I primi 100 giorni di Lula

di Francesca D’Ulisse /
22 Aprile 2023 /

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Intervistata recentemente da Carta Capital, settimanale brasiliano progressista, la professoressa Heloisa Starling dell’Università Federale di Minas Gerais, faceva una diagnosi senza sconti del quadriennio di Bolsonaro. La docente parlava del Brasile come di un Paese che aveva perso la dimensione del futuro e il progetto di nazione, mettendo in evidenza come il primo compito di Lula fosse quello di ricostruirlo. La professoressa parlava anche di una democrazia distrutta dall’interno e sottolineava come mai nella storia del Brasile ci fosse stato un tale processo di destrutturazione intenzionale. Effetto di tutto questo era il crescere della paura e dell’impotenza, con un’idea di comunità devastata e con gli individui che si erano sentiti via via più soli. In sintesi, una situazione politica, economica e sociale disperante per il nuovo corso iniziato il 1° gennaio con il Lula ter. Il neopresidente brasiliano non ha però perso tempo: il primo obiettivo è stato infatti quello di pacificare il Paese, perché non si governa un gigante delle dimensioni del Brasile con metà della popolazione che non riconosce il nuovo inquilino di Planalto. Lula lo ha detto chiaramente: i primi 100 giorni sono una tappa importante, ma ci sono ancora 1.360 giorni di lavoro. Giudicatemi alla fine del mandato, è il sottinteso.

I primi provvedimenti sono un po’ un ritorno al passato: una riedizione aggiornata e poco corretta dei programmi sociali che sono stati il cardine delle politiche pubbliche dei suoi precedenti mandati e che hanno consentito al Brasile di far uscire dalla soglia di povertà quasi 40 milioni di cittadini. In primis il nuovo programma Bolsa Família, che ha visto aumentare il trasferimento a 600 reais e che ha incluso una addizionale di 150 reais per i figli a carico. Il programma Mais Médicos è stato rilanciato dopo gli anni bui della gestione della pandemia che hanno reso evidente quanto il sistema di salute pubblica fosse in condizioni pessime. Ricordiamo che questo programma è parte di un vasto sforzo del governo federale, con appoggio degli Stati e dei municipi, per migliorare la fruizione da parte dei cittadini del Sistema unico di salute, il SUS (Sistema Único de Saúde). Oltre a portare medici in zone che ne sono prive o dove c’è scarsità di camici bianchi, il programma prevede più investimenti per la costruzione, la riforma e l’ampliamento delle Unità di base della salute. Insomma, un programma sociale rivolto principalmente alle classi meno abbienti della popolazione brasiliana che non possono permettersi le cure nelle cliniche private a pagamento. È stato infine resuscitato il programma Minha casa, minha vida che promuove il diritto a una casa di proprietà e che si avvale di finanziamenti pubblici ad hoc e prestiti a tasso di interesse inferiore a quello di mercato. Lula lo aveva promesso al suo insediamento: c’era da ricostruire il Brasile e bisognava pertanto mettere mano ai programmi sociali già sperimentati in passato per alleviare le sofferenze di classi sociali abbandonate dalle politiche di Bolsonaro.

I risultati in termini di consenso non si sono fatti attendere, anche se con alcune dovute precisazioni. Secondo uno degli ultimi sondaggi disponibili, il governo Lula è considerato “buono o ottimo” dal 40% dei brasiliani. Se si considera il giudizio della classe media, la situazione peggiora un po’: in questa fascia di popolazione il giudizio “buono o ottimo” scende al 30% tra i brasiliani che guadagnano da 2 a 5 volte il salario minimo e scende al 26% tra quelli che percepiscono tra le 5 e le 10 volte il salario minimo. Nel primo gruppo, il 36% pensa che il governo Lula sia “pessimo”, nel secondo gruppo la percentuale sale al 47%. Se non si considera il reddito, la disapprovazione generale rispetto al governo è del 28%. Questi risultati sono stati ben accolti dall’entourage di Lula: ricordiamo, infatti, che il rifiuto totale di Lula durante la campagna elettorale era del 40-50%. Gli “anti-Lula” sono oggi circa il 30%. È vero che il sostegno al neopresidente è oggi molto inferiore rispetto a quando aveva lasciato il potere nel 2010 (si attestava al livello record dell’80%-85%), ma va considerato che il mondo, e il Brasile non fa eccezione, è molto più polarizzato oggi che nella prima decade del secolo e che la destra interna e internazionale è molto più forte e organizzata oggi che nel 2010.

