Guerre, riarmo e tecnocrazie ritardano la transizione energetica

di Mario Agostinelli /
13 Marzo 2023 /

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Premessa

Rileggendo a sprazzi le sequenze della monumentale “Fondazione” di Asimov ho provato ad attualizzare le tre leggi della robotica formulate dal biochimico e scrittore sovietico già nel 1942, mentre era in corso la Seconda Guerra Mondiale e l’Universo veniva da lui immaginato popolato da etnie diverse e da comporre in una definitiva armonia. Ho così potuto comparare con rammarico come l’avanzamento della tecnologia e la pretesa di una “singolarità” che oltrepassi i limiti dell’umano – così scontata e affascinante in quei corposi romanzi di fantascienza – sia stata accesa e distorta in questo inizio millennio in un perverso vortice di guerre di cui non si intravvede la fine. Al punto che un riarmo, tanto più sofisticato quanto più annientante, si presenta come lo stigma degli anni a venire. Anziché verso una prospettiva di pacificazione universale, cui faticosamente tendeva la mitica Fondazione di Hari Seldom, gli impieghi dell’intelligenza artificiale, l’innovazione dei sistemi di propulsione balistica, l’innesco a velocità subluminale degli ordigni bellici, puntano tutti  a trasformare i campi di battaglia in piattaforme mobili da cui soldati-robot bersagliano le popolazioni civili e distruggono le infrastrutture per rendere invivibili i territori del nemico. Le tre leggi su cui Asimov aveva ipotizzato il contributo della robotica alla evoluzione umana (i robot erano a quel tempo la personificazione dell’intelligenza artificiale ed il sostegno delle attività più gravose) erano volutamente conciliabili con una prospettiva di pace, da raggiungersi nel tempo e nello spazio. Lo scenario di lotte che impegnavano generazioni sempre più evolute non sarebbe stato quello della fine delle specie, ma il diritto alla convivenza – la pace alfine! – da cui derivano tutti i diritti civili, sociali e naturali.  La loro enunciazione svela una tensione verso una società non più lacerata da conflitti indomabili: 1) un robot non può recare danno agli esseri umani, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, gli esseri umani ricevano danno; 2) un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, tranne nel caso che tali ordini contrastino con la Prima Legge; 3) un robot deve salvaguardare la propria esistenza, purché ciò non contrasti con la Prima e la Seconda Legge. Ed a complemento, quasi ad anticipare il tempo delle attuali emergenze che minacciano la sopravvivenza, una quarta disposizione: un robot non può recare danno all’Umanità, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, l’Umanità riceva un danno.

Ho avuto la tentazione di mettere le intuizioni fantasiose di Asimov a cospetto del paradosso di guerre senza fine come quelle in corso, sempre più pericolosamente in estensione e sovrastate dalla minaccia nucleare. Il paradosso è ancor più insopportabile se si considera che la società dell’intero Pianeta è impegnata in una transizione energetica evocata e promessa, ma, nei fatti, cancellata dagli effetti dei conflitti armati e dall’intensificarsi del ricorso alle fonti fossili climalteranti per tempi incompatibili con gli obbiettivi dichiarati invalicabili nelle sedi scientifiche e, ormai, anche in quelle istituzionali come le numerose Cop o i progetti UE di Next Generation.

