La nuova new wave fiorentina (parte prima)

di Silvia Napoli /
1 Gennaio 2023 /

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A Bologna il clima è grigio e lagnoso, anche piovigginoso, quando partiamo in una mattinata domenicale di tardo autunno ormai tutta protesa verso la retorica natalizia alla volta di Campi Bisenzio.

Nei fatti stiamo rispondendo ad una chiamata di Collettivo Fabbrica .GKN, che udite udite, ha promosso una consultazione referendaria, dopo 17 mesi di occupazione, rivolta a tutte le persone interessate, le realtà organizzate, i gruppi di attivisti, le altre situazioni in lotta, i movimenti che potremmo definire intersezionali, per stabilire un principio di interesse dentro e oltre la comunità locale di riferimento, quello ovvero della opportunità, della necessità di una qualche forma di intervento pubblico sulla situazione .GKN in quanto entità produttiva. Fino alla possibile ipotesi di una fabbrica pubblica, vedremo poi con quali parziali possibili forme di riconversione.

Per chi si fosse perso qualche passaggio fondamentale di questa storia, ricordiamo che .GKN, da fabbrica indotto Fiat, produttrice di semiasse, fiore all’occhiello perché robotizzata- le macchine sono un punto dirimente in questa ormai lunga vicenda-, viene ceduta, pur in regime di “attivo”, ad un fondo internazionale di investimento. Una manovra puramente speculativa e intricata, che vede il fondo di investimento a quanto pare ancora proprietario dei costosissimi macchinari in ostaggio ai circa 300 operai resistenti, per così dire. Il fondo di investimento due estati fa tra mails ed sms, all’alba di un cambio turno annuncia il licenziamento in massa delle maestranze e in qualche modo inconsapevolmente accende la miccia di quello che a tutt’oggi rimane l’unico tentativo di creare un sistema di alleanze tra movimenti, badate bene, sia di opinioni che di lotta e di ben diverso calibro e dimensionamento su tutto il territorio nazionale, ovvero, la famosa convergenza.

Il chiasso che l’anomalia .GKN suscita, in un paese abituato da anni a fingere che gli operai non esistano e soprattutto non abbiano più niente da dire su se stessi, la loro condizione e il mondo circostante è notevole, anche perché .GKN, come già accennavamo, ben lungi dall’abbracciare ipotesi neoluddiste e sabotatrici, tiene oggettivamente moltissimo alle macchine stesse, ancorché se vogliamo, simbolo di una condizione. Condizione di subalternità, di alienazione? Non sembra viversela così l’esteso collettivo di fabbrica, sottoposto a pressioni, ventilate minacce e lusinghe di ogni tipo. Ma in qualche modo, come viene continuamente ribadito, fedele a quel moto spontaneo di due estati fa quando si decise appunto, di forzare in massa i cancelli della fabbrica, occuparla e presidiarla tutti insieme, onnicomprendendo nella lotta chiunque volesse starci e non solo intendendo ogni ordine e grado di lavoratori, nella classica accezione di élite maschile bianca, ma financo le donne delle pulizie in appalto, fino ad estendere l’approccio resistente e ad oggi resiliente ad un fuori, tutto sommato incognito, variegato, rischioso.

Azzardando una proposta di reciproco mutuo aiuto per provare di cambiare le sorti di una partita contro il moloch capitalista che sembra appunto persa in partenza dentro il soffocante realismo di sistema che tutto contiene. La storia da allora è molto lunga. Ci sono tanti elementi interessanti e tutti in progress in questa vicenda che ci tiene tutti con il fiato tuttora sospeso, specie ora, che dopo tante chiacchiere di acquisizioni francesi, le cose si stanno facendo oggettivamente difficili con la fine della cassa integrazione e con lo sfumare dell’annunciato pano di riconversione a firma Borgomeo, il manager risanatore che avrebbe dovuto rilanciare la produzione. Di fatto i lavoratori .Gkn oggi si definiscono occupati senza volumetria di produzione e a zero stipendio e “non disoccupati”, soltanto per testardaggine di lotta. Sin dall’inizio è apparso chiaro a tutti, che buon sangue non mente, nel senso che questa forma di lotta così prolungata, tenace, compatta è figlia di una cultura ben oltre che rivendicativa che affonda le sue radici nei Cipputi, poi divenuti élite operaia metalmeccanica degli anni 70. Una matrice storica che affonda profondamente nelle nebbie di Mirafiori, Lingotto, sesto s Giovanni e nella antica determinazione a voler dire la propria sulle cose della società tutta, dalla riforma Basaglia agli asili nido. Con la pretesa di imporre una contrattazione nazionale intuendo da subito che disparità e frammentazioni non fanno bene alla causa. Allora c’erano le catene e le linee di montaggio, oggi abbiamo un sofisticato controllo produttivo di qualità spartito tra umani e macchine, queste macchine pregiate: forza lavoro e mezzi di produzione il bene più ingente insieme ad un’altra cosa di cui Collettivo .Gkn non si è affatto dimenticato servendosene come una sorta di terapia di gruppo per tenere a bada i mostri dello scoraggiamento, dello sfilacciamento, del complottismo, delle varianti estreme, della diaspora e della chiusura difensiva: ovvero l’intelletto generale visionario e seminale.

