Forever young. Il teatro a Casalecchio e dintorni

di Silvia Napoli /
27 Marzo 2023 /

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Il territorio metropolitano bolognese, cosi lo chiamiamo oggi, a livello storico, culturale, quasi antropologico, comprende una grande varietà di accenti e declinazioni, convergenti tutti però verso una matrice comune del contemporaneo da rinvenirsi nelle vicende resistenziali da un lato e, dall’altro, in una capacità di resilienza e reazione a tutte le forme di stragismo sia pianificate che accidentali, occorse nei decenni passati.

Il piccolo e vivace Comune di Casalecchio ha avute le sue casualties nella tragica storia dell’aereo militare caduto sull’ITC Salvemini, ma tramite iniziative quali Politicamente Scorretto, una attenzione alla cura della Casa della Conoscenza, come luogo di arricchimento culturale ma anche di aggregazione e un investimento ben preciso come quello sul Teatro Laura Betti ha ben dimostrato di scegliere le armi giuste per combattere i mostri del nostro travagliato presente e cercare di creare comunità

A partire dal Teatro appunto, di quale comunità potenziale stiamo parlando? Il tema della natura delle comunità culturali oggi, in epoca di welfare culturale, è uno dei nodi cruciali del dibattito pubblico in materia. Il teatro Laura Betti, che ha dunque scelto un nume tutelare sufficientemente scomodo sotto diversi punti di vista, dimostra ad ogni stagione una sorprendente freschezza di proposte, un rilancio su versanti pedagogicamente scivolosi quale quello delle nuove consapevolezze corporee, fluidità di genere e famiglie diversamente connotate, una attenzione che è anche cura, però, non solo capacità appunto di sintonia propositiva, nei confronti delle generazioni più giovani.

Il punto qualificante sta probabilmente nella natura stessa del teatro comunale Laura Betti, ovvero nel suo essere parte attiva e importante all’interno di Ater, ovvero la rete dei comuni teatrali dell’Emilia-Romagna.

Una cosa importante, ci sottolinea l’affabile ed esperta Cira Santoro, alla Direzione già da diversi anni di questo polo cosi connaturato sociologicamente al territorio in cui opera, circondandosi di diverse interlocuzioni di prestigio con festival importanti da un punto di vista identitario.

La rete dei Comuni ha infatti un suo board tra amministratori e operatori culturali, al netto del sempre spinoso tema di risorse mai realmente bastanti rispetto al fabbisogno culturale complessivo, che svincolato da oneri produttivi di scambio e di circuitazioni di favore, può permettersi il lusso di scegliere effettivamente il meglio delle produzioni in giro con assoluto riguardo per la tanto bistrattata fascia di popolazione più che giovane. Esiste dunque da tempo a Casalecchio l’idea ben radicata perché costantemente esperita e anche verificata, monitorata, come vedremo, che se la Casa della Conoscenza è la dimora di un patrimonio di saperi, il teatro è il luogo, l’abitazione dei diversi linguaggi della sperimentazione e, dell’espressione individuale e collettiva, del comunicare, del crescere insieme educandosi vicendevolmente.

Il lavoro che viene portato puntigliosamente avanti è quello di creare e implementare e innovare reti di reti, che coinvolgano gli istituti scolastici in primis, le famiglie, ma anche le associazioni, i servizi comunali, le scuole private di danza e teatro, il tutto da sempre in piena sintonia, con i vari assessorati alla cultura che si sono succeduti negli anni improntati appunto di volta in volta all’attenzione ambientale, al civismo e al metissage di mezzi espressivi, infine ad una autentica visione rock della vita e del fare cultura.

