Emilia Romagna e sanità: arrivano i Cau, ma restano i problemi

di Pier Franceco Di Biase /
12 Ottobre 2023 /

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Entro la prima metà di novembre nasceranno i Cau (Centri di assistenza e urgenza) a Budrio e Vergato, dove sostituiranno il Pronto Soccorso. Più avanti toccherà a Casalecchio e al Navile.

Il cambio d’assetto della rete di emergenza-urgenza voluto dalla Regione ha motivazioni reali: i Pronto Soccorso si svuotano di personale, si affollano di codici a bassa e media complessità, le guardie mediche (soprattutto periferiche) sono utilizzate poco e male, il 118 viene contattato per lo più per patologie di minore gravità, tanto che al 63% degli accessi non segue ricovero ospedaliero.

Problemi certo complessi, che si concentrano in quella terra di mezzo che è il Pronto Soccorso, vera cartina tornasole della fragilità del Servizio Sanitario.

Contrariamente a quanto molti sostengono, i dati Oecd dimostrano che abbiamo un numero di medici per abitante superiore alla media europea, con una carenza di infermieri invece sempre più grave. Le assunzioni pubbliche, cresciute durante la pandemia, non riescono a colmare le fughe di personale e il Piano di rientro finisce per tagliare la vera spesa controllabile delle Aziende Sanitarie: il numero di dipendenti.

I Cau dovrebbero nascere per applicare il Decreto Ministeriale 77/2022, che vede nel distretto e nel territorio la vera forza motrice in grado di assistere e curare adeguatamente una popolazione anziana e fragile, con un carico di malattie croniche sempre maggiore. Per questo le nuove strutture afferiranno alla rete della medicina territoriale, dove lavorano soprattutto due figure: i medici di medicina generale e i medici del ruolo unico di assistenza primaria (guardia medica). Molti medici di guardia medica sono giovani e neolaureati, mentre i medici “di base” sono, dati alla mano, sempre più anziani.

Questi ultimi, come è noto, hanno un contratto convenzionato con il Servizio Sanitario: non seguono né orari né modalità di lavoro uniformi, anche nello stesso Comune. Sono, in sostanza, meno gestibili da parte dei Dipartimenti di Cure Primarie, lavorando spesso in modo poco integrato con i servizi.

Quando i bisogni delle persone non vengono accolti all’interno di una rete solida, la marea di codici di bassa complessità (per lo più presentazioni cliniche riferite a patologie croniche) si riversa in Pronto Soccorso. Anche per questo il Pnrr e il Dm 77 puntano sulle Case di Comunità, il tetto sotto cui riunire medici di medicina generale attraverso un lavoro di squadra, sempre più integrato, con gli specialisti e con i percorsi ambulatoriali: è la medicina del territorio a doversi fare carico della cronicità in pazienti che devono essere seguiti nel tempo.

I medici di guardia medica, un ruolo simile al medico di medicina generale, non conoscono i pazienti, non li seguono nel loro carico di malattia. Sopperiscono a specifici periodi (come durante la notte o nei festivi) e non sostituiscono un clinico che deve invece seguire il paziente per tutta la vita. Il timore principale riguardante i Cau è proprio questo: conferire nuovamente alla medicina d’emergenza-urgenza un ruolo che spetta alla medicina di famiglia, ancora così poco governata e separata dal Servizio Pubblico.

Ma i dubbi non finiscono qui. L’accesso ai Cau sarà gratuito o i pazienti pagheranno un ticket? Come verrà gestita la popolazione che si presenterà in queste strutture, se la visita dipenderà soltanto dall’orario di arrivo e senza un triage? Se sono ambulatori a bassa complessità, gli esami radiologici e le visite con che urgenza verranno programmati? Se posso fare un Rx urgente tramite Cau, che differenza c’è allora con un Pronto Soccorso? Non si trattava di urgenze minori e differibili? I Cau nascono in un disegno che vorrebbe indirizzare ai Pronto Soccorso le reali emergenze, spostando problemi meno urgenti sulle cure primarie. Ma le cure primarie di oggi, sono pronte?

E inoltre, quanto peso viene dato alla capacità di autodiagnosi e quanto poco vengono considerati elementi quali la scarsa scolarizzazione o le barriere culturali e linguistiche? Ai Cau ci si potrà rivolgere presentandosi e mettendosi in coda, soltanto per alcune patologie. I pazienti che si rivolgono ai numeri di emergenza potranno chiamare il 116117 se hanno sintomi poco gravi o il 118 se si tratta di “reali” emergenze. L’interazione tra i due numeri e l’invio dei mezzi di soccorso è un mistero per la popolazione. Ma anche un mal di denti, soprattutto nelle donne, può nascondere un infarto.

Nel 1978 la Dichiarazione di Alma Ata (qui) prevedeva di trasformare le cure primarie: dopo quarant’anni, non abbiamo ancora trovato il coraggio di puntare sulla medicina di iniziativa e sulla medicina del territorio. Riformare le cure primarie significa rompere complessi equilibri professionali, avviare difficili trattative sindacali, cambiare il terreno di gioco. A una prima occhiata, non sembra che i Cau siano in grado di cambiare granché rispetto a quanto visto fin qui. E c’è da augurarsi che la toppa, alla fine, non risulti peggiore del buco.

Questo articolo è stato pubblicato su Cantiere Bologna il 10 ottobre 2023. Immagine di copertina Wikimedia Commons

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