Quando occupai il Sannazaro di Napoli: così passai da giacca e cravatta a beat e capelloni

di Sergio Caserta /
23 Marzo 2023 /

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Il racconto che segue è stato pubblicato con altri nel libro “Via Puccini 12 tra ricordi e identità” dalla casa editrice La Valle del tempo, nell’ambito del concorso letterario del liceo Sannazaro di Napoli, dedicato ad eventi socialmente rilevanti della sua storia. Quello che riporto è un episodio reale di violenza fascista (SC).

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17 Novembre 1970. Santolo e io, sul tetto del liceo ci sembrava di stare al sicuro, quando scappammo dopo che la polizia aveva fatto irruzione al pianterreno e non c’era altra via di fuga. Non so perché decidemmo di nasconderci, in fondo non avevamo molto da temere, partecipavamo all’occupazione del liceo Sannazaro sì ma non avevamo fatto niente e in quel momento eravamo anche vicini ai professori al secondo piano. Fatto sta che invece sul tetto arrivarono due celerini e ci acciuffarono senza troppi complimenti. Ci condussero al pianterreno e poi ci infilarono dentro il cellulare (il furgone non il telefonino che non esistevano nel 1970), eravamo sette in tutto.

Fuori sul viale intorno alla scuola si radunavano decine di studenti per protestare contro l’irruzione e il nostro fermo, lanciando monetine e ogni altro possibile oggetto, non contundente, contro la polizia.

Alla fine la polizia caricò gli studenti, molti furono manganellati, qualcuno duramente e ne subì le conseguenze psico fisiche per sempre. La manifestazione fu rapidamente dispersa e così ci condussero al commissariato dove c’identificarono, ci fecero alcune domande e ci rilasciarono. Fummo denunciati, sette su centinaia, di occupazione di edificio pubblico art 110-633 del Codice penale, interruzione dei corsi di lezione del Liceo Sannazaro, mediante occupazione dell’Istituto, art. 110-340 del CP ed uno anche di violenza contro pubblico ufficiale, reato certamente più serio, avendo lanciato lo studente, nella concitazione mentre fuggiva alle manganellate, uno sgabello all’indietro senza per altro colpire nessuno.

La nostra vicenda di imputati si concluse cinque anni dopo con la prescrizione del reato, ma restò un’esperienza piuttosto traumatica. L’occupazione era iniziata, nell’ambito del più vasto movimento studentesco di quegli anni, per contestare l’organizzazione degli studi su doppi turni ed anche tripli turni, a causa del sovraffollamento conseguente la carenza di scuole, negli anni del boom demografico.

L’occupazione fu un’esperienza di vita e politica molto coinvolgente, gestita attraverso un comitato studentesco che programmava le attività dentro la scuola, i turni di presenza anche notturni, le assemblee. Fino ad un certo punto coabitarono studenti di sinistra e di destra, che erano numerosi all’interno della scuola, anzi in precedenza l’avevano egemonizzata, ma non più dal 68. In un regime di indifferenza e reciproca tolleranza, noi facevamo i nostri collettivi e loro anche.

Ricordo che ce n’era uno intitolato “la verità sulla Grecia” in cui approfondivamo il colpo di Stato dei colonnelli del 1967 che aveva instaurato una dittatura fascista, mentre gli studenti di destra tenevano uno loro di segno opposto “la vera verità sulla Grecia” in ogni caso tutto avveniva senza scontro fisici. Fin quando quel giorno i fascisti dall’esterno, ma con complicità interne, fecero irruzione nella scuola e ci fu una rissa piuttosto violenta cui assistei da lontano senza avere il coraggio di gettarmi nella mischia.

Un militante di sinistra, Eddy, fu colpito duramente con un calcio alla gola e stette molto male. Tutto finì qualche ora più tardi con l’intervento della celere che pose fine all’occupazione che era durata più di un mese. Il Preside Notaro così come il buon Napolitano custode del liceo, due ottime persone, nel processo intervennero a nostro favore e la loro testimonianza fu decisiva per non farci condannare.

Anni turbolenti, anni di rivolta che non erano ancora quelli di piombo che sarebbero cominciati successivamente, ma la violenza politica cominciava a diventare un fenomeno diffuso. Da una parte noi con le nostre veglie per la pace in Vietnam, sotto le scale di piazza Fuga, dall’altra quelli di destra che non perdevano occasione per menar le mani. Lentamente il Vomero, quartiere borghese, con una forte tendenza di destra cominciava a cambiare segno. Qualche anno dopo fu realizzata una nuova scuola il VII liceo classico al Vomero in Piazza Quattro giornate, per dare risposta al bisogno di aule, in qualche modo eravamo riusciti nell’intento originario alla base delle nostre proteste.

L’occupazione con tutto quel che comportò fu per me un’esperienza altamente formativa. Avevo cominciato gli studi liceali, ricordo ancora il primo giorno di scuola al ginnasio, accompagnato da mia madre: vestivo con giacca, pantaloni corti e cravatta a farfallino, sembravo uscito da un romanzo di fine Ottocento e mi ritrovai circondato da beat e capelloni, in jeans a zampa d’elefante e minigonne. Non ci misi molto a cambiare stile, integrandomi perfettamente nel clima scolastico. Entravo nella vita piena.

Questo articolo è stato pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 18 marzo 2023

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