Per una comunalizzazione del pubblico

di Carlo Vercellone, Alfonso Giuliani, Francesco Brancaccio /
7 Aprile 2023 /

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Di fronte all’offensiva neoliberale che dura da più di quarant’anni e di cui l’attuale riforma delle pensioni è solo l’ultimo atto, si invoca spesso il ritorno in vigore della sovranità statale. Ci si dimentica, tuttavia, che il “potere statale” non ha subito passivamente il processo di privatizzazione delle istituzioni che avrebbe dovuto proteggere dalla logica del mercato e dalla finanziarizzazione del capitale. Non solo lo Stato si è disimpegnato da tale compito di protezione delle istituzioni del welfare, ma è stato spesso un attore strategico in senso opposto, promovendo su tutti i piani la strategia neoliberale fondata sul trittico  commodification, propertization e corporatization.

Questa evoluzione non è affatto frutto di una fatalità. Si basa, in gran parte, sul modo in cui la proprietà pubblica statale è stata costruita sulla stessa logica assoluta ed esclusiva della proprietà privata e in funzione della sua protezione (New Public Management). Lo dimostra il fatto che, in termini giuridici, mentre l’espropriazione e la nazionalizzazione della proprietà privata prevedono sempre un indennizzo, la privatizzazione della proprietà pubblica non prevede alcuna consultazione o compensazione per la comunità.

La forza e l’inventiva del risorgente movimento dei commons, che ci ha portato a parlare di comune al singolare, come modo di produzione emergente, può aiutare a uscire da questa falsa alternativa Stato/Mercato. Le forme di autogestione della produzione, della proprietà comune e le esperienze di democrazia diretta messe in atto dai nuovi movimenti non si limitano a far rivivere l’economia sociale e solidale e la tradizione non statalista egemone all’interno del primo movimento operaio fino alla Comune di Parigi. Ci forniscono anche lezioni essenziali per riflettere su quella che possiamo chiamare la comunalizzazione del pubblico, dove con questo concetto ci riferiamo a una configurazione in cui i principi della democrazia del comune e dell’inappropriabilità penetrano nel cuore stesso delle istituzioni macroscopiche del pubblico e trasformano, dall’interno, il modo in cui funzionano la pubblica amministrazione e i servizi pubblici.

A sostegno di questa tesi, in questo breve spazio a nostra disposizione, due elementi principali, possono aiutarci a superare la concezione del pubblico ancora oggi dominante, storicamente e teoricamente.

Il primo è l’istituzione del sistema generale di sicurezza sociale in Francia nel 1945. In origine, la riscossione dei contributi sociali non dipendeva dallo Stato o dai datori di lavoro, ma da un fondo la cui gestione era affidata ai rappresentanti dei lavoratori, prima nominati dai sindacati, poi eletti direttamente dai dipendenti. In questo senso, il primo modello organizzativo della previdenza sociale può essere inteso come un’istituzione macroscopica del comune e costituisce ancora oggi un riferimento essenziale per pensare a un’alternativa al duopolio Stato-Mercato. A questo proposito, vale la pena ricordare che lo stratagemma adottato per far passare l’attuale riforma pensionistica attraverso una legge finanziaria rettificativa è stato possibile solo grazie a un progressivo processo di ricentralizzazione, le cui tappe principali stanno nelle ordinanze Jeanneney che, nel 1967, hanno imposto il paritarismo e abolito l’elezione diretta degli amministratori da parte dei lavoratori, e poi, nel 1996, nell’istituzione delle leggi di finanziamento della previdenza sociale che ne hanno completato la statalizzazione.

Il secondo elemento è la riflessione che si è sviluppata in Italia nell’ambito della Commissione Rodotà (2007). Nell’ambito di un progetto di riscrittura del Codice Civile, essa ha proposto l’introduzione del concetto giuridico di “beni comuni”, ma anche una riorganizzazione globale del regime dei beni pubblici appartenenti allo Stato. I beni comuni sono definiti come “cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali e al libero sviluppo della persona” e che devono essere tutelati “anche nell’interesse delle generazioni future”.  Sono dunque inseparabili dai processi di autogoverno che ne garantiscono la riproduzione, secondo regole di “uso civico collettivo” che si oppongono alla logica esclusiva della proprietà, sia essa pubblica o privata. Un’altra proposta della Commissione Rodotà è stata quella di sottrarre all’amministrazione statale il potere di disporre dei beni pubblici come se ne fosse il proprietario esclusivo, e di progettare dispositivi giuridici più forti per stabilire l’inalienabilità e l’inappropriabilità di questi beni.

In conclusione, l’amministrazione pubblica, una volta rimossa la sua posizione trascendente, deve essere ripensata come un semplice mandatario, e non più come il proprietario, di beni e risorse collettive di cui oggi si sente libera di abusare, alienandole e privatizzandole.

Versione originale in francese: https://ceriseslacooperative.info/2023/03/31/pour-une-communalisation-du-public/

Questo articolo è stato pubblicato su Effimera il 6 aprile 2023

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