Noi, mi sottolinea Cira che conosce la sua prima vocazione professionale come esperta e curatrice di Teatro Ragazzi, concepiamo, a maggior ragione dopo il periodo delle chiusure, nel quale però non abbiamo mai cessato di riflettere, il Teatro non solo come entità artistica, spazio in senso lato di confronto e proposta, ma anche riconosciamo l’importanza che questo sia fisicamente un ubi consistam, un laboratorio aperto e permanente, a porte aperte anche durante la giornata. Specie ora che i ragazzi tendono a imbozzolarsi. Ne è la riprova il fatto che un format inizialmente molto fortunato come Flow, dedicato ai linguaggi del rap, abbia bisogno di un ripensamento se non vuole soltanto essere una vetrina di artisti e conversazioni, ma un modo per liberare creatività diffusa. La fascia di età cui ci rivolgiamo, considerando che spesso vivono spalmati sul territorio metropolitano, magari fa fatica a esporsi qui ed ha un po’ la sindrome della cameretta.

Quando ci si rivolge a fasce d’età molto giovani a nostro avviso, prosegue il ragionamento Cira, è fondante, per poter davvero fare un salto di qualità tutti insieme, alzare l’asticella in modo popolare e condiviso, far progredire comunque innovazione nel senso estetico medio e anche dal punto di vista contenutistico, che le famiglie siano coinvolte. Soltanto cosi si può praticare intergenerazionalità e intersezione dei bisogni e delle tematiche.

Un esempio concreto di quanto ti vado dicendo, prosegue Cira, è oltre a tutto il nostro discorso rivolto alle famiglie Arcobaleno, quello del progetto Sciroppo di Teatro, che è stato concepito in epoca pandemica e che in effetti è anche una sorta di prototipo di quanto si potrebbe fare per connettere Benessere, Prevenzione e Cultura. Non sai quanto durante le interminabili sessioni di zoom di quel periodo, mentre altri approfondivano tante questioni, alcune sindacali, di tutela, quantomai opportune, altri questioni diciamo più sofisticate, noi ci siamo interrogati a lungo invece sugli orientamenti in materia di Prevenzione e accompagnamento al benessere contenuti nelle linee guida di OMS, già divulgati alla fine del 2018.

Ebbene queste linee guida attribuivano alle pratiche e fruizioni culturali tutte un ruolo importantissimo per il mantenimento di uno standard medio di buona salute nella popolazione. Che non significa naturalmente solo, si fa per dire, evitare o ritardare o alleviare certe forme di disagio o disturbo, ma anche promuovere stili di vita, attenzione, collettivi, più inclusivi e capaci di agire da moltiplicatori di benessere.

Una cosa potente- se ci pensi e ancor più potente se la pensiamo riferita addirittura ai bambini. Avere al mio fianco personalità come la presidente di ATER, Patrizia Ghedini, che ha alle spalle una lunga esperienza amministrativa nel favoloso mondo del welfare materno infantile bolognese, ha significato cercare e trovare con molta naturalezza quella trasversalità di aree, linguaggi e approcci di cui tutti oggi parlano.

Cosi è nata l’idea di coinvolgere i pediatri prima e in seguito le Farmacie, che sono veri e propri punti di riferimento quasi quotidiani per tutti, in questa sorta di ricettario culturale da affiancare al discorso terapeutico, in modo da incrociare le inquietudini, i disturbi comportamentali dei veramente giovani, piuttosto che con i farmaci, con l’avvicinarsi ad un mondo di pratiche, se vuoi olistiche. Tutto questo, coinvolgendo ovviamente i genitori. Abbiamo così creato pacchetti familiari da acquistare in farmacia con voucher a due euro per venire a teatro e ne siamo molto orgogliosi. Ora, continua Santoro, tu sai quanto talvolta io stessa guardi con stanchezza e un po’ di scetticismo a tutto questo frullare di bandi e progettazioni che ci costringono a vivere di corsa, a riadattare, certo anche nel bene, ma non sempre, il nostro pensiero, a ridimensionare e incasellare progettualità complesse: ci si riempie la bocca con le valutazioni di impatto e altre azioni sistemiche che spesso si fa fatica a reggere. Tuttavia, in questo caso specifico, siamo noi a tenerci a fare il monitoraggio di questa esperienza e non lo facciamo in autonomia statistica e secondo criteri quantitativi, ma invitando i soggetti coinvolti ad una sorta di autovalutazione e autorappresentazione del proprio stesso ruolo di cittadini attivati tramite diversi focus groups..