Portati a casa i programmi sociali, per Lula comincia ora una nuova tappa di governo con al centro la classe media, che a suo avviso è quella che ha sofferto di più per il malgoverno del Paese. Ritornare alla classe media significa migliorare il potere di acquisto di questa fascia di popolazione, e una prima misura in tal senso sarà l’aumento della quota di esenzione delle imposte che passerà a 5.000 reais. Una proposta che porterà un beneficio tangibile a 17 milioni di contribuenti. L’andamento dell’economia del gigante latinoamericano sarà cruciale per la sopravvivenza politica di Lula. Secondo un sondaggio Datafolha, i brasiliani sono oggi scettici nei confronti della situazione economica del Paese. A dicembre scorso, il 49% pensava che sarebbe migliorata, oggi questa percentuale è scesa al 46%. A dicembre il 20% riteneva che sarebbe peggiorata, oggi questa percentuale è salita al 29%. Importantissimo in questo senso il controllo del tasso di inflazione, che erode i salari soprattutto della fascia di reddito medio e basso: negli ultimi 12 mesi (il dato è di febbraio) il tasso di inflazione era del 5,6%, sostanzialmente in linea con quello dell’anno precedente (5,7%), ma si mantiene molto alto il tasso di interesse (al 13,75%) applicato dalla Banca centrale brasiliana e che più volte Lula ha auspicato scenda almeno un po’ per favorire l’espansione degli investimenti e dell’economia brasiliana. In salita è la disoccupazione, che è passata in pochi mesi dal 7,9% all’8,6%.

Questi primi mesi sono stati utili anche per riprendere il filo interrotto da Bolsonaro delle relazioni internazionali. Dopo le visite di Stato in Argentina (una consuetudine della diplomazia brasiliana vuole che il primo viaggio all’estero del neopresidente sia nel Paese vicino; tradizione interrotta, manco a dirlo, dallo stesso Bolsonaro) e negli Stati Uniti, Lula ha festeggiato i 100 cento giorni di governo con una imponente missione in Cina. La prima giornata a Shangai è stata segnata da due appuntamenti: il primo è stato l’insediamento di Dilma Rousseff a presidente della New Development Bank (Nuova banca di sviluppo) dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). L’istituzione si pone come contraltare del Fondo monetario internazionale (FMI) e della Banca mondiale che a detta dei BRICS sono controllati soprattutto dagli USA e dai suoi alleati occidentali. Costituita sette anni fa, la Banca ha finora approvato 99 progetti nei BRICS per più di 34 miliardi di dollari, principalmente per infrastrutture, e la maggior parte di questi crediti è andata a beneficio del Brasile (ad esempio, per il progetto della metro di San Paolo). Durante la cerimonia, il presidente Lula ha patrocinato l’uso della loro moneta nazionale nelle transazioni tra i Paesi della Banca ‒ «chi ha deciso che debba essere il dollaro la moneta?» ha aggiunto ‒, sancendo di fatto un asse sud-sud nella governance economica internazionale. Ha inoltre criticato gli ostacoli che incontrano le economie emergenti all’interno dell’FMI o della Banca mondiale ed è tornato a chiedere l’ampliamento della Banca dei BRICS ad altre economie, dicendosi certo che Dilma darà impulso a questa richiesta. «La Banca dei BRICS rappresenta molto per tutti quelli che sognano un mondo diverso, per quelli che hanno coscienza della necessità dello sviluppo e che, pertanto, hanno bisogno di denaro per fare investimenti» ha chiosato. Rousseff, nel suo discorso, ha difeso la Banca dei BRICS come la banca del «Sud globale», volta a lavorare non solo con gli attuali membri ma con molti altri Paesi in via di sviluppo. Ha aggiunto poi che è sua intenzione estendere l’uso delle monete locali.

