In solidarietà al popolo armeno

di Marino Calcinari /
2 Ottobre 2023 /

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“Qualcosa di terribile accade nel giardino nero del Caucaso” titolava giovedì 28 settembre un articolo del Manifesto su quanto sta accadendo nel Nagorno Karabak, uno dei tanti stati sorti dopo la dissoluzione dell’ Urss nel 1991 e che determinò allora, in quella parte del Caucaso che da secoli era mosaico di più popoli, infiniti contenziosi e situazioni di instabilità le cui contraddizioni esplosero in seguito alle scelte politiche che vennero prese dai tre paesi più rappresentativi di quell’area, l’ Azerbaigian, l’ Armenia, la Georgia che nel 1922 erano entrate nello stato sovietico come RSFST( Repubblica Socialista Federativa Sovietica Transcaucasica). La divisione nazionalista, il dilagare di particolarismi, acuirono le frizioni interetniche fino alla guerra tra Armenia e Azerbaigian ( due conflitti per il Nagorno Karabakh enclave armena in terra azera, nel 1994 e nel 2020) e in questi giorni è ripartita l’ aggressione azera, ora però, nell’ ennesima crisi c’è la longa manus del presidente turco Erdogan che sostiene apertamente il regime di Baku.

Il leader turco, che ha da tempo rinunciato ad accettare i vantaggi politici che la democrazia inclusiva (con tutti i suoi limiti e difetti) attraverso la UE gli aveva offerto agli inizi dell’anno duemila, ha deciso di realizzare, con un percorso a ritroso nella storia, il progetto del panturanesimo, della supremazia etnica e religiosa, perseguita da Enver Bey(1) già a partire dal primo conflitto mondiale, allorquando la comunità armena, considerata come la quinta colonna dell’ Impero zarista, fu deportata, perseguita, ridotta prigioniera, falcidiata dai plotoni di esecuzione dell’ esercito turco. Vent’ anni dopo, un Hitler giunto al potere in Germania, pronto a scatenare la sua campagna razziale e di sterminio contro il popolo ebraico poteva dire, senza essere contraddetto : “ Chi parla più oggi del genocidio degli Armeni?”

Ma ci fu chi già allora non volle essere smemorato. Lo scrittore austriaco Franz Werfel, nel 1933 ne aveva parlato, nel libro “I Quaranta Giorni del Mussa Dagh”. Ed aveva ricostruito, raccogliendo una vasta mole di documenti e molte testimonianze, un episodio di resistenza in armi di un gruppo di Armeni contro i turchi. Opponendosi alla deportazione 5000 persone sfuggendo ai turchi si erano attestate sul Monte di Mosè, nei pressi di Aleppo, e qui reagirono con le armi per 40 giorni, agli assalti turchi, ed infine vennero salvati da una nave da guerra francese, che, casualmente, transitava per il golfo di Antiochia. Allora non esistevano “corridoi umanitari” ma c’erano anche navi che accorrevano a salvare le persone in pericolo. La brutalità della guerra non sempre genera assuefazione o rassegnazione al cinismo ed alla disumanità. Allora si reagì.

Oggi, con le ferite ancora aperte della dissoluzione della Jugoslavia, della penetrazione verso est della Nato, col perdurare della guerra in Ucraina, con la militarizzazione strisciante, di controllo e repressione del dissenso politico e sociale, possiamo permetterci di sottovalutare quanto sta accadendo in Armenia? ? E’ logico (cui prodest? si direbbe) che uno stato membro della Nato (Turchia)ed uno stato “associato” (Azerbaigian) concordino su un’ aggressione che riporta a quell’ infamia del secolo scorso? Evidentemente non sono bastate le aperture e le garanzie fornite allora ad Erdogan ( che voleva entrare nella UE) e la logica che ha prevalso è stata diversa.

Scriveva a tal riguardo sul Corsera, vent’anni fa Cesare Segre :”… la Turchia bussa da tempo alla porta della UE, e crediamo sia opportuno che entri, certo dopo aver soddisfatto le esigenze basilari. Tra queste sarebbe bene inserire la tutela del patrimonio preislamico…” (2)Ora, questa era la prima “condizione” che si poneva a quel paese ( Erdogan era stato sindaco di Istanbul dal 1994 al 1997 ), la seconda era quella del rispetto dei diritti umani, che non riguardava solo i curdi – Ocalan fu sorpreso a Nairobi da agenti turchi e tradotto nel 1999 in carcere dove si trova tuttora- ma anche le altre minoranze etniche presenti nel paese : siriani, armeni, greci, arabi, e quelle religiose : sciiti, alawiti, cristiano ortodossi. Invece era accaduto che nel 1996 salisse alla ribalta il primo governo filoislamico di Necmettin Erbakan e l’ opposizione antikemalista nel suo rafforzarsi trovasse in Erdogan un più sicuro punto di riferimento. Il laicismo aveva i giorni contati, ma in Europa pochi se ne accorsero (3).