Questo spiega perché sono arrivati sin ora e sin qui, almeno in trecento, con tutte le loro storie individuali e familiari dietro. Una fabbrica roccaforte eppure aperta. Non tanto al confronto politico, almeno a quello comunemente inteso, ma a quello dei contributi.

Singolare questa storia, comunque vada a finire per tutto ciò che non è: non è una occupazione luddista, neanche lontanamente vandalica o sabotante, ma una occupazione che vuole tenere insieme e prefigurare un cambiamento da un’azione apparentemente di conservazione.

La radicalità antica come dicevamo, dei temi e delle posizioni c’è tutta, ma c’è anche la gentilezza, insieme a sorella assertività. L’amore per le macchine, ma non il feticismo delle medesime, tanto da mettere in discussione non già lo star lì, ma la fisionomia attuale di quella che potrebbe essere la fabbrica che verrà-

Mi ero configurata in questi mesi .GKN, come una sorta di gigante nel deserto, un immaginario dark e un po’ distopico aveva modellato le mie elucubrazioni in merito a questo luogo come molto più isolato, in una zona di capannoni magari difficile da rintracciare e tutti di inquietante aspetto. Niente di più errato, perché .Gkn, un insieme di palazzine basse collegate tra loro sta praticamente dirimpetto ad un’area centro commerciale molto trafficata e percorsa sempre e soprattutto di domenica. C’è in qualche modo seppure trash un’aria colorata e festosa intorno che sembra voler sdrammatizzare la situazione. E l’impressione si accentua, entrando nello spiazzo antistante, dove si trovano due specie di gazebo filtro, presidiate da maestranze gentilissime e dal mitico biliardino che tanto perplime il curatore Borromeo, che lamenta di non poter mettere piede in un posto in qualche modo fuori controllo rispetto ai suoi parametri.

Eppure, nonostante un certo afflato lirico vagamente maoista affiori nei celeberrimi slogan mantra di Collettivo, come ad esempio. Per questo, per altro Per tutto, riprodotti peraltro anche su t shirt e felpe, segno che la comunicazione non è disciplina loro aliena, non ci sono poi molti striscioni e lenzuolate tutto sommato, o ancora cartelli, bandiere, segni murali. si entra e si ha la percezione di lunghi corridoi dove stanno miriadi di uffici, molte stanze con porte chiuse, bagni solo donne, ma tutto è piuttosto pulito, ordinato, le piante stanno benissimo e sembrano molto curate. Nel suo genere il luogo, pur senza fronzoli, mi pare persino sobrio ed elegante.

Qui, nel corso dei mesi c’è passato il mondo, un pellegrinaggio continuo di compagni attivisti, studiosi, ricercatori, forse più artisti che sindacalisti, molti si sono anche fermati a dormire e sappiamo che tutt’ora esistono turni notturni di vigilanza ai preziosi impianti, eppure non c’è traccia di quel clima da bivacco permanente che ci si sarebbe potuti aspettare. L’aria claustrofobica, affumicata, concitata dei tempi del ciclostile, sembra un ricordo filmico ed invece, vari cartelli appiccicati alle porte mi indicano funzioni come sala stampa, saletta sindacale, ovvero l’acquartieramento pubblico, del collettivo di fabbrica che produce contenuti, controinformazione, comunicazione, propositività. Oggi ci sono anche le titolazioni dei vari gruppi di studio che la fabbrica- gioiello ospiterà. So già che il gruppo deindustrializzazione sarà giustamente il più nutrito, ma mi riprometto di partecipare al gruppo Salute. Mesi di prove di convergenza tra movimenti transfemministi, ambientali e di lotte per la Salute e il benessere in senso ampio, hanno prodotto il loro effetto evidentemente.

Un effetto di miccia come dicevo inizialmente e su cui ritorneremo, ma soprattutto un effetto dirompente su una cultura operaia che non più egemonica tra i movimenti dal basso da un pezzo e, diciamolo, non così forte di rappresentanza sindacale, aveva bisogno di una scossa e di una rinfrescata.

Bisogna infatti saper innovare il concetto di dignità del Lavoro, che pronunciato così astrattamente nel contesto italiano precarizzato e depauperato in ogni fascia generazionale e occupazionale rischia di rivelarsi un boomerang più che un assist per chi voglia propugnare gli interessi delle classi subalterne.

Un privilegio dunque oggi, avere un lavoro che richieda cura esperienza competenza, che venga riconosciuto per questo, valorizzato, talmente identitario nonostante tutte le alienazioni di questo mondo, che qui, in Campi Bisenzio si rifiuta nel corso dei mesi, qualunque ipotesi di ricollocazione e delocalizzazione. Ed anche a livello di scelte individuali, sembra funzionare, nonostante i disagi psicologici altissimi. Sono pochi, nel corso del tempo, quelli che gliela dan su, come diciamo noi da queste parti e accettano allettante offerte verso altre aziende. Qui non vale la semplice idea di mantenere un posto di lavoro e un salario, ma di mantenere quella comunità.

