Salvini ha ribadito la fretta che la Lega ha di approvare l’Autonomia differenziata per le Regioni che ne hanno fatto richiesta (massimo entro un anno) ma Gianfranco Fini (interpretando il pensiero di Fratelli d’Italia) ha consigliato di non avere fretta su riforme che rischiano di spaccare il Paese. Il Presidenzialismo resta una priorità per la Meloni e per la destra postfascista, così come l’Autonomia differenziata lo è per l’altra destra italiana, ma le due proposte sembrano incompatibili sia per i tempi di realizzazione (il Presidenzialismo ha bisogno di almeno due anni per realizzarsi essendo una riforma che modifica la Costituzione) sia per le diverse logiche che le sostengono. Che c’entra, infatti, un progetto di maggiore “scorticamento” delle competenze dello Stato centrale a favore delle Regioni del Centro-Nord con un progetto di più ampi poteri del Presidente della Repubblica? Come potrebbe rappresentare meglio la nazione un Presidente eletto con voto popolare mentre si incrina ulteriormente la struttura unitaria dello Stato? Come si fa a conciliare il “patriottismo” della destra meloniana con “le piccole patrie” care alla destra salviniana?
Se, infatti, le due destre italiane sembrano unite nel campo degli interessi sociali da salvaguardare (la povertà come colpa, l’impunità per gli evasori) e nei nemici da additare (sempre gli immigrati) nel campo delle riforme le distanze sono enormi. La Lega sostiene, oggi, un “accompagnamento dolce” della disunità della nazione, “una separazione soft” del Paese, mentre Fratelli d’Italia sostiene uno statalismo nazionalista non compatibile con un ulteriore allargamento dei poteri delle Regioni. Salvini ha cercato negli anni scorsi di annacquare il localismo nordista con una riscoperta di altri territori, compresi quelli meridionali, mettendo insieme nazionalismo e localismo, sovranismo e iper-regionalismo. Ma non si può pretendere di essere al tempo stesso partito-nazione e partito dei territori.
Certo, autonomie locali e nazione non sono assolutamente termini contrapposti: si può consolidare l’idea unitaria di nazione rispettando e promuovendo le capacità di autogoverno dei territori. E nella prima fase della vita delle Regioni, dal 1970 al 2000, questa conciliazione è stata ampiamente praticata. Poi il regionalismo ha assunto un carattere divisivo, non una migliore articolazione e declinazione della nazione, ma un tentativo di trasformare le Regioni in piccoli Stati. La Lega è stata protagonista di questa fase conflittuale del regionalismo con l’unità della nazione in tutta la sua (ormai) lunga presenza sullo scenario politico italiano.
Come non ricordare la proposta di Gianfranco Miglio di trasformare l’Italia in tre Macroregioni (Nord, Centro e Sud): “Io sono per il mantenimento anche della mafia e della ‘ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos’è la mafia? Potere personale spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un’assurdità. C’è anche un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate. Tra Nord e Sud c’è una differenza antropologica”. Queste parole rispecchiavano il pensiero della Lega di quegli anni: il regionalismo immaginato come creazione di nuovi Stati e come legittimazione di presunte differenze antropologiche della nazione. Le varie fasi successive alla proposta di Miglio sono state solo un adeguamento alle condizioni storiche e politiche mutate.
In questo quadro, l’Autonomia differenziata non sembra altro che un tentativo di costituzionalizzare gli squilibri storici dell’Italia. Il ministro Calderoli non può dolersi del fatto che al Sud viene percepita così la sua proposta, cioè come una continuazione di un pensiero di divisione e di evaporazione dell’unità nazionale, l’ultimo approdo di un progetto politico che pone alcuni territori al di sopra della nazione.
Ma se la destra italiana non è coesa sulle riforme da realizzare, anche il Pd rischia di essere travolto dall’ambiguità finora manifestata sull’Autonomia differenziata. Il candidato che sembra ad oggi più quotato per diventare il nuovo segretario, Bonaccini, è stato uno dei protagonisti, assieme ai colleghi leghisti di Lombardia e Veneto, di diversi tentativi di applicazione dell’Autonomia differenziata, per fortuna finora falliti. Ha preso le distanze da quella impostazione solo quando ha deciso di candidarsi alla successione di Letta. È compatibile la sinistra con l’idea di essere partito dei territori? Il localismo è compatibile con una forza che dovrebbe declinare il senso di giustizia sociale sul piano nazionale? No, assolutamente no. Il che conferma un celebre paradosso: la sinistra è pericolosa non quando sostiene le sue ragioni ma solo quando smette di farlo.
Questo articolo è stato pubblicato su La Repubblica il 16 gennaio 2022