Invece di consumarsi in una devastazione irreversibile, come si potrebbe immaginare il mondo della Grande Transizione per uscire dalle emergenze che lo affliggono? Sarebbe naturale concentrarsi su caratteristiche tangibili come la demografia, le trasmigrazioni funeste private di accoglienza, gli stili di vita, la cura della Terra e gli accordi politici ed economici per promuovere a livello universale la giustizia sociale, la rivalutazione del lavoro. Ci accorgeremmo, allora, che le prospettive di un cambiamento sistemico nella sfera istituzionale si basano in definitiva su un corrispondente cambiamento nella sfera intangibile della coscienza umana, oggi bersagliata da narrazioni fatue, quando non delittuose. I valori dominanti del mondo convenzionale – antropocentrismo, consumismo, liberismo e individualismo – dovrebbero lasciare il posto a una triade ascendente: uguaglianza, ecocentrismo, sobrietà, per consegnare alla solidarietà il riscatto da un capitalismo onnivoro e riscoprire la lotta di classe corroborata dalla non violenza e dalla riproducibilità della biosfera. Dobbiamo purtroppo constatare che questo percorso è in grande affanno, non solo per la tragedia della pandemia ancora in corso, ma, come scrive Domenico Quirico su “La Stampa” del 6 Gennaio, “per il sopravvenire di una nuova globalizzazione bellica, che si farà con i Paesi su cui gli americani possono contare, quelli che accetteranno, riconoscenti e obbedienti, i cantucci e lo spartito della integrazione economica senza alzare pretese geo-politiche”. Una riflessione nuova per la comunicazione mainstream, che va al di là della sola asserita responsabilità dell’invasore del suolo ucraino: l’orizzonte si allarga con una condanna della guerra e della pretesa di una improbabile vittoria o sconfitta dei contendenti, che ha fatto dell’Ucraina solo “la prima linea della quarta Guerra Mondiale”. Molte delle riflessioni di questo inizio 2023 si proiettano su un fronte su cui insisteva inascoltato Bergoglio nel mettere al centro la sofferenza e la privazione di futuro dei popoli, rifuggendo dalla personalizzazione e dal giudizio riservato solo ai leader, obbligati in  un contrasto senza fine e privo di qualsiasi comunicazione. Negli stessi giorni di Gennaio in cui il papa si rivolge al dolore “delle madri dei soldati di ambo le parti di una guerra insensata”, Francesco Strazzari su “il manifesto” afferma che “la guerra come strumento della volontà politica sembra funzionare sempre meno rispetto al conseguimento degli obiettivi dichiarati” e Walter Sini su “Domani” riflette su come “Sarebbe bello (ma non succederà) che i primi incontri tra le parti in conflitto, comprese quelle che la guerra non l’hanno dichiarata, si intitolassero ‘conferenza per il riequilibrio del quadro geopolitico’, e che nelle prime sedute si evitasse di parlare di Ucraina”.

Ritengo che ci si stia approssimando ad una svolta in un percorso che va rimeditato e fermato al più presto, sospendendo le ostilità che hanno come posta in gioco una divisione incolmabile del mondo in blocchi di potenze e di scarti. Con una ripresa di autonomia della società civile ed una riapertura di responsabilità della sinistra rendiamoci prontamente conto che siamo al punto di non ritorno. In molti ambienti, non solo in Russia o in modo più latente in Cina, ma soprattutto nell’Occidente angloamericano, si sta preparando una sorta di “singolarità tecnologica proprietaria”, che punta a preservare una crescita incontrollabile e irreversibile, non destinabile a tutti gli abitanti del Pianeta e che determinerà cambiamenti ed un dominio imprevedibili nella civiltà umana. Clima, Nucleare e Ingiustizia scivolerebbero così in secondo piano, mentre la tensione alla produzione e all’impiego di armi e di fonti fossili, occuperebbe le menti in una improvvida eccitazione su quale blocco alternativo (USA o Cina?) debba essere riconosciuto egemone entro il prossimo decennio.  Preparando già da adesso lo scontro finale in un’escalation di conflitti per procura, sparsi in più parti del globo.

Le intuizioni di Asimov sulla direzione di una tecnologia ancora non sfuggita di mano agli umani predispongono ad una visione dell’intero universo come un sistema interconnesso, cooperante e proteso a responsabilizzarsi su tempi lunghi di sopravvivenza, paurosamente accorciati invece ai nostri giorni dalla incommensurabile potenza dell’energia nucleare e dalle percosse antropiche inferte all’atmosfera, alla vegetazione, agli oceani, al vivente. Credo, allora, che, per uscire indenni dall’Antropocene non basti più ricorrere alla contrapposizione deviante tra un Occidente liberista dimentico della sua profonda tradizione di democrazia sociale ed un Oriente (asiatico) in cui la rappresentanza popolare è abitualmente resa opaca: due forme di imperialismo che si ripartirebbero una ricchezza ben più consistente e articolata da affidare alle nuove generazioni,

