Da una Agorà all’altra: la seconda parte di stagione in Pianura Est e una conversazione con Giorgina PI.

di Silvia Napoli /
16 Marzo 2023 /

Condividi su

Questo articolo potrebbe essere anche titolato e dedicato al potere della parola e ai nessi che essa di per sé, sa costruire: Agorà, ad esempio, una piazza politica perimetrata e virtuale nello stesso tempo, ci conduce dalle periferie al centro e viceversa, in una vertigine semantica che unisce mito e contemporaneità, come poi ben vedremo. Il tema Agorà, ritorna infatti potente nelle ultime due conversazioni teatrali che desidero riportarvi. Apparentemente lontane e in realtà legate da fil rouges di intrecci esperienziali e performativi tra la via Emilia periferica e il West della Capitale.

Mi riferisco in apertura, alla bella e doverosa chiacchierata con Alessandro Amato, neo direttore di progetto di stagione Agorà, ovvero la programmazione diffusa o nomadica tra 8 comuni di Pianura Est, i cui fecondi semi, piantati con amorevole cura da Di Gioia, oggi di fatto assessora alla Cultura del Comune di Bologna sono cresciuti ed esplosi in fior di progetti dal respiro profondo e lo sguardo lungo, estremamente articolati nelle proposte.

La stagione ha inaugurato la sua seconda parte con Serena Balivo, in occasione della giornata della Memoria, per proseguire, poi con spettacoli di un certo impatto e rilevanza sperimentale specialmente se li pensiamo in un territorio provinciale.

La prima domanda ad Alessandro, comunque mi viene ispirata dalla immagine di copertina della brochure. Scomparso da poco e prematuramente il geniale artista artigiano Nicola Zamboni alle cui creazioni in atelier spesso l’iconografia della rassegna si riferiva, ora abbiamo una grafica accattivante ad opera del giovane Marco Smacchia. Qui si vede una silhouette collocata come riferimenti tra Depero e il dadaismo infantile, che tiene in mano una casina tipo gioco del Lego, avanzando dentro una nuvola che ridisegna bordi al suo interno contenendo altre casine consimili. Iniziamo perciò la chiacchierata proprio da questa immagine

Cosa mi dici di questa copertina? Le case sembrano comunque alludere ad una certa stabilità…

Trovo che in questo caso gli elementi maggiormente pregnanti però, siano quelli relativi al fatto che una nuvola associata di solito all’idea di mutevolezza, contenga ed espanda contemporaneamente in un certo senso e ridisegni i confini continuamente così come visione e percezione fanno. Poi credo anche che tutti i linguaggi, ancorché innovativi, debbano trovare una casa da qualche parte anche se la mobilità territoriale è importante. Questo perché come sai ci son i teatri da riportare in auge, ma a noi piace anche rivitalizzare altri luoghi e altre situazioni. Stavolta valorizziamo Villa Beatrice dopo lunghi restauri e avrai visto già una sala nuova di zecca a San Giorgio di Piano, dedicata alle arti dal vivo, che ha inaugurato ancor prima di inaugurare ufficialmente e darsi un nome, proprio con noi, con una tappa del nostro cartellone.

Quanti sono i possibili modi in cui fruire delle vostre programmazioni?

In effetti possiamo dire che specie nella sua seconda parte tradizionalmente Agorà diventa un festival, una festa mobile… esiste certo un calendario con una sua cadenza, ma al di la di questo come una matrioska abbiamo diversi contenitori e formati, definiti dalle diverse e sfaccettate personalità dei loro responsabili, curatori, artefici. Anna Amadori, per esempio, è la nostra formatrice per eccellenza e conduce laboratori per grandi e ragazzi che sfociano sempre in spettacoli veri e propri, Lorenzo Donati di Altre velocità, si occupa della riflessione sulla natura presente del Teatro, interrogandosi sulla natura della narrazione futura possibile e Nicola Borghesi con i suoi Kepler, fa leva sulla sua intensità affabulatoria così forgiata e plasmata nella realtà contemporanea…per Tenere Banco. Non manca l’incontro con la lezione dei maestri. Dunque importante, imperdibile l’appuntamento con figure esemplari quali Leo, Toto, Amleto, mediate. Dalla raffinata verve narrativa di Randisi e Vetrano. Non possono mancare poi gli appuntamenti celebrativi per noi. Così come fattivamente aderiamo alla giornata della Memoria, abbiamo anche gli appuntamenti che scandiscono le giornate della Liberazione. Il nostro lavoro ha già un senso politico molto preciso nel momento in cui cerchiamo di allargare la platea di potenziali fruitori teatrali creando rapporti fiduciari con la comunità, ma proprio perché ci chiamiamo Agorà, riteniamo doveroso marcare un orientamento e una direzione partecipativa del tutto contigua con l’impegno civile.

