Marco Dotti e la cultura che non si fa mai addomesticare

di Silvia Napoli /
30 Marzo 2023 /

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Esistono ancor oggi possibilità editoriali e, come dire, di concepimento, meravigliosamente inattuali, forse anacronistiche e proprio perciò stesso scagliate, addirittura esplose su scenari futuribili, quasi inimmaginabili. E per fortuna, perché forse sarà ora di fare i conti anche con il prima ignorato, poi blandito, infine esaltato lemma del Potere dell’immaginazione o all’Immaginazione.

Che addirittura si veste di buonismo e realpolitik pacificanti, con controversi esiti a seguire.

Non rientra in questa idea peraltro comprensibile e auspicabile per altri versi, di civismo artistico, per così dire, il pensiero di Marco Dotti, singolare figura di intellettuale, uomo di lettere tout court, votato allo studio e alla ricerca in ambito prevalentemente di cultura francese, come anche questo volume recentemente uscito per i tipi di Electa sta a dimostrare.

Stiamo parlando del volume dedicato a Cocteau, nell’ambito di una collana a valenza blandamente enciclopedica A/Z, in cui una ideale e molto particolare biografia pubblica e artistica del poliedrico autore della Voce Umana, viene firmata a quattro mani da Marco Dotti appunto, docente tra le altre cose all’università di Pavia e il brillantissimo Luca Scarlini, altro intellettuale di alto profilo ma di difficile collocazione . In entrambi i casi si tratta in qualche modo di divulgatori appassionati, se si intende ricercatori e, come vedremo dalla chiacchierata, trasmettitori di conoscenze: quel tanto di semplificatorio e mainstream che sottende il termine divulgatore, da queste parti non abita di sicuro.

In realtà, le domande sono tante e tutte molto correlate prima di arrivare all’elegante ed agile volume di Electa, corredato tra l’altro da una splendida sezione iconografica. Un oggetto d’affezione, un libro prezioso dalla formulazione insolita, che ci richiama subito alla tua autorappresentazione, dunque il classico come ti definiresti e collocheresti nel paesaggio culturale italiano.

Anzitutto, mi sento un giornalista, però certo anomalo, perché poco interessato a fornire la mole di informazioni e in più il termine comunicazione non mi piace… se dovessi scegliere nel mondo dei media, ti direi che mi piace la radio: spero infatti di ritrasmettere saperi e conoscenze. E di non farlo in modo pigro e accomodante. Mi riferisco sempre ai miei amati autori francesi per dire che artisti e intellettuali dovrebbero avere fame Ciò significa non stare nella nostra comfort zone in sicurezza, ma avere una brama di conoscenza, un’avidità di nuove esperienze. Oggi purtroppo La cultura sia con la minuscola che la maiuscola, elidono ed eludono il conflitto. Tra le tante cose di cui mi sono occupato in vita mia, ti posso dire che esiste una teoria, anzi, una sorta di tecnica che si chiama gamification, che si applica ai più svariati campi di intervento, in generale in situazioni collettive di lavoro, di apprendimento e che serve a rappresentare i conflitti e le problematiche relazionali come gioco. Ora da qui a vivere in una sorta di ludocrazia, il passo è stato breve. Anche questa mondanità che concepiamo noi è collegata all’esistenza di bolle edonistiche, in cui ci si parla un po’ addosso e il bello è che molti dei dispositivi partecipativi spesso quelli pensati per implementare acculturazione, anche con nobili intenti e la ricerca di meccanismi virtuosi di finanziamento finiscono per creare sotto bolle, non vere comunità. Oggi si è abbastanza frantumati, non abbiamo più rappresentazioni mondo. Risultiamo tutti autoreferenziali e quindi la politica culturale sconfina facilmente in marketing.

In realtà tu ti occupi moltissimo anche della dimensione sociale e in qualche modo antropologica del lavoro culturale, potrebbe essere che tu ti senta isolato in questo mondo di lavoratori a progetto, per progetto, che finisce per circoscrivere o offuscare un po’ la visione complessiva?

Quanto ai progetti, beh, io ne faccio, ne concepisco davvero tanti e ho una modalità peculiare, forse un po’ individualista di lavorare e per questo non sempre porto a termine tutto anche perché le condizioni di un certo tipo di lavoro possono mutare nel tempo e magari non offrirmi più quelle garanzie di autodeterminazione per me fondanti. Isolato, no, non mi sento, anche perché oggi è oggettivamente impossibile isolarsi, certo mi sento forse un po’ divergente, o fuori dal coro. Non voglio ergermi a giudice di nulla sapendo bene, da docente, quanto la dimensione pedagogica sia fondante per definire anche i propri orizzonti creativi, tuttavia appunto, una dimensione di tal fatta dovrebbe aver la sponda di una comunità intorno, che oggi non sappiamo più quale sia. Prendiamo Cocteau, il soggetto-oggetto vero di questa conversazione, cui io avevo in precedenza già dedicato studi e traduzioni, non so se esistessero davvero correnti e filoni e tendenze definite allora come amiamo immaginarcele noi e non so neppure se ci fossero cenacoli, o salotti o esperienze cosi indistinguibili di arte e vita, ma due cose sono certe: che l’intersezione di linguaggi, generi e forme artistiche, la sperimentazioni su mezzi diversi, fossero già forme espressive ampiamente praticate. Cocteau è emblematico in questo senso. Ed è alla luce di questa constatazione che prende corpo e valore, anche la sua attitudine, il suo approccio di scopritore e sostenitore di talenti… non certo solo l’amato Radiguet, dalla cui perdita non si riprenderà mai fino in fondo. Ma ci sono anche tante figure femminili che Cocteau, segnato nella sua personale biografia, dalla perdita precoce del padre e dalla figura dominante della madre, contribuisce a introdurre in società e lanciare. La mondanità, l’apparente frivolezza di Cocteau, al di là delle sue prese di posizione, anche politiche, o meglio della sua prudenza nell’assumerle, sono ben diverse dal consumo esasperato di immagine pubblica di cui oggi facciamo uso e abuso. Lui rimane uno che si spende con molta generosità per sostenere la sua creatività e quella altrui, tra alti e bassi economici. Anche l’uso di sostanze, in questo tipo di milieu, per conto mio assume un valore molto diverso dal nostro essere addicted di oggi, che ha valenze performanti o di anestetizzazione emotiva.

