi dentro un unico Stato. Insomma, attenzione. L’Autonomia differenziata può trasformarsi nella Brexit italiana, cioè una scelta che inciderà sul nostro ruolo nella competizione internazionale. Ma mentre l’Inghilterra è uscita dall’Europa, noi usciamo dallo stato di nazione unita ed entriamo in quello di nazione — Arlecchino.
E sarà attorno a queste prossime decisioni che il nodo irrisolto del delicatissimo rapporto tra Nord e Sud potrà ancora di più esasperarsi, mettendo da parte ogni tentativo di cercare un comune denominatore tra territori diversissimi della stessa nazione. Oggi questo obiettivo sembra superfluo alle forze politiche che guidano la nazione, non necessario, non voluto, non auspicato. Rifiutato. Come se alla disumanità spesso ostentata potesse accompagnarsi anche la disunità. Alla “morte del prossimo”, così come definisce in un suo prezioso libro Luigi Zoja l’indifferenza verso le sofferenze altrui, si vuole aggiungere anche l’eclissi della nazione.
Ma questa volta il Sud non starà a guardare o a sottovalutare decisioni che inficiano i principi costituzionali di uguaglianza e di pari opportunità per i cittadini italiani. Chi soffia sul fuoco della divisione del Paese potrebbe restare scottato.
Questo arricolo è stato pubblicato su Repubblica il 15 gennaio 2024