La corsa al riarmo e le nuove strategie militari

La guerra in corso in Ucraina funge da intenso catalizzatore per le operazioni di riarmo, non solo degli attuali cobelligeranti. La tendenza, infatti, non si rivela come un aspetto contingente: è diventata strutturale e consolidata in diversi Paesi nel 2020, ma venne esplicitata in particolare dalla NATO ormai 10 anni fa. Il 2022 appena terminato segna un record di spesa: per la prima volta si sono sborsati più di 2100 miliardi di dollari. La corsa al riarmo sembra inarrestabile, come dicono i numeri snocciolati dal “Stockholm International Peace Research Institute”. La Russia sta investendo cifre inverosimili per i suoi arsenali: tra il 1999 e il 2020 ha incrementato le spese militari di 9,5 volte e di altre 3 tra 2021 e 2022. Sulla Cina, le informazioni sono nebulose, ma il riarmo è plateale: si stima che la spesa militare cinese sia stata di 252 miliardi di dollari nel 2020, con un aumento del 76% rispetto al 2011. E poi c’è la gigantesca spesa statunitense, che l’anno scorso ha raggiunto gli 800 miliardi di dollari. Gli Europei, che avevano frenato sulle spese militari, confidando sul “dividendo della pace”, una proposta lanciata da 60 premi Nobel per tagliare il 2% delle spese militari per liberare mille miliardi di dollari da utilizzare per il clima e la salute, ora stanno riprendendo ad investire, pur tra contrasti interni e sotto la pressione dell’invio di armi a Zelensky.

Un aumento di spesa militare accade nell’Indo-Pacifico, dove Giappone, Corea del Sud, Vietnam, Indonesia, e anche Australia e India stanno stanziando cifre sempre più imponenti. Emblematico è il caso giapponese, che ha archiviato la sua impostazione solo difensiva: ha ordinato i costosissimi aerei caccia F-35, ma anche annunciato l’ingresso nel progetto italo-britannico Tempest (con  l’italiana Leonardo) per un jet di sesta generazione che vedrà la luce tra quindici anni e mira ad un avveniristico sistema di missili e bombardieri strategici. Leonardo è in questa partita, come nella commessa alla Polonia per 32 elicotteri militari, pari a 1,7 miliardi di euro. Anche Fincantieri, l’altro colosso italiano, è in pista. L’Italia nel 2021 si è attestata ad una spesa di 24,4 miliardi di euro (1,37 per cento del Pil) per decidere nell’anno in corso di proiettarsi al 2%. Un caso emblematico riguarda la Germania che spenderà 100 miliardi di euro in pochi anni per arrivare a 200 miliardi nel proprio budget militare.

Gli aiuti a Kiev, secondo il Kiel institute for world economy (Ifw) sono in continuo crescendo: Usa 25 mld di euro, Londra 4 mld, 1,8 mld la Polonia, mentre Germania e Francia si sono per ora limitati a 1,2 miliardi e solo 233 milioni rispettivamente. Quanto all’Italia, non è andata per ora oltre i 150 milioni di euro, ma il ministro Crosetto ha assicurato un congruo aumento entro la primavera.

Impressionante è il boom dell’industria militare USA: l’attuale protagonista dell’aiuto militare statunitense all’Ucraina è il sistema missilistico HIMARS di Lockheed Martin, la stessa arma usata dai marines statunitensi per ridurre in macerie gran parte di Mosul. il Congresso ha già speso 340 milioni di dollari per 2.800 Stinger per sostituire i 1.400 inviati in Ucraina. Per quanto riguarda il sistema di difesa aerea Patriot, l’arma non è stata ancora inviata in Ucraina, perché ogni sistema può costare un miliardo di dollari e il corso di formazione di base per i tecnici per la manutenzione e la riparazione richiede più di un anno per essere completato.

Ma più a lungo la guerra va avanti e più si intensifica e più diventa chiaro che le forze statunitensi sono direttamente coinvolte in molti aspetti come:  aumentare la gittata dei missili; aiutare a pianificare le operazioni ucraine; fornire intelligence satellitare; intraprendere una guerra informatica; operare segretamente all’interno dell’Ucraina con forze per operazioni speciali e paramilitari della CIA.