Il fatto che ci muoviamo trasversalmente alle generazioni di teatranti e di pubblico, fa si che nel cartellone, trovino posto cose molto sperimentali di oggi e di una volta, senza nessun timore di proporle ad un pubblico che non è necessariamente quello che si vede dappertutto e che va dappertutto. Sto pensando ad un lavoro come la Gloria, per esempio, o a Overload di Sotterraneo, o ancora Ashes di Muta Imago, e Circolo polare Artico degli Omini, che come sai fanno un lavoro antropologico e si interrogano da sempre, su quali siano e se esistano ancora le comunità oggi, come si connotino e precedono per questo i loro lavori da permanenze sul campo a caccia di interviste. Come vedi c’è una sorta di vasta scelta tra i più recenti vincitori dei premi Ubu …Ma anche da Scenario se pensiamo ad Arturo. Un lavoro che ci sembra prezioso è anche quello di una straordinaria triangolazione intergenerazionale di attrici per tratteggiare le pagine autobiografiche di Memorie di ragazza di Annie Ernaux, recente vincitrice del premio Nobel per la letteratura. Sai che ci piacciono comunque le collaborazioni con gli istituti di cultura e quindi di nuovo ancora la Francia. Alludevo poi alle sperimentazioni della tradizione, in ossequio ai convincimenti di Leo sulla tradizione come insieme di innovazioni e cosi ospitiamo l’ultimo nastro di Krapp nella versione di Giancarlo Cauteruccio, un altro pezzo di storia del teatro di ricerca alle prese con una pièce che risulto sconcertante ai suoi tempi per il rapporto con le tecnologie, diremmo oggi :vedremo i giovani cresciuti con il digitale come reagiranno dinanzi al nastro magnetico.

Bene, in questo ricchissimo panorama mi manca solo di chiederti se ci sarà un’altra edizione del Festival Epica, che fu veramente una bellissima impresa della scorsa stagione estiva.

No, Epica, così legato alla figura della sua artefice Elena, non ci sarà, anche se hai visto che permangono formati da quel contenitore e il tempo dirà se riusciremo a ricreare ulteriori magie di quel tipo.

Mi congedo da Alessandro, con un assist perfetto per parlarvi di una artista e intellettuale da me corteggiata e inseguita da tempo quale Giorgina PI, che con la sua compagnia Blue Motion fu per l’appunto una dei principali protagonisti di Epica e che sta lavorando in questi mesi anche a Bologna con diverse progettualità. In questo caso, la raggiungiamo telefonicamente a Parigi dopo il debutto nazionale di Pilade all’Arena del Sole nell’ambito del progetto Come devi immaginarmi, che ERT dedica a Pasolini celebrandone la vocazione drammaturgica e tragica in particolare, cosi discussa e anche spesso sottovalutata.

Giorgina dopo questo debutto e una corsa a Roma è appunto di nuovo fuori d’Italia per ragioni di studio. Ci racconterà come in qualche modo l’incrocio di terapie, la pratica di linguaggi diversi, la familiarità con la traduzione, la mantica dei sogni, l’attivismo femminista costituiscano in un certo senso una manovra d’avvicinamento anche ad un artista intellettuale che nella scena sembra rifiutare sia lo psicologismo che lo straniamento brechtiano in favore di una adesione al Mito. Un mito, attenzione, che sembra tuttavia spogliato dall’assolutezza indiscutibile dell’adesione al Rito, che viene sempre dialettizzato per mostrare orrore e banalità della Ripetizione, delI’Inevitabile, del Conformismo, della Massificazione identitaria. Tutto quanto fa insomma fascismo ad un livello ancestral-antropologico.

