Per far sì che il Pianeta resti vivibile per la civiltà umana, bisogna contenere il riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali. Per contenere il riscaldamento globale, l’Europa deve decarbonizzare la propria produzione di energia elettrica entro il 2035. Sembra un ragionamento lineare, fin troppo. Eppure, tra le intenzioni e i fatti c’è ancora un abisso. Soprattutto perché c’è ancora chi continua, come se niente fosse, a finanziare il gas.
Il gas resta protagonista del comparto energetico europeo
Sul carbone i passi avanti ci sono stati, tant’è che la metà delle centrali europee è stata dismessa o lo sarà entro la fine del decennio. Anche il gas naturale è una fonte fossile climalterante. Per la precisione, andando a conteggiare la CO2 emessa dalla generazione di energia elettrica in Europa, si scopre che oggi la fonte più consistente corrisponde proprio alle centrali a gas. Eppure, la strada per abbandonarle è ancora in salita.
Un nuovo report, redatto dalle organizzazioni ReCommon, Reclaim Finance, Beyond Fossil Fuels e Urgewald, fornisce un quadro della situazione. Spiegando che, oggi, la capacità delle centrali europee a gas ammonta a 217 gigawatt. Praticamente nessuna delle compagnie elettriche del Vecchio Continente ha pubblicato un piano su come intende ridurre la propria dipendenza dal gas. Anzi, ce ne sono 80 che si sono messe all’opera per aprire nuove centrali, con una capacità complessiva di 63 gigawatt. Il 18% è già in costruzione.
Avendo una vita media di circa vent’anni, queste ultime si pongono in aperta contraddizione con qualsiasi obiettivo climatico. E rappresentano anche un rischio di carattere finanziario, perché potrebbero tramutarsi ben presto in stranded assets. Cioè beni incagliati, inservibili.
Le banche hanno finanziato il gas con 288 miliardi di euro in tre anni
Se le compagnie elettriche possono permettersi di aprire nuove centrali a gas, è perché qualcuno le sostiene economicamente. Nel triennio compreso tra il 2019 e il 2022, le banche hanno finanziato il settore del gas con più di 314 miliardi di dollari, cioè 288 miliardi di euro. Per avere un termine di paragone, l’Italia con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ne riceverà 191,5.
Il podio spetta alla spagnola La Caixa con 16 miliardi di euro, seguito dalla francese BNP Paribas con 13 miliardi e dalla giapponese Mitsubishi UFJ Financial Group con poco meno di 12 miliardi. Tutte e tre sono tra le finanziatrici dell’italiana Enel che, nell’insieme, ha incassato finanziamenti pari a 56 miliardi. Nella classifica delle banche, le italiane sono due: Unicredit e Intesa Sanpaolo.
Gli investitori, da parte loro, a novembre 2022 possedevano circa 200 miliardi di dollari (cioè 183,5 miliardi di euro) in azioni e obbligazioni dei colossi europei del gas. Il primo della lista è BlackRock, con più di 20 miliardi di euro in titoli di ben 29 società.
Dalla transizione energetica dipende il futuro dei nostri figli
Viene da sperare che tutte queste grandi società finanziarie abbiano quanto meno affrontato il problema, stilando delle policy con le quali svincolarsi gradualmente da questa loro esposizione verso il gas. Eppure, sono state in pochissime a fare questo primo passo: soltanto tre banche e due investitori su 25.
Insomma, hanno aspettato – e stanno aspettando – fin troppo. Brigitte Alarcon, della campagna Beyond Fossil Fuels, commenta così questi dati: «Ogni euro investito in gas fossile dovrebbe invece essere destinato alle energie rinnovabili, per garantire la transizione energetica di cui abbiamo bisogno per proteggere la nostra salute e il diritto dei nostri figli a un futuro sicuro e prospero».
Questo articolo è stato pubblicato su Valori il 7 aprile 2023. Immagine di copertina Greenpeace Russia/Wikimedia Commons