Il 9 Gennaio undici storici corrispondenti di grandi media (Corriere, Rai, Ansa, Tg5, Repubblica, Panorama, Sole 24 Ore) hanno lanciato l’allarme sui rischi della narrazione schierata e iper-semplicistica del conflitto ucraino:

“Dobbiamo renderci conto – hanno sottoscritto – che la guerra muove interessi inconfessabili che si evita di rivelare al grande pubblico. La propaganda ha una sola vittima: il giornalismo e l’opinione pubblica viene spinta verso la corsa al riarmo”

(v. https://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/ucraina-letteradi-10-giornalisti-ex-corrispondenti-di-guerra-contro-la-propaganda-dei-nostri-media-sulla-guerra_59478148-202302k.shtml)

In effetti, i documenti che sostengono la nuova strategia di difesa nazionale di Russia e USA, usciti in questi mesi, esprimono una discontinuità, quasi una frattura rispetto alle impostazioni precedenti ed indicano che siamo entrati in una nuova pericolosissima fase. Non conosco in dettaglio il documento russo, ma ne traggo deduzioni dalle continue mezze dichiarazioni sull’arma nucleare e dalle affermazioni di Putin che “il mondo sta entrando nel suo decennio più pericoloso, imprevedibile e importante dalla fine della Seconda Guerra Mondiale” e che “c’è la necessità di un nuovo ordine mondiale, ovvero, di un multipolarismo che abbia come centri l’Asia (attenzione: ha citato l’Asia, non la Cina), i Paesi islamici, le monarchie del Golfo. Per quanto riguarda il documento USA, invece, ne ho letto con cura le ottanta pagine che sono passate al vaglio del Pentagono, di Capitol Hill e di Biden sotto il nome di “National Defence Strategy” (NDS). Perfino nella forma lessicale si notano cambiamenti inquietanti: per 59 volte viene citato “l’interesse della propria patria”; il terrorismo è derubricato a minaccia non più centrale; la Russia è considerata, pur nella sua aggressività, un avversario da tenere a bada con un peso più consistente degli alleati NATO; mentre il nemico del prossimo decisivo decennio è dichiaratamente e irreversibilmente la Cina.

Per rendere più evidente il salto di qualità di impostazioni che danno per scontato uno stato di guerra fuori dai propri confini di lunga durata, cito di seguito alcuni passi, ricorrendo alla traduzione letterale in virgolettato. “Gli Stati Uniti continueranno a cercare modi per integrarsi e interagire” con alleati e partner che “la pensano allo stesso modo”. La deterrenza nucleare assume ora il titolo di “deterrenza integrata”, al fine di dissuadere “i concorrenti” dal minacciare “anche solo con armi convenzionali il paese oggi militarmente più forte”. Viene esteso alle imprese private un ruolo determinante nel riarmo e nella ricerca di nuove tecnologie, “creando blocchi politici basati sui valori d’impresa”. Gli Istituti Universitari saranno sostenuti con programmi militari, come sta accadendo per il Livermore National Laboratory, autore del propagandato esperimento di fusione ad esclusiva destinazione militare. La postura delle armi nucleari è definita “determinante” e, per la prima volta, si mette in conto che possa spettare agli Stati Uniti nella persona del suo Presidente il compito di decidere il “First strike”, l’innesco della guerra nucleare. Con una certa sorpresa il clima viene preso seriamente in considerazione: “l’esercito deve diventare resiliente ai cambiamenti climatici” e le basi e infrastrutture militari in tutto il globo devono essere assicurate da inondazioni o eventi gravemente perturbativi. Inoltre, il dominio marittimo va assicurato con la presenza adeguata della Marina in tutti gli oceani.

Si tratta, in definitiva, di una rivoluzione nella dottrina internazionale relativa all’uso e al significato delle armi nucleari e, nello specifico, dell’intera architettura di sicurezza militare statunitense. Si noti che nel corso dell’analisi del ruolo del Dipartimento per il decennio a venire l’Ucraina non entra per niente. Il marchio sotto cui viene argomentato uno sforzo possente come mai prima d’ora attuato, sta nel riconoscimento – in analogia con la dichiarazione di Putin prima citata – che “nella finestra dei prossimi dieci anni si definirà l’egemonia mondiale e si potrà così realizzare la difesa dei nostri valori democratici”.

Dalla lettura della NDS si deduce anche che non esiste un’idea alternativa di un modello di sviluppo possibile, ma che si fa indifferibilmente conto sulla superiorità nel campo degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale, oggi nelle mani non certo trasparenti di una manciata di soggetti privati. E, di conseguenza, viene oscurato il tema, sempre più impellente, della rivendicazione dell’umano e della sua dignità contro lo strapotere delle macchine militari estremamente energivore, che a loro volta, non fanno i conti con la crisi ambientale, che ha acquisito una radicalità e un’impellenza oggettive. Nel documento si esplicita un’autentica spinta verso una “singolarità” nel campo delle tecnologie (non solo militari), intesa come una definitiva supremazia dell’artificiale (prodotto esclusivo dell’intelligenza e della sua organizzazione) su quanto è prodotto della esclusiva evoluzione di natura  biologica.