Ci inseguiamo da tempo e spesso, pur essendo tu legata e sempre correlata come immagine, alla realtà Angelo Mai, in verità sei più spesso altrove che a Roma in modo stanziale. vuoi parlarci un poco quindi della collocazione di Blue Motion rispetto a tutto questo?

Mi piace molto fare ricerca, dentro e fuori di me, dunque sono spesso in giro per documentarmi sul lavoro da fare dall’origine delle fonti e in particolare adesso sono qui a Parigi per il mio dottorato di ricerca che verte, guarda caso, su un discorso di saghe tragiche come appunto Orestea, Filottete, che abbiamo affrontato nel lavoro Lemnos, per esempio. Ma, devo anche dirti che sono spesso fuori Roma, che pure adoro, anche perché è sempre più complicato e difficile in generale lavorare con un minimo di agio e di tempo qui in Italia. Roma in particolare è una città complicatissima e la vicenda Angelo Mai, ne è un esempio. Un collettivo formato da competenze e pratiche multidisciplinari composito ma motivatissimo, dentro il quale non ci stavano solo teatranti, o altre cose considerate frivole o superflue, ma architetti, urbanisti, tra gli altri, al fine in pratica di far rivivere cambiandone l’identità e la fruizione, una bocciofila abbandonata e in sfacelo, nel cuore di uno dei luoghi più suggestivi di Roma come l’incipit di Appia antica. Ebbene tu sai come tutto questo è stato trattato alla stregua di terrorismo. Abbiamo un accumulo di imputazioni di rilevanza penale, incredibile, cause milionarie in ballo, anche se adesso, sembra ci abbiano riconosciuti dentro un patto di collaborazione con il Comune. Se tu vai anche solo una volta ad Angelo Mai, riesci a renderti conto del fatto che è un luogo talmente informale ed inclusivo da costituire di per se un esempio di Agorà civile non violenta e che praticamente, la sua porosità, lo rende simile nelle risultanze a quello che poteva essere un teatro di strada degli anni passati. Perché certamente un tema esiste, anche se noi siamo felicissimi di calcare palcoscenici e teatri veri e propri e dunque lusingati di questo invito da parte di ERT, un tema di ricognizione sul pubblico dei teatri. E su quello che in un teatro viceversa non ci andrebbe tendenzialmente mai e perché. A chi stiamo parlando, in poche parole?

Da spettatrice in Arena, rispetto a Pilade, ho trovato incredibile il lavoro sul testo e il modo di porgerlo degli attori, posto che ad un performer vibrante quale Gabriele Portoghese si possa chiedere effettivamente molto, quali le chiavi di lettura per avere, a dispetto di una lingua tragica sin troppo alta ed elegiaca che Pasolini usa, un effetto di riverbero e risonanza, cosi attuale e riconoscibile, per il tramite di una evidente esplicitazione dei conflitti?

