L’invito che il ministro della giustizia Carlo Nordio ha rivolto al parlamento, esortandolo a non essere supino nei confronti dei magistrati, ha rappresentato uno dei momenti più inquietanti della storia politica italiana recente.
Quelle parole infatti sono state pronunciate il 19 gennaio proprio nei giorni in cui magistrati e forze dell’ordine erano riusciti a catturare il capomafia Matteo Messina Denaro, latitante ormai da trent’anni. Ci sono magistrati, ha detto Nordio, “che, avendo sempre fatto i pubblici ministeri antimafia, hanno una visione estremamente, chiamiamola così, severa di questi problemi, ma l’Italia non è fatta di pubblici ministeri e questo parlamento non deve essere supino e acquiescente a quelle che sono le associazioni dei pubblici ministeri”.
La gravità di queste parole sta anche nel fatto che il ministro le ha pronunciate dai banchi del governo all’interno della camera dei deputati, durante il dibattito sullo stato della giustizia in Italia. Lo ha fatto forse senza neppure rendersi conto del peso anche simbolico che avrebbero immediatamente assunto, sia nei confronti delle procure che indagano sulla criminalità organizzata, sia dello stesso parlamento. E, a quanto pare, senza prevedere le conseguenze politiche che quelle parole avrebbero avuto, soprattutto a destra.
Attacco alla magistratura
In quel momento si era infatti nel pieno del dibattito sullo strumento investigativo rappresentato dalle intercettazioni, innescato da una serie di dichiarazioni dello stesso Nordio, alcune rilasciate ai mezzi di informazione, come l’intervista a Radio24 del 17 gennaio, altre in parlamento: prima al senato e poi alla camera, tra mercoledì 18 e giovedì 19 gennaio. In queste occasioni il ministro ha più volte affermato con decisione la necessità di intervenire in senso più restrittivo sulla disciplina delle intercettazioni per evitare abusi. Ma le questioni squisitamente tecniche sono rapidamente passate in secondo piano di fronte all’esplodere della polemica per l’attacco alla magistratura, innescata per di più proprio a ridosso della cattura di Messina Denaro.
Nell’intreccio tra questioni politiche e questioni giuridiche che si è venuto a creare, in molti sono intervenuti per rispondere al ministro sull’importanza delle intercettazioni come strumento investigativo. Tra questi, perfino il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia che, nelle ore successive alla cattura di Messina Denaro, è stato costretto a ribadire come proprio le intercettazioni siano state fondamentali per arrivare al capomafia latitante, e come lo siano in generale nella lotta contro la criminalità. Ma, come detto, non è stato il solo a parlare.
Attorno alle parole del ministro si è aperto uno scontro tra magistratura e politica come non si ricordava dai tempi dei governi guidati da Silvio Berlusconi. E questo ha finito per mettere in difficoltà soprattutto Giorgia Meloni. Già alle prese con le conseguenze del mancato taglio delle accise sui carburanti deciso dal governo, la presidente del consiglio si è trovata costretta a gestire un’altra grana della quale avrebbe fatto volentieri a meno. Secondo i sondaggi, la prima flessione di Fratelli d’Italia) dopo mesi di crescita impetuosa si è registrata infatti proprio dopo il pasticcio sulle accise. È evidente che altri passi falsi non sono ammissibili, anche perché in vista ci sono le elezioni regionali in programma il 12 e 13 febbraio in Lombardia e nel Lazio dalle quali, peraltro, dipendono più i futuri equilibri interni alla maggioranza che i rapporti con le opposizioni.
Ma, come nel caso delle accise, subito sono emerse le divisioni tra gli alleati di governo, anche con diverse prese di distanza più o meno esplicite nei confronti di Nordio, seppure le sue idee sulla giustizia, e anche sulle intercettazioni, siano note da tempo. L’ultima volta le aveva esposte, già da ministro, circa un mese fa e sempre in parlamento. Ma sono anni che Nordio ne scrive e ne parla, come ex pubblico ministero, scrittore e pubblicista, manifestando pienamente la sua sensibilità garantista, molto diversa da quella più giustizialista che anima buona parte del partito di Meloni e della maggioranza ora al governo.
Prendere tempo
Non a caso, soprattutto Forza Italia – alla quale si è aggiunto il Terzo Polo dall’opposizione – è apparsa sulla stessa linea di Nordio. Molto più evanescente è stato il sostegno della Lega e, anzi, proprio il leader leghista Matteo Salvini il 21 gennaio ha affermato: “La politica deve evitare lo scontro con la magistratura e viceversa”. Di fatto, uno stop a Nordio. A quel punto, con una nota il ministro ha affermato di non avere intenzione di dimettersi. La sensazione rimasta è però quella di una sua estrema solitudine, tanto che si è resa necessaria una seconda nota, stavolta proveniente dalla presidenza del consiglio dei ministri, con cui Giorgia Meloni ha ribadito “la sua piena fiducia nel guardasigilli”, annunciando un incontro in settimana.