Seconda tappa è stata la visita alla Huawei, che lavora in Brasile da più di 20 anni, è impegnata nello sviluppo del 5G e del 6G, e nel 2021 ha vinto un bando di gara per l’implementazione di queste tecnologie nel Paese sudamericano. Non è sfuggito ai commentatori il fatto che Huawei è azienda bandita dagli Stati Uniti poiché la Commissione statunitense per le comunicazioni federali la ha inclusa nella lista di imprese di telecomunicazione e tecnologia considerate pericolose per la sicurezza nazionale. Un piccolo sgarbo agli Stati Uniti quindi? Non proprio, ma è certo che il Brasile di Lula non si farà dettare l’agenda da altri.

Gli occhi del mondo erano però tutti sul bilaterale Lula-Xi Jinping del venerdì, rispetto al quale valgono più i sottintesi (nel senso della costruzione di nuovi rapporti di forza e di una nuova geografia tra le potenze) che non le dichiarazioni esplicite. L’atteso bilaterale tra Lula e Xi Jinping si è svolto in un clima di grande complicità e intesa. Al centro del colloquio sono stati i temi economici e commerciali. Sono stati siglati 15 accordi commerciali (rilevanti soprattutto quelli su scienza e tecnologia). Tra questi spicca quello relativo allo sviluppo di un satellite CBERS 6 (China-Brazil Earth Resources Satellite 6), per monitorare la regione amazzonica, oltre a quelli che riguardano la facilitazione delle transazioni commerciali, la promozione degli investimenti e gli standard sanitari applicati al commercio alimentare. «Nessuno può impedire al Brasile di migliorare le proprie relazioni con la Cina e non solo dal punto di vista economico», ha detto Lula. Gli ha risposto Xi affermando che la Cina considera le relazioni con il Brasile prioritarie e che è pronta a cooperare per rafforzare il loro partenariato allo scopo di apportare benefici ai rispettivi popoli. «La Cina e il Brasile sono i due maggiori Paesi in via di sviluppo e mercati emergenti negli emisferi orientale e occidentale, e in qualità di partner strategici condividono ampi interessi comuni», ha detto il presidente cinese. Ha poi aggiunto che la relazione «solida e costante» fra Cina e Brasile «è destinata a svolgere un ruolo importante e positivo per la pace, la stabilità e la prosperità». «La Cina considera e sviluppa sempre le relazioni con il Brasile da un’altezza strategica e da una prospettiva a lungo termine, ponendo gli scambi con Brasilia tra le priorità della sua diplomazia. Il presidente [Lula] è un vecchio amico del popolo cinese. Ha a lungo curato e sostenuto la causa dell’amicizia tra la Cina e il Brasile, promuovendo a grandi passi lo sviluppo delle relazioni bilaterali. Sono disposto a lavorare con Lula per guidare e inaugurare un nuovo futuro per le relazioni bilaterali nella nuova era, così da apportare maggiori benefici ai due popoli».

I primi 100 giorni di governo non potevano avere un epilogo migliore: il Brasile è tornato a parlare con una grande potenza, qual è la Cina, da pari a pari, e questo non era per nulla scontato per un Paese che per quattro anni è stato lontano dalla scena internazionale. Una buona premessa per il futuro prossimo (è in programma una visita di Lula in Europa: Parigi, Berlino, Madrid e Lisbona le mete scelte per questo primo viaggio nel Vecchio Continente). Meno lusinghieri sono necessariamente i commenti se si guarda all’accoglienza riservata al ministro per gli Affari esteri della Russia, Sergej Lavrov, a Brasilia: uno scivolone in cui una potenza del G20 qual è il Brasile, che difende democrazia, le istituzioni democratiche e i diritti umani in ogni sede possibile non dovrebbe incorrere.

È evidente che 100 giorni sono pochi per valutare i progressi economici e sociali di un governo ma sono abbastanza per valutare se ci sia o meno una inversione di tendenza rispetto al passato. E a noi sembra che sia così. Lo ha detto bene Lula chiudendo la riunione con i ministri per fare un bilancio di questi tre mesi e poco più: «Il Brasile è ritornato al futuro e questo è solo l’inizio».

Questo articolo è stato pubblicato su Treccani il 21 aprile 2023

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