Il conflitto da sciogliere o porre come enigma è il sale della pratica teatrale che va nutrita con forza dall’apporto del pubblico, per questo la Lingua ha una grandissima importanza. In quanto via di espressione e poi di comunicazione. Ma su questo voglio tornarci tra poco. Io mi interrogo sempre sulla natura cangiante del pubblico e ti devo anche dire che trovo scandaloso quanto poco si sia fatto in questi anni disgraziati per le arti performative, in modo da pensare un nuovo rapporto con il pubblico. Il teatro è infatti uno specchio prismatico di ciò che si ha intorno. La lingua di Pasolini suona ostica perché volutamente alta e ieratica. Deve contenere quel senso del sacro che lui vedeva perduto nella società della modernizzazione spinta. Poi però ci sono tutti i cosiddetti orrori del secolo breve, che vengono citati per nome e cognome. Se ci risuonano è perché, mutatis mutandis, sono temi che si presentano oggi in altro contesto e forma, ma sono ancora tutti lì, nodi irrisolti nella storia italiana. E, di più, ci risuonano perché Pasolini ci mette di fronte ad una cognizione del Dolore non privatistica, ma di comunità, ovvero l’evidenza di una dimensione di violenza sopraffattoria ben radicata in una sfera prepolitica, antropologica diremmo noi, una pulsione di morte profonda che sta nella genetica umana e che solo in parte è conoscibile, spiegabile, arginabile. Riconducibile ad una ratio, iscrivibile nei codici della Polis. Di qui l’interesse per il Mito, che è anche il mio come vedi. Non si tratta qui di abbracciare le vie di una irrazionalità new age. Si tratta solo di accettare che il nostro agire pubblico e il nostro anche corretto agire per il bene, non esauriscono i nostri doveri conoscitivi perché vi è una parte terribile, nel nostro consociarci che dobbiamo imparare a riconoscere anche come sentire. Massimo Fusillo che per Blue Motion è un’autentica guida, ha lavorato incessantemente per lungo tempo con me sui testi di Pasolini che io ho incontrato da giovanissima ma non in questo modo e sul mito, appunto, che io frequento anche perché aderisco alle correnti junghiane di analisi. Io stessa sono avvezza a trascrivere i miei sogni quotidianamente e devo dire che la dimensione del sogno, come ipotesi, opportunità, sfaccettatura della realtà è molto presente nella poetica di Pasolini. Vorrei aggiungere che, rispetto alla lettura canonica del secolo scorso cui accennavo sopra, io avrei qualcosa da dire perché comunque la capacità generativa e trasformativa che si sprigionava dai conflitti, ha prodotto anche grandi riforme e che se oggi l’opinione pubblica media appare anestetizzata rispetto persino alla guerra o alle stragi in mare è perché sembra non avere una percezione nitida del dolore e dell’offesa. Dico queste cose perché so di essere definita attivista tout court, ma comincio a sentirne il peso perché si vorrebbe più condivisione per sentirsi attivisti. Mi riconosco sempre invece nel mio essere femminista. Non ha nulla di nostalgico il mio immaginario sulla Grecia antica, in quanto culla della Agorà democratica, perché i meccanismi di esclusione rispetto a molte categorie e soprattutto per le Donne erano molto stringenti. La nostra democrazia oggi cosi in crisi, come dire, è nata già con molti limiti di base.

Si direbbe un po’ che la storia della Democrazia, trovi una circolarità di fasi sino ad arrivare alla Grecia martoriata dalle politiche liberiste della Troika ed è sintomatico l’interesse che la tragedia riletta con questi occhiali di radicalità sia al centro del lavoro di altri gruppi come Motus, ad esempio. Mi sembra interessante anche affrontare il discorso sulla traduzione perché sappiamo anche del tuo lavoro sulla cultura anglofona. Sto pensando a Churchill e Tempest, naturalmente…

Grazie per questa sollecitazione, perché fare teatro è già un modo di tradire, tradurre, interpretare. La stessa gamma di emozioni e concetti può essere suono, può essere immagine, corpo. Detto questo si, a me piace molto l’attività di traduttrice ed è sintomatico in effetti che l’Occidente nelle sue forme culturali più compiute oggi si esprima in un certo universo linguistico e valoriale che ha prodotto industrializzazione prima, poi tecnologie, controllo, consumismo, mercantilismo. Ma di nuovo, vi si esprime anche quella fluidità e irriducibilità dei generi che sta già tutta in figure come Tiresia (n.d.r., ricordiamo che Tiresias è il plurirappresentato e premiato lavoro del collettivo interno al progetto “Hold your own“). Per quanto riguarda Pilade, ho lavorato moltissimo sulle relazioni, le triangolazioni che si venivano a creare tra Oreste, Pilade ed Elettra e le conseguenti interrelazioni con le Eumenidi ed Atena. Sono molto chiare tutto sommato le parti in causa che rappresentano, le istanze che tutti portano, ma divengono ambigue nel divenire storico perché sono interdipendenti. Le Eumenidi stesse carsicamente si manifestano in forme sempre diverse a sottolineare lo zeitgeist. Pilade è la frustrazione di una periferia, di un bordo,( per Pasolini, una comunità agricola sognata), che viene vissuta come minaccia, ma non riesce a farsi egemonica perché ha perso la sua religione sostituita da una Techne apparentemente neutra, in realtà funzionale ad un rinnovato ordine borghese.