Come finì la vicenda delle mura ovvero della preservazione della storia preislamica di Istanbul e della Turchia? Riportiamo il giudizio dato da Carlo Arturo Quintavalle, storico dell’ arte sul sedicente restauro delle Mura Teodosiane. A farla breve egli non può che denunciare l’ infelice ricostruzione hollywoodiana, la cinta è certo stata restaurata, ma con tali alterazioni al punto da distruggerne il tessuto originario, ed anche i recenti ritrovamenti, in fase di costruzione del tunnel subacqueo, del Porto Teodosio non sembrano abbiano avuto sufficiente attenzione dal Governo (4) Ma sia sulla vicenda delle Mura, sia su altre iniziative di carattere culturale è certo che chi era alla guida del governo, politici o funzionari si avvantaggiarono dei fondi UNESCO e del benestare della UE, mentre, continuarono le repressioni conto i Curdi, le minoranze, i giovani che ben prima dei fatti di Piazza Taksim si erano organizzati contro l’ oscurantismo. Ma anziché condannare la violenta repressione ed i fatti di Gezi Park, dieci anni fa ci fu chi insistette perché la UE accogliesse la Turchia di Erdogan nel consesso sovranazionale europeo (5)

Il rapporto con la Chiesa Ortodossa, infine, non è certo dei migliori. Dopo la decisione di far ridiventare la chiesa di Santa Sofia una moschea nel 2020 il biasimo per quella decisione è stato pressoché universale, ma sinora senza contraccolpi seri per l’ opinione pubblica di Istanbul e per la linea politica scelta da Erdogan su questo argomento : «La Turchia ha tenuto alto il valore storico, culturale e spirituale di Hagia Sophia. In questa occasione va ricordato che Hagia Sophia è di proprietà della Turchia, come tutti i beni culturali sul nostro territorio. E qualsiasi tentativo di definire Hagia Sophia è una questione di affari interni e di diritti sovrani della Turchia». Ma Erdogan può fare questo ed altro perché è leader di un paese la cui posizione geostrategica, la sua collocazione nella Nato, il suo potenziale bellico sono fattori che gli assicurano una posizione di forza, tantopiù dopo il tentato golpe del luglio 2016, sulle cui dinamiche pesano ancora molti dubbi e sospetti ma che però consentirono con la conseguente adozione di leggi speciali, il rafforzamento del suo potere e consenso, (6), quindi si tollera il ricatto o si chiudono tutti e due gli occhi su quanto accade al confine con la Grecia (7), idem per l’ occupazione di Cipro ed ora l’ Armenia. Lì non c’è l’ Evros ma il “corridoio di Zangezur ” che identifica la catena montuosa dove passa il confine tra la provincia armena di Syunik e la Repubblica Azera autonoma di Nakhicevan, anche da lì partono oggi, e partiranno domani persone che vogliono continuare a vivere, come fecero quelli che giunsero prima a Venezia poi a Trieste nel 1700 e nel 1800 per sfuggire ad analoghe persecuzioni. (8)

L’Azerbaigian pretende che la Repubblica Armena garantisca la sicurezza delle connessioni e dei trasporti tra le regioni occidentali della Repubblica di Azerbaigian e la Repubblica Autonoma di Nakhichevan (9) per permettere il movimento senza ostacoli di persone, veicoli e merci.” In realtà è un pretesto per alzare il tiro e farsi ascoltare da Ankara. Il governo di Baku vuole giungere a controllare il corridoio di Zangezur, in quanto corridoio strategico su cui pare convergano gli interessi che coinvolgono le potenze regionali del Medio Oriente e i grandi mercati asiatici di Cina, India e Pakistan, che nel Caucaso Meridionale vedono un passaggio commerciale di grande importanza, in particolare dopo la chiusura della rotta russo-ucraina.