Nella DNS si dichiara che non ci si limiterà a sistemi cinetici, ma ci si rivolgerà ai domini cyber e spaziale, anche schierando sistemi di satelliti ridondanti e che, sul piano finanziario e commerciale, verranno comminate sanzioni economiche, controlli sulle esportazioni e misure diplomatiche stringenti su manufatti e brevetti “sensibili”. Sul piano della comunicazione e informazione, infine,  si punta ad aumentare il consenso internazionale su ciò che costituisce – così e definito – “un comportamento maligno e aggressivo”. Sensori resistenti e ridondanti forniscono un’elevata sicurezza che potenziali attacchi verranno rilevati e caratterizzati, permettendo politiche e procedure che garantiscono un processo deliberativo e “consentendo il tempo sufficiente al Presidente per raccogliere informazioni e considerare linee d’azione in quanto essere umano in the loop per tutte le azioni critiche da avviare e terminare per l’impiego di armi nucleari”. In questo contesto è previsto il ripristino della capacità di produrre pozzi di plutonio per proteggere dalle incertezze dell’invecchiamento del plutonio nelle scorte odierne, consentendo anche la produzione di nuovi progetti di fossa, se necessario, per armi future che sostituiscano le attuali (è quanto sta succedendo a Ghedi con la sostituzione delle bombe nucleari B61 con le nuove B61-12).

Lo scenario qui descritto fa presumere che la guerra provocata dall’invasione russa dell’Ucraina non troverà facilmente fine, mentre la società, pur sotto il segno di atroci sofferenze, distoglierà lo sguardo dal fare del Pianeta che abitiamo un luogo vivibile, ben oltre il prossimo decennio.

L’intelligenza artificiale e il potere delle tecnocrazie

La maggior parte dei metodi proposti per creare menti sovrumane o transumane rientrano in una di due categorie: 1) amplificazione dell’intelligenza e della potenza del cervello umano, 2) intelligenza artificiale surrogatoria di quella umana e del pensiero stesso. I molti modi ipotizzati per aumentare l’intelligenza umana includono la bioingegneria, l’ingegneria genetica, la farmacologia, le funzioni dei computer quantistici e lo stesso caricamento delle funzioni mentali, che vanno oltre la semplice registrazione della memoria. I possibili percorsi verso un’esplosione di intelligenza, variamente perseguiti, rendono, secondo molti tecnocrati, possibile una singolarità nel percorso dell’evoluzione, cioè un punto, nello sviluppo di una civiltà, in cui il progresso tecnologico accelera persino oltre la capacità di comprendere e prevedere degli esseri umani. Un aspetto che è oggetto di interesse anche da parte degli ambienti militari.

In sostanza, poiché la progettazione di macchine è una delle attività intellettuali, una macchina ultra-intelligente potrebbe progettare macchine ancora migliori; ci sarebbe quindi indubbiamente una tale esplosione da superare le facoltà umane. Quindi, la prima macchina ultra-intelligente sarebbe l’ultima invenzione che l’uomo abbia mai bisogno di fare, a patto che la macchina sia abbastanza docile da comunicare come tenerla sotto controllo. Un pericoloso paradosso, che segna un confine etico oggi già alla prova in ambiti politico-militari esclusivi, esposti alla terrificante possibilità del ricorso al nucleare, magari con un passaggio intermedio da un uso tattico a quello strategico della bomba. Che il progresso delle tecniche possa andare in direzioni irrecuperabili è nella prospettiva, purtroppo, della guerra in corso e di quelle future, se ci saranno. Infatti, non esiste una motivazione evolutiva scontata perché un’intelligenza artificiale debba essere amichevole con gli umani. L’evoluzione non ha alcuna tendenza intrinseca a produrre risultati apprezzati dai viventi e ci sono poche ragioni per aspettarsi che un processo di ottimizzazione arbitrario promuova un risultato desiderato.