Siamo molto orgogliosi di questa centratura e del fatto di essere sempre un po’ irriverenti e informali anche rispetto alle categorie, metti, di abbonamento, di teatri più paludati. Infatti lo spettacolo che vedrai stasera, una prima italiana assoluta, Hold your horses, della compagnia olandese da Utrecht, De dansers, consigliato per ragazzi dai 14 anni, è appunto un serale di fine settimana, normale, consigliato anche per adulti, indipendentemente dal loro status di genitori o docenti. Questo spettacolo è stato realizzato con molte collaborazioni nazionali e internazionali ed entra molto in questo, come mi confermerà Igor Colussi, uno dei responsabili, raggiunto poi telefonicamente, il sodalizio con la Rete E bal: una rete di realtà di danza territoriali sempre più ampia, che partita da un cuore romagnolo, addirittura santarcangiolese, dunque sicuramente generoso, si è rapidamente trasformata in realtà di supporto pe circuitazione per giovani talenti e proposte estere da gestire su scala nazionale. Da Cenerentola, nelle programmazioni teatrali e festivaliere del contemporaneo, la Danza, proprio ponendosi altra con l’immaterialità dominante, ha scalato invece come forma di linguaggio amata dai giovani tutte le posizioni ed ora gode sempre di una sua visibilità e centralità.

Tutte queste considerazioni mi si confermeranno alla sera, già dal colpo d’occhio sulla platea del Betti, variegata in tutte le aree di età e categorie possibili come non sempre si vede e percependo passione ed entusiasmo in sala. Lo spettacolo energetico, romantico, meditativo, impreziosito da musiche e canti dal vivo in scena sostenuti con grande perizia insieme all’aspetto fisico-atletico da una sorprendente compagine di ventenni affiatatissimi, vibra sul pubblico come inno alla gioia della forza comunicativa del corpo ed evidentemente gli applausi scroscianti alla fine segnalano che sia stata colta una istanza diffusa.

Tornando alla nostra cara Direttora e curatrice, chiediamo questo scorcio di stagione cosa ci riservi ed effettivamente si annuncia un finale col botto, contrappuntato da diversi spettacoli di spicco e sicuro appeal. Ricordiamo per esempio, sabato 25 marzo, Filippo Nigro per la regia di Fabrizio Arcuri, in Every brilliant thing, ovvero le cose per cui vale la pena vivere, a seguire Maria Paiato con una sua rilettura dalla saga dei Bostoniani di Henry James e, attesissimo, l’Angelo della storia di Compagnia Sotterraneo, che ha trionfato ai recenti premi Ubu.

Mi congedo da Santoro, chiedendole una sorta di ricetta-elisir, forse politica, che consenta di mantenere uno sguardo giovane e attento sul mondo:- curiosità, chiosa, assenza di pregiudizio sulla libertà nei linguaggi ma anche, permettimi, un pizzico di quello spirito militante che ci fece tutti un po’ più ricchi moralmente e culturalmente qualche decennio fa, a dispetto delle letture a senso unico sugli anni di piombo. Non mi sto riferendo all’attivismo dal basso, perché quello con nuove forme esiste ancora. Intendo la militanza delle e nelle istituzioni, che è la cosa più difficile ed è un sicuro antidoto contro la politica dei piani altri, dei salotti, delle stanze segrete, dei think tanks che diventano poi autentiche stanze dei bottoni. recuperare contatti vitali e darsi anche tempo. Le esperienze devono trovare anche il modo di mettere radici, o di mettersi in discussione leggendo, studiando, confrontando, pensando. E se si fallisce, bisognerebbe darsi il tempo di correggere, rifare, modificare e non buttare via tutto e passare oltre. La mia indole meditativa, il mio modo di vivere il tempo e le relazioni mi suggeriscono questo approccio. Io che ho apprezzato anche la vena narrativa di Cira, sorridendo non posso fare a meno di pensare che almeno bisognerebbe concedersi il tempo sospeso di un tragitto in autobus da Casalecchio a s Donato, come accadeva alle sue amabili anziane, per potersi costruire piccole griglie di senso pret a porter.

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