La repubblica dell’ Artsakh che comprende tutto il Nagorno Karabakh (10) abitata prevalentemente dagli Armeni già prostrata dalla guerra con l‘ Azerbaigian del 2020 ( sostenuto dalla Turchia) come potrebbe sopravvivere in caso di inasprirsi del conflitto? Il 19 settembre 2023 l’Azerbaijan ha lanciato un’offensiva militare su larga scala nel Nagorno Karabakh che si è concluso con una schiacciante vittoria azera, ottenendo il disarmo delle forze della Repubblica dell’Artsakh e provocando l’esodo di migliaia di abitanti armeni dalla regione. Il Manifesto di oggi titola “Civili armeni cacciati, Repubblica cancellata”. Ed anche “Pulizia etnica in Nagorno -Karabakh : via tutti “ e poi ci ricorda che il nostro paese è il principale partner commerciale di Baku in Europa. Gas in cambio di armi. La guerra è bella solo per chi specula. Mentre le persone continuano a sfuggire dalla fame, dalle guerre, dalle carestie, dai furti di risorse del ricco occidente neoliberista, dalla distruzione ambientale degli ecosistemi, il fantasma sanguinante dell’ orrore si riproduce anche attraverso l’ indifferenza di chi sta a guardare. Solidarietà al Popolo Armeno ed alle comunità che anche qui giunsero cercando pace, lavoro, diritti e libertà. Aprire i porti a chi fugge, chiudere le porte a chi porta la guerra.

NOTE

(1) Enver Bey o Pasha, nato nel 1881 a Costantinopoli, ma di origine albanese, si formò militarmente alla scuola di guerra dell’ esercito tedesco a Berlino, rientrato in patria fu uno degli animatori del movimento dei Giovani Turchi, e tra gli artefici dei colpi di stato del 1908 e del 1909.Partecipò alla guerra di Libia (1911-1912) contro il regno d’ Italia e poi nella seconda guerra balcanica (1913) contro la Grecia. Fu determinante per la scelta di entrare in Guerra a fianco della Germania nel 1914 per contendere alla Russia le terre di confine del Caucaso ed in quella zona di operazioni fu il più zelante esecutore degli ordini che riguardavano la prigionia e la deportazione degli armeni. Alla fine della guerra con la dissoluzione dell’impero zarista, perseguì l’ obiettivo di creare un grande stato turco dal Volga al Turkestan, la terra di origine del suo popolo, per unirlo all’ Impero Ottomano, per tale scopo cercò l’ appoggio del neonato governo bolscevico, ma le sue aspettative andarono deluse, finì per scontrarsi presso Baldžuan, nella Repubblica Popolare Sovietica di Bukhara (odierno Uzbekistan)con alcuni reparti dell’ Armata Rossa e – ironia del fato- fu ucciso da un fante del battaglione armeno comandato da Hagop Melkunian il 4 agosto 1922.

(2)L’ articolo completo è sul Corriere della Sera del 1° agosto 2006, ma citiamo anche questo passaggio: “Se Istanbul è tra le più affascinanti città del mondo, il viaggiatore constata però l’incuria nei confronti delle testimonianze del passato bizantino, perciò cristiano, di quella che fu la gloriosa Costantinopoli. Si cerchino per esempio lungo la cerchia delle mura, i resti dei palazzi delle Blacherne, di Costantino Porfirogenito o di Bukoleon: tutto è lasciato in preda alle erbacce ed ai topi, in attesa che le rovine diventino polvere. Se poi si tenta di visitare qualche chiesa trasformata in moschea, spesso risulta difficile se non impossibile vedere mosaici ed affreschi della prima veste, cristiana, degli edifici…”

(3)La recente decisione di riconvertire la chiesa di Santa Sofia in moschea è uno dei tanti aspetti di questo ritorno all’oscurantismo dogmatico religioso che invece Ataturk e Inonu avevano biasimato e combattuto con atti concreti: nel 1923 sono state nazionalizzate tutte le scuole, nel 1924 furono aboliti i tribunali religiosi, nel 1928 fu introdotto l’ alfabeto turco con caratteri latini e l’ Islam non fu più la religione di Stato, nel 1934 le donne acquisivano il diritto di voto, etc. oggi invece c’è una re-islamizzazione di ritorno che parte dai quartieri popolari e periferici di Istanbul e si diffonde sempre più nel paese, con le politiche repressive e di militarizzazione che sappiamo.

(4)I relitti di una quarantina di navi, databili fra il VII e l’XI secolo, sono oggi conservati presso l’Università di Istanbul e presso l’Istituto di Ricerche Subacquee di Bodrum ( Alicarnasso). Inoltre, circa 500 pezzi degli oltre35.000 (!)reperti, recuperati durante gli scavi, sono già stati esposti al Museo Archeologico di Istanbul.