Numerosi scenari di studi sul futuro suggeriscono che sia più che probabile che gli esseri umani si interfaccino con i computer o carichino su di essi le loro menti, in un modo che consenta una sostanziale amplificazione dell’intelligenza singola e, con diverse modalità di accesso, collettiva. Una versione di una simile esplosione è quella in cui la potenza di calcolo si avvicina all’infinito in un periodo di tempo finito. A meno che non sia impedito da limiti fisici di calcolo o dalla quantizzazione del tempo, questo processo inquietante potrebbe raggiungere letteralmente una potenza di computo infinita in uno o due lustri, guadagnandosi propriamente il nome di “singolarità” per lo stato finale. Entro questo periodo il cambiamento climatico potrebbe essere giunto ad uno stadio così brusco da non essere reversibile, le guerre così estese da non trovare soluzioni, l’ingiustizia sociale tanto grande da negare l’universalità dei diritti. Se le risorse continuassero ad essere iniquamente distribuite, come oggi già sta avvenendo, c’è da chiedersi come sarebbero le vite degli esseri umani in un mondo di “post-singolarità”, quando le decisioni non avverrebbero più in un contesto democratico, ma in uno stato di necessità ed in una situazione di squilibrio fra potenze, consegnata ad algoritmi sfuggiti di mano, che apprendono e che si autoriproducono. Ad esempio, con un aumento di un milione di volte nella velocità di elaborazione delle informazioni rispetto a quella degli esseri umani, un anno soggettivo trascorrerebbe, in un manufatto di nuova generazione, in 30 secondi fisici. Una tale differenza nella velocità di elaborazione delle informazioni potrebbe determinare previsioni che nulla abbiano a che vedere con i bisogni della comunità umana o di qualunque specie sopravvissuta.

Naturalmente stiamo ragionando su ipotesi, ma scordiamoci che siano semplicemente fantascientifiche. Come afferma Massimo Buscema in una intervista su “Quality and Quantity” di Ottobre 2022, “agenti incontrollabili, intelligenti e aggiornabili, alla fine entreranno in una “reazione incontrollata” di cicli di auto-miglioramento ed ogni nuova e più intelligente generazione apparirà sempre più rapidamente, risultando in una potente super-intelligenza che qualitativamente supera di gran lunga tutta l’intelligenza umana”. Una caratteristica prima inimmaginabile, una “singolarità” cui ci avviciniamo incoscientemente passo dopo passo e la cui sperimentazione è già in atto nei conflitti in corso, i cui confini sono segnati dalle incommensurabili gittate delle armi automatiche, dai rilievi satellitari di massima precisione e da tecnologie secretate e ignote alla maggioranza dell’opinione pubblica. Il ricorso a sistemi sempre più avanzati di intelligenza artificiale ha un impiego specifico nelle guerre per procura, cioè in azioni guidate da fuori, laddove lo scopo è farsi una rappresentazione del contesto nella quale un dispositivo è immerso, facendo addirittura previsioni sull’ambiente. Stabilendo rapporti di causa-effetto, sviluppi possibili, origine di certi segnali e scaricando con precisione tutto il potenziale distruttivo portato a destinazione, la missione del dispositivo di intelligenza artificiale è compiuta.

Dare una direzione alternativa a questo sviluppo letale è argomento primario della politica e dei movimenti in democrazia e, proprio in tempo di guerra, occorrerebbe adoperarsi per opporsi ad impieghi criminosi e riconvertire conoscenze e manufatti potentissimi in direzione delle emergenze incombenti sulle nostre vite e su quelle delle generazioni future che hanno diritto alla pace.

Occorre, in definitiva, credere nell’agire umano rispetto al determinismo tecnologico e che sia possibile disporre di un’economia in cui le persone soddisfino i propri bisogni dando senso al lavoro e inventando la propria vita con la conquista di un sistema democratico che contempli giustizia climatica e sociale.

La transizione energetica posticipata dalla guerra

In un frangente così deviato dal concetto di potenza e dalla supremazia della tecnocrazia, è l’energia che la fa da padrona e non solo – come ho cercato di accennare – sotto la forma incontrollabile delle armi.

Se la bomba nucleare non è più solo un elemento di deterrenza – come lo è stata fino ad ieri dopo Hiroshima e Nagasaki – ma una eventualità possibile, è facile far scivolare l’opinione pubblica verso il nucleare civile, da fissione o fusione che sia, raccontato come praticabile e difendibile quanto l’invio di armi ai belligeranti.

