In città il numero di persone che rischia di cadere in una condizione di marginalità per via della nuova normativa è passato da 350 a 700. Michele Rossi, direttore del Ciac attivo sul territorio, denuncia gli impatti sui permessi di soggiorno, l’accesso alla protezione e alle tutele minime: “Si profila un sistema concentrazionario”.
Da 350 a oltre 700: sono i migranti a grave rischio sociale e giuridico presenti solo sul territorio di Parma, raddoppiati in pochi mesi a causa del decreto legge 20 del 10 marzo 2023 sulla gestione dei flussi migratori, convertito nella legge 50/2023 (il maldestramente detto “decreto Cutro”). Una norma che “limita pesantemente il diritto di asilo e smantella il sistema pubblico di accoglienza, creando migliaia di persone ricattabili -come denuncia Michele Rossi, direttore generale del Centro immigrazione asilo e cooperazione internazionale (Ciac) di Parma-. È un sistema che produce irregolarità e di conseguenza marginalità. Quando una persona non ha i documenti di fatto non ha diritti, quindi rischia di finire nel lavoro nero, nello sfruttamento, nella criminalità”.
La legge 50/2023 prevede una forte limitazione della protezione speciale, che è uno dei tre modi (insieme alla protezione internazionale e alla protezione sussidiaria) con cui una persona straniera in fuga da situazioni di pericolo può ottenere la possibilità di ricevere accoglienza e vivere nel nostro Paese. “Questa norma limita e confonde il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, impedendone la conversione per motivi di lavoro -continua Rossi-. Quelli per motivi di studio, salute e cure mediche non sono più convertibili in permessi lavoro: solo a Parma, decine di persone con gravi patologie non vedono più riconosciuti i propri diritti. Qualora la loro condizione di salute dovesse migliorare, la loro permanenza in Italia sarebbe a rischio”.
Il risultato è che molte persone perdono in un colpo solo tutto quello avevano costruito negli anni: lavoro, casa, relazioni. “Si tratta di centinaia di persone che vivono in Italia e quindi anche a Parma da molto tempo e che oggi non hanno altre alternative se non diventare irregolari”, continua il direttore di Ciac. È il caso di Ibrahim (il nome è di fantasia), che aveva problemi psichiatrici ma che, anche grazie al lavoro, stava gradualmente trovando un proprio equilibrio e tornando attivo nella comunità: “Al momento del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di salute, Ibrahim si è visto mettere un timbro con il divieto di svolgere attività lavorativa. Questo ha avuto un impatto sul suo percorso terapeutico, che ha subìto un arresto. Abbiamo buttato via mesi di lavoro e recupero”.
Ma questo non è la sola conseguenza della nuova legge. “Non potendo più accedere al Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), i richiedenti asilo vengono ora accolti solo nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) -aggiunge Rossi-. Dove non possono usufruire di servizi fondamentali come l’assistenza psicologica, i corsi di italiano, l’orientamento legale: tutti ingredienti fondamentali per l’integrazione”.
La legge 50, inoltre, istituisce una procedura accelerata di valutazione delle domande di asilo per chi arriva dai cosiddetti “Paesi sicuri”. “Il rischio è che la procedura accelerata, prima riservata a solo alcune fattispecie, diventi ora una procedura sommaria generalizzata a tutti -afferma Rossi-. Le persone vengono divise in base al luogo di provenienza, senza considerare la loro specifica situazione, e questo porta a una serie di discriminazioni: chi viene da Afghanistan, Siria o Ucraina ha accesso alla richiesta di asilo, mentre i migranti provenienti da Stati considerati ‘sicuri’ no. La lista di quei Paesi ‘sicuri’, inoltre, viene aggiornata dal ministero dell’Interno sulla base di criteri discrezionali: di recente anche Nigeria e Tunisia, Stati profondamente instabili, sono entrati a farne parte, anche se diverse organizzazioni internazionali continuano a denunciare violazioni dei diritti in quei contesti”.
La riforma prevede poi che non ci sia più separazione tra la fase di identificazione del migrante e la fase di richiesta di asilo, che oggi avverrebbero in centri chiusi informali, gli hotspot, solitamente nei porti di sbarco o alla frontiera, in situazioni affollate, di stress e confusione. “In quelle condizioni è molto più difficile per il migrante fare richiesta di asilo ed è difficilissimo che possano emergere le vulnerabilità”, spiega Rossi. “Lì dentro non ci può essere la garanzia delle procedure ad opera di un ente terzo né dell’autorità giudiziaria: si profila perciò un sistema concentrazionario”.
Infine, il Ciac rileva che nelle questure italiane ed anche nella questura di Parma si stanno allungando i tempi di attesa: per depositare la richiesta di primo permesso di protezione internazionale ci sono migranti che aspettano anche sei mesi, mentre per il rinnovo si può attendere da nove mesi a più di un anno. “Si tratta di aspetti tecnici, che però adombrano una precisa volontà politica”, conclude Rossi. “C’è una parola che riassume l’atteggiamento del governo: deterrenza. Si sta cercando di rendere molto faticoso l’accesso all’asilo dei migranti e creare un sistema che di fatto priva le persone della libertà di movimento. È un fatto gravissimo: qui non si tratta di criminali che hanno commesso reati, ma di persone che hanno diritto ad essere accolte”.
Questo articolo è stato pubblicato su Altreconomia il 22 giugno. Immagine di copertina, Robert Bradshaw/Unsplash