.Gkn, viene messa di fatto in liquidazione al colmo delle commesse e della produttività, con i costosi e sofisticati macchinari appena acquistati, per una pura manovra speculativa ed è questa natura ambigua e sleale del Capitale a creare una sorta di macchia d’onore di famiglia nel collettivo di .Gkn da quel di Campi Bisenzio: e il modo ancor m’offende. Il fatto di per sé è talmente scioccante che mette in crisi ogni loro parametro identitario: in qualche modo ci si sente in colpa di essere tutti maschi dentro una cultura di fabbrica più patriarcale che mai e si comincia a pensare se non ci sia un modo alternativo, o meglio, con finalità diverse, di produrre semiasse.

Collettivo sì, ma comunque propugnatore dell’esigenza di porsi come classe dirigente, con tutto il corollario culturale che ne consegue, collettivo .GKN diventa vessillo di mobilitazione per tanti da nord a sud che pure metalmeccanici non sono e mai hanno visto un bullone o un robot in vita loro. Alternativi e radicali, come si diceva ma pur sempre iscritti a Fiom, per quanto poco credibile possa apparire.

Il loro Insorgiamo tour, altra esortazione presa in prestito dal maquis francese, realizza dal dopo estate al tardo autunno, due date diversamente memorabili a Bologna e a Napoli, ma arrivati a dicembre con il mese di Natale, senza stipendio e tredicesima, è ora di tracciare una riga tra un prima e un dopo.

.Gkn ora rivendica non solo l’esigenza di continuare ad esistere, ma di metamorfizzarsi. I costi di giacenza del macchinario sono talmente elevati in termini assoluti, che un azionariato popolare è difficilmente proponibile. Ma si affaccia l’idea di una factory ovvero un polo di servizio e produzione per mobilità alternative e futuribili. un polo modello di autosufficienza energetica che veda il partenariato di tutti gli enti locali e financo dello Stato. Una fabbrica pubblica ad alta autosufficienza energetica da fonti rinnovabili alternative, i progetti ci sono tutti, che abbia intorno un birrificio artigiano, che produca dai materiali di combustione di scarto, una ottima bevanda artigiana e una produzione di cargo bikes: sarà questa la soluzione parziale futura, per parte del nocciolo duro di fabbrica, qualora dovesse tutto andar male e si dovesse mollare la partita direttamente autogestionale? Oggi siamo convocati da ovunque, per esprimerci con un simbolico referendum, voteranno di fatto 17 mila persone, sulla opportunità o meno di un intervento pubblico-istituzionale diretto nel rilevamento della fabbrica. Una fabbrica che oggi è officina di idee, deposito di progetti urbanistici alternativi, insomma un think tank più qualificato di tanti tavoli ministeriali. Ci si rivolge, ci viene spiegato prima di pranzo, innanzi all’area mensa e a latere dei lavori del gruppo sulla sovranità alimentare, alla comunità locale in primis, come ovvio, ma anche ad una inedita comunità transappenninica che ci conduca fino alla nostra Bologna. E, del resto perché no, se Fondazione Innovazione Urbana si incarica di organizzare una ricerca sulla lotta nostrana di una nota ditta produttrice di cialde per caffè, ditta per l’appunto collocata non nella periferia bolognese, ma sui crinali appenninici, anche se in area metropolitana? Nel corridoio antistante, intanto, oltre alle urne e ai registri per segnarsi a votare, ci sono profumati banchetti di frutta, olio, conserve. Si vendono cassette natalizie contenenti la grappa insorgiamo. Il pranzo comunitario è possibile perché sono in pieno funzionamento le cucine della mensa e oggi hanno cucinato per noi i compagni della logistica di Prato, in mobilitazione a loro volta contro i licenziamenti pretestuosi. Qui la componente etnica si fa multiforme e il pranzo ha infatti i sapori delle spezie più esotiche. Non voglio perderlo per nessuna ragione al mondo anche se questo mi brucia la possibilità di visitare i famosi macchinari. C’è tantissima gente a pranzo, molti compagni di vari movimenti e organizzazioni da Bologna e incrocio gli amici di Kepler 452, che qui sono di casa e che evidentemente non potevano mancare questa chiamata prenatalizia. Come ben sapete se seguite le mie cronache teatrali il loro ultimo spettacolo il capitale- un libro che non abbiamo ancora letto, vede protagonisti, alcuni dei lavoratori più di spicco nella comunicazione pubblica di .GKN, mentre intanto Enrico Baraldi è al Fabbricone di Prato, con il già premiatissimo Non sorelle e fa balotta per il caffè prima di dileguarsi per la pomeridiana.

Poco più tardi il gruppo Salute rivela