(5) Emma Bonino, allora ministro degli esteri nel governo Letta, che già aveva approvato l’ intervento militare in Kosovo ebbe a dichiarare che : “Piazza Taksim non è piazza Tahrir. E i turchi non sono arabi”, “L’adesione all’Ue può avere un effetto benefico per la Turchia. L’Italia vuole una Turchia pienamente democratica in Europa”. Contributo originale e… radicale.

(6)” Tra il 2016 e oggi, secondo dati del ministero dell’Interno turco, sono state arrestate 312 mila persone sospettate di avere collegamenti con il colpo di stato o con l’organizzazione di Gülen, un suo ex alleato che qualche anno prima si era rifugiato negli Stati Uniti, e che effettivamente guidava un’organizzazione di carattere politico-religioso molto ben radicata all’interno dell’amministrazione pubblica, del sistema giudiziario e dell’esercito. Di queste, 99 mila sono state rinviate a giudizio, ma ancora pochi processi sono arrivati alla conclusione: finora sono state condannate all’ergastolo circa 3.000 persone, e 4.890 sono state condannate con pene meno severe.

Sono stati rimossi dal loro incarico 23.364 membri delle forze armate, oltre che quasi 4.000 giudici e procuratori. Più di 100 mila funzionari della pubblica amministrazione sono stati licenziati o sospesi…” (articolo 15 luglio 2021 IlPost.it)

(7) Il filo spinato all’ Evros è stato posizionato dalla Grecia, ma ciò rivela, in parallelo al cinismo del governo turco la politica speculare dell’ omologo Mitsotakis, che (di)mostra tutta la crudeltà e la disumanità di una politica bellicista e securitaria: le vite umane di chi fugge sono usate come pretesto per fare cassa ed acquisire ascolto, approvazione, finanziamenti da UE, NATO e USA. La frontiera di Evros, da cui ha inizio la rotta balcanica è nevralgica, non solo per la Grecia, ma perché è il rubinetto che Erdogan ha più volte cinicamente minacciato di aprire per far passare i 5 milioni di profughi siriani detenuti su suolo turco, come da accordo siglato nel 2016 ( vedi la coincidenza…)

(8)Giacomo Ciamician era figlio di un esule armeno giunto a Venezia, ma si stabilì a Trieste, lavorò a Bologna e viene ricordato come il primo chimico italiano ad essere stato candidato al Premio Nobel. La prima comunità armena era giunta a Trieste nel XVIII secolo favorita dal porto franco di Trieste, ed aveva ottenuto nel 1775 la cittadinanza austriaca ; alcuni armeni acquistarono quindi la Casa Ricci in contrada dei Santi Martiri per farne il proprio cenobio, oltre che seminario con annessa stamperia poliglotta e una piccola cappella. Poi nel 1859 venne costruita la chiesa col contributo del commerciante armeno Gregorio Ananian dedicata alla Beata Vergine delle Grazie…

(9)Il Nakhchivan è una regione nel Caucaso meridionale, confinante con Turchia, Iran e Armenia. La regione è stata luogo di scontri tra Armenia e Azerbaigian per molti anni prima di diventare a tutti gli effetti parte della Repubblica dell’Azerbaigian, di cui costituisce una regione autonoma ed exclave dal 1999. Durante la guerra nel Nagorno-Karabakh, regione con il quale condivide diversi aspetti della propria storia, il Nakhchivan ha avuto un ruolo strategico sia per l’Azerbaigian che per la Turchia.

(10).Dopo la rivoluzione bolscevica del 1917, il Karabakh fu inglobato nella Federazione Transcaucasica, che ben presto si divise tra Armenia, Azerbaigian e Georgia. Il territorio del Nagorno Karabakh venne rivendicato sia dagli armeni (che all’epoca costituivano il 98% della popolazione ed erano insediati in loco da circa 3500 anni), sia dagli azeri. Nel 1920, il territorio (come pure quello del Nakhchivan) era stato assegnato, da Stalin, georgiano, allora Commissario alle Nazionalità, all’Azerbaigian e nel 1923 venne creata l’Oblast’ Autonoma del Nagorno Karabakh. Con la dissoluzione dell’ URSS, all’inizio degli anni 1990, la questione del Nagorno Karabakh riemerse e lo spettro di un altro genocidio ritorna.

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