Mi pare che tu sia affascinata anche dal tema della Profezia, tra Tiresia ed ora anche in Pilade se ne fa un tema centrale.

Sai che non ci avevo fatto caso più di tanto, anche se preciso che quando Ert mi ha interpellata per questo bellissimo progetto, ho proprio scelto io di occuparmi di Pilade. Pasolini stesso come sai viene spesso etichettato come profetico e non sono affatto sicura che gradisse questo appellativo. Lo avvertiamo cosi perché è in realtà come sfasato e anacronistico, sospeso tra la consapevolezza del peso del retaggio, dell’heritage e della legacy, per dirla appunto all’anglosassone e la crisi valoriale che già si stava evidenziando. diciamo che se pensiamo il futuro come un processo, una costruzione, la Profezia è una buona lettura dei segni, degli indizi ancora sottotraccia che il Presente ci manda. Pasolini aveva una spiccata sensibilità per questo, ma tutti noi possiamo accogliere questo esercizio. Il Teatro, non inteso come edificio, anche se per noi è un onore essere sui palchi di Teatri nazionali e internazionali, beninteso, è uno dei luoghi diffusi dove tante persone riunite insieme possono essere testimoni, commentatori e lucidi profeti del proprio tempo, qualsiasi cosa si rappresenti.

Questo progetto comprendeva anche diverse altre cose che a questo giro non sono riuscita a seguire. In particolare, una articolazione sui giovani. Ci vuoi parlare di questo?

Intanto premetto che siete fortunati a vivere in un posto, comunque, dove l’attenzione alla cultura dei giovanissimi è molto alta con tantissime progettualità dedicate. Poi mi consta fare una premessa: credo si debba dare attenzione alle fasce più giovani della popolazione anche semplicemente ascoltandole e soprattutto dare loro occasioni materiali di espressione e presa di parola. Io non sto pensando solo alle sofferenze indotte dalla pandemia e dal ritiro forzato, che peraltro molti, praticano volontariamente sempre con il supporto della famosa Techne, ma al fatto che se penso alle nostre giovinezze ci vedo una gamma di possibilità e aperture sul Possibile, molto maggiori di adesso, sia in termini di istruzione, che di mobilità. Oggi i condizionamenti di classe sono tornati ad essere pesantissimi, cosi come quelli sui generi, se sono un po’ meno uno stigma, sono comunque una faccenda spesso privata con la quale fare i conti una volta arrivati sul libero mercato delle opportunità. Per questo a me piace incontrare i giovani nelle scuole e altrove e starli a sentire. Ti stupiranno sempre con una intelligenza delle cose che sorprende noi adulti che non vogliamo lasciare le nostre rendite di posizione o ci sentiamo in colpa e in imbarazzo per le condizioni in cui consegniamo loro il pianeta e l’assetto sociale ancora cosi feroce e ingiusto. Vorremmo rimuovere il problema. Ho incontrato molti ragazzi nelle scuole bolognesi contestualmente a questa prima di Pilade e abbiamo avviato il progetto Lucciole, di cui sentirai molto parlare a breve perché ci saranno eventi pubblici con i ragazzi nella tarda primavera. Io verso metà aprile tornerò a Bologna, infatti proprio per questo.

La linea da Parigi ormai va e viene dopo questa intensa chiacchierata e concludiamo per ora qui la nostra conversazione condividendo questa attitudine di rispetto e fiducia nella capacita rifondatrice delle più giovani generazioni, gravate davvero da pesi e debiti enormi che forse noi non avevamo e dobbiamo forse farci una ragione del fatto che le figure genitoriali da abbattere oggi siamo proprio noi.

Aiutaci a diffondere il giornalismo libero e indipendente.

Articoli correlati