Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha destinato, com’è noto, il 40% delle risorse al Sud. In base ai regolamenti europei sulle politiche di coesione, infatti, vengono aiutate di più le nazioni che presentano maggiori squilibri territoriali. L’Italia, che è la nazione europea dalle diseguaglianze più ampie ed evidenti, ha ottenuto una quota maggiore di risorse grazie proprio alle disparità tra le sue parti.
Quindi, sono state le condizioni arretrate del Sud a consentirci aiuti così rilevanti, ma in base ai dati della spesa finora realizzata (resi pubblici dall’Ufficio parlamentare di bilancio, Upb) si prospetta un paradosso inaccettabile: che, cioè, si spenderanno meno risorse nella zona che ne ha più bisogno; si investirà di meno in quei territori che con le loro difficoltà di crescita hanno motivato così cospicui finanziamenti all’Italia.
Al 26 novembre scorso la spesa complessiva ha raggiunto appena 28,1 miliardi di euro pari al 14,7% degli stanziamenti a disposizione, di cui il 15,2% realizzata nel Centro Italia, il 14, 1% nel Nord e solo il 9, 4% nel Sud. Il 2023 è stato l’anno in cui si è speso meno (solo 2,5 miliardi) rispetto ai 6,2 miliardi spesi nel 2021 e ai 18,1 del 2022.
Tra i ritardi accumulati quelli relativi agli investimenti in Sanità sono i più preoccupanti, nonostante fossero considerati tra le priorità del Piano per i limiti emersi durante il Covid nel sistema sanitario nazionale e nei 20 diversi sistemi regionali.
I dati dell’Upb confermano indirettamente quanto era emerso dal rapporto della Svimez, l’istituto di ricerca che ogni anno tiene sotto osservazione l’andamento dell’economia e della società meridionale in rapporto alle strategie di crescita della nazione.
Cos’ha detto la Svimez, proprio alla presenza del ministro Fitto? Che l’economia del Sud può evitare la recessione nel 2024 e nel 2025 solo a condizione che si rispettino i tempi nell’applicazione del Pnrr e la quantità di risorse riservate alle aree meridionali.
In poche parole, se il Pnrr dovesse fallire il Sud andrà incontro a una riduzione del Pil dello 0,6 nel 2024 e dello 0,7 nel 2025. Cioè, la crescita sarà sottozero! Invece se si rispetteranno tempi e percentuale di finanziamenti, il Sud crescerà dello 0,6 nel 2024 e dello 0,9 l’anno successivo. Dipenderà dall’attuazione piena del Pnrr la crescita o la recessione della già fragile economia del Mezzogiorno. Senza risorse aggiuntive il Sud regredirà.
I problemi di attuazione del Pnrr sono generali ma più accentuati nel Sud e nei Comuni al di sotto del Garigliano. Si potevano e si possono ancora limitare i pericoli di un fallimento del Piano? Siamo in tempo? La risposta è sì, ma bisognerebbe aggredire con un impegno straordinario alcune questioni essenziali.
La prima riguarda un sostegno più massiccio alle amministrazioni locali. Alcune cose sono state fatte, ma è poco per risollevare un apparato amministrativo meridionale che ha sommato le batoste del lungo risanamento dei bilanci comunali, l’impossibilità della sostituzione di chi è andato in pensione, ha rinunciato a far circolare sangue nuovo nelle arterie ostruite della burocrazia locale, promuovendo l’ampio rinnovamento negli uffici necessario per affrontare compiti così gravosi.
La seconda riguarda le modalità di assegnazione delle risorse. Non c’è al riguardo metodo peggiore dei bandi. Una modalità richiesta dagli apparati dei ministeri ma non utile per soddisfare bisogni essenziali nei servizi ai cittadini.
Se, ad esempio, si conoscono già i Comuni meridionali che sono privi anche di un solo asilo nido, perché fare una gara? Si finanzino tutti gli aventi diritto e poi a bando si seleziona la ditta che deve costruirli. Punto. Se un Comune assegnatario di un finanziamento (in base al criterio di assoluta necessità di quell’opera) non è in grado di realizzarla, scattano in quel caso i poteri sostitutivi. Un servizio, se indispensabile, deve essere realizzato al di là delle capacità amministrative locali.
Altrimenti si deve assistere impotenti al fatto che in Italia 1.700 Comuni che mancano di un asilo non hanno fatto la domanda per costruirlo. Chi invece fa la domanda e vince il bando? Il Comune più efficiente o meno scalcagnato. Che effetti provoca? Che si fanno asili dove già l’offerta pubblica è ampia e non si costruiscono laddove non ce n’è nemmeno uno. C’è una insopportabile illogicità in tutto questo.
Insomma, ci vuole più coraggio, più determinazione, meno supponenza e meno scaricabarile sui governi precedenti. Non risiede, certo, nel Pnrr la soluzione della frattura più sottovalutata e finora meno affrontata della storia italiana, quella tra Nord e Sud.
Il Sud è oggi la vetrina delle diseguaglianze più macroscopiche del Paese. Se la nazione ha rinunciato da tempo ad affrontarle, potrebbe almeno limitarne le conseguenze. Prima o poi bisognerà riaprire l’orizzonte. Lo sguardo corto, quello che ci impedisce di guardare con serietà al terzo della nazione escluso, ci riporta a quell’egoismo territoriale e a quella cura del proprio “particulare” che sono stati i grandi limiti della nostra storia.
Questo articolo è stato pubblicato su Repubblica il 7 dicembre 2023