Intanto, il rilancio dei fossili fa parte di un “ritorno a prima”, che la pandemia sembrava avere esorcizzato. Mentre viene sanzionato e tolto di mezzo il gas russo, non si programma affatto il rilancio delle rinnovabili, ma si acquista addirittura metano liquido estratto da pozzi oltremarini e localmente rigassificato, con un bilancio energetico ed economico disastroso.

Se dovessimo fare un bilancio sull’avanzamento della conversione energetica nel 2022 difficilmente potremmo essere ottimisti, anzi! L’energia è emersa nel suo aspetto più politico, svincolandosi dal peso del solo mercato, condizionata ampiamente dall’incipiente “terza guerra mondiale a pezzi”. La stessa coesione della UE, dimostrata al tempo del “20/20/20”, si è frantumata a fronte di una crisi energetica senza precedenti. Invece del “grande affare energetico europeo” di cui l’Europa aveva bisogno, i leader dell’UE sono rimasti bloccati nella politica interna. Al di là della svolta politica, indotta dall’invasione russa dell’Ucraina, ciò che rimane è una lotta senza senso per un tetto massimo del prezzo del gas, che nella migliore delle ipotesi farà ben poco per abbassare i prezzi dell’energia e, nella peggiore, spaventerà i venditori sul mercato.

I centri di potere legati ai fossili sono tuttora colossi pubblici che rendicontano al Governo del proprio Paese del loro operato. Il ruolo delle lobby ha di conseguenza sovrastato la svolta ancora timida verso l’autoproduzione da fonti naturali, il decentramento territoriale, il risparmio, le forme di consumo comunitarie. I governi europei ad inizio 2023 rimangono riluttanti a impegnarsi per un obiettivo di rinnovabili al di sopra del 40% per il 2030.

Secondo l’ultimo rapporto della Iea, nel 2022 le emissioni mondiali di CO2 sono aumentate di 330 milioni di tonnellate. Ma le tonnellate in più sarebbero state il triplo senza il contributo delle rinnovabili e della mobilità elettrica.

L’incremento mondiale della di CO2 in questo anno (+1%) è stato determinato da un piccolo aumento (+1,5%) delle emissioni statunitensi e da uno più elevato di quelle indiane. Le emissioni cinesi hanno registrato invece un lieve calo (-0,9%), analogo a quello della UE (-0,8%).

La crisi pandemica, i lockdown, il caro energia e di materie prime con un’inflazione a due cifre, la guerra in Ucraina e nel resto del mondo, i rischi sempre più concreti di sicurezza sulle forniture, gli eventi climatici sempre più estremi, sono tra loro interdipendenti e il cambio di paradigma energetico assume in essi un ruolo molto rilevante: basta pensare che l’Italia ha speso nel 2022 circa 75 miliardi di euro in più per l’energia rispetto alla media dei 10 anni precedenti. Una cifra comparabile con gli investimenti per lo sviluppo delle fonti rinnovabili in base agli obbiettivi europei assegnatici dalla UE al 2030.

Cingolani sul Corriere della Sera del 31 Dicembre 2022 proclamava: “nucleare niente pregiudizi, il futuro passa da qui: armi ed energia sono cose diverse” Buon per lui.

I fatti mostrano purtroppo una geopolitica al top, mentre biosfera e natura sono retrocesse a preda del vincitore. In un contesto così alterato prende corpo il miraggio della fusione, un’energia come quella che proviene dal sole (ma ad una distanza di 150.000 KM!) che nell’esperimento propagandato a Livermore non tiene conto del divario incolmabile tra il risultato dell’accensione e l’energia necessaria per il pareggio del dispositivo. Questo modo di procedere e di spacciare per ingegnerizzabile e commerciabile in anni vicini un esperimento di prevalente destinazione militare, ha instaurato tra scienza e tecnologia un processo politico di decisione e informazione dei cittadini con l’obbiettivo di mettere sotto il tappeto quel “non c’è più tempo”, che invece è ormai patrimonio del senso comune ed ha a portata di mano la rivoluzione  delle rinnovabili con il sostegno delle nuove generazioni.

Questo articolo è stato pubblicato su Inchiesta Online il 12 marzo 2023

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