Va poi sottolineato che, al termine di una settimana che ha visto la giustizia al centro delle polemiche, il 24 gennaio a intervenire è stato significativamente anche il presidente della repubblica Sergio Mattarella, nella sua veste di presidente del Consiglio superiore della magistratura (Csm), l’organo di autogoverno dei giudici, e quindi di massima autorità istituzionale in materia. Parlando nel corso della cerimonia per il commiato ai componenti uscenti del consiglio, Mattarella ha prima ricordato come quella appena conclusasi sia stata per il Csm “una consiliatura complessa, segnata da gravi episodi che l’hanno colpita”, per poi soffermarsi sulla indipendenza della magistratura stessa. “Attraverso l’esercizio trasparente ed efficiente del governo autonomo”, ha detto il presidente, “il consiglio superiore deve garantire, nel modo migliore, l’autonomia e l’indipendenza della giurisdizione”. La magistratura, ha aggiunto, “ha nei valori costituzionali, nel suo ambito e nella sua storia, le risorse per affrontare le difficoltà e per assicurare, con autorevolezza e con credibilità, il rispetto della legalità indispensabile per la vita e la crescita civile della società e del nostro paese nel suo complesso”.
Il paradosso in questa storia sta nel fatto che sulle intercettazioni Nordio sostiene posizioni ragionevoli, e ampiamente e trasversalmente condivisibili, dalla tutela della sfera privata dei cittadini non toccati dalle indagini, alla necessità di impedire che intercettazioni irrilevanti per le indagini finiscano sui giornali. Il fatto è che molte delle questioni che solleva appaiono superate. La cosiddetta riforma Orlando in tempi recenti è intervenuta tra l’altro sulla raccolta, la selezione, la trascrizione e la conservazione dei dati, rendendone più difficile la diffusione. E per il momento pare funzionare abbastanza bene.
Appare evidente, allora, che dietro l’insistenza con la quale da destra si invoca una revisione delle regole in senso restrittivo, e più in generale nel modo in cui continua ad affrontare le questioni della giustizia, vi sia una motivazione di natura ideologica più che giuridica. Lo fanno pensare anche certe ambiguità, per esempio nel distinguere tra regole che riguardano le indagini, e quindi il lavoro dei magistrati, e regole che riguardano la diffusione delle notizie, e quindi il lavoro dei mezzi di informazione. Nell’ambiguità, infatti, diventa più facile usare eventuali eccessi della stampa per proporre un irrigidimento delle regole che riguardano gli strumenti investigativi a disposizione di chi indaga. Ed è ciò che sta accadendo.
Per come si sono messe le cose, però, alla maggioranza, e soprattutto a Giorgia Meloni, adesso conviene non acuire ulteriormente – per quanto possibile – lo scontro con la magistratura, e prendere tempo almeno fino alle elezioni regionali. D’altra parte, è sempre più difficile capire quale sia lo scopo nell’insistenza con la quale ormai da settimane si annuncia di voler intervenire su temi così delicati, innescando regolarmente polemiche che si propagano senza controllo, anche perché sulle intercettazioni manca tuttora una proposta concreta sulla quale discutere. E questo, soprattutto, pare incredibile.
Continue marce indietro
Questa storia, insomma, ha fatto emergere ancora una volta l’approssimazione di una destra divisa e troppo spesso impegnata a smentire se stessa, e che con il trascorrere del tempo appare sempre più impreparata a gestire il potere che si è trovata a occupare. Lo dimostrano le continue marce indietro alle quali è stata costretta da quando si è insediata al governo del paese: si è già detto delle accise, si potrebbe ricordare, tra i tanti, anche il caso dei pagamenti elettronici, il pos.
Ma soprattutto resta indimenticabile la storia del provvedimento sui rave party, adottato significativamente in occasione del primo consiglio dei ministri di questa legislatura per dare un segnale politico al proprio elettorato in materia di sicurezza, e sul quale si dovette però immediatamente rimettere mano per correggerne errori ed eccessi. Tra questi, la possibilità di intercettare gli organizzatori di questi eventi, decisa allora dalla stessa maggioranza che adesso ritiene assolutamente indispensabile intervenire in senso restrittivo sulle stesse intercettazioni. Ed era solo tre mesi fa.
Questo articolo è stato pubblicato su L’Essenziale il 24 gennaio 2023