Devi pensare al fatto che ci stiamo riferendo ad una comunità deraciné, una bohème di poveri, tutto sommato, anche se chic, male in arnese anche in salute, che assume sostanze per sopportare miserie, dolori, malattie del corpo e dell’anima.

Un aspetto molto intrigante del libro, è che sia costruito secondo voci in ordine alfabetico, che rendono la figura sia umana che artistica di Cocteau, da un lato un caleidoscopio e dall’altro una narrazione in progress. Puoi dirci qualcosa di questa modalità di approccio e di come hai lavorato con Luca Scarlini a questo proposito?

R:Queste curiosità, mi offrono il destro di spiegare un po’ di cose. Intanto che ringrazio sempre la Electa per il modo in cui si è posta come casa editrice. Di solito succede che in questa collana, esistano dei curatori di voci di natura enciclopedica. Invece qui io e Luca siamo autori delle voci stesse, della varietà e arbitrarietà dell’ordine di entrata in scena e delle finalità per cui abbiamo messo in fila le voci. Solo alla fine, nelle ultime anche scarne pagine, noi azzardiamo un discorso, un commento, un cenno vagamente biografico .su Cocteau. Il libro è una arbitraria, parziale e non definitiva ricognizione in tutta una serie di personaggi e figure della cultura d’epoca con cui lui entra in contatto intimo, amicale, di lavoro e collaborazione. Chiaro che quel romanzo mondo, oggi impossibile per tanti versi, in qualche modo è come se scacciato dalla porta rientrasse dalla finestra, perché ne esce il ritratto di un’epoca e di un ambiente, attraverso queste frequentazioni messe in fila. Gli effetti sono molteplici rispetto a questa cosa. tu lo trovi agile, documentario, divertente da leggere, noi troviamo che cosi sia una struttura aperta, perché molto ancora si potrebbe sempre dire sull’artista o su quel periodo storico a cavallo tra le guerre o su altre figure ancora che possiamo correlare a lui. Diciamo che è un libro un po’ come se fosse un to be continue, una griglia aperta in cui ognuno può immaginare di aggiungere, proseguire quasi infinitamente oppure sottrarre, asciugare, lasciar perdere. quanto a Luca, si tratta di una storia o meglio osservazione reciproca che viene da lontano essendo entrambi collaboratori del Manifesto. Io Ammiravo i suoi interventi sul supplemento Alias, poi ci siamo incrociato casualmente salendo e scendendo da treni e salutandoci con simpatia. Alla fine, nonostante la mole di impegni di entrambi, il Covid di mezzo, la salute ballerina, nonché, lo devo dire, la enorme difficoltà a reperire documentazione e materiali, quando poi ci siamo messi a distribuirci le voci da scrivere è venuto tutto molto naturale e c’è una grande uniformità di stile, di linguaggio, una cosa davvero difficile e felice. Electa ci ha lasciato molta libertà, sarei contento di un’altra opportunità così da parte loro. Insomma, molta fatica, ma poi, immagino, dai tuoi riscontri, che questa fatica non si senta, che il tono sia scorrevole e appunto non paludato e nonostante tutto si avverta complicità e complementarietà con il lettore.

In effetti è cosi e mi chiedevo se ti senti di aver chiuso o meno con la cultura francese e dove presenterete questo libro.

Scuramente questo libro, uscito praticamente a Natale, verrà presentato a Mantova, al festival della Letteratura, poi non so, perché sono, siamo consapevoli, di essere un po’ sfasati, anacronistici… forse semplicemente inattuali . Questa in fondo è anche la caratteristica dei Classici, anche se non so se Cocteau si possa definire tale o amerebbe questa definizione. No, io non ho finito certo il mio debito nei confronti della letteratura francese e vorrei proporre la traduzione ed editazione di alcuni scrittori poco conosciuti.

Intanto sto lavorando ad un testo su Artaud, che io ho studiato a lungo, in Messico. A proposito di sperimentazione di sostanze psicotrope, qui si apre un bel campionario, ma appunto, ribadisco che siamo su territori di necessità e di approfondimento molto diversi dallo stordirsi di oggi.

Che ne dite, sodali lettori, organizziamo una presentazione di questo piacevolissimo e informatissimo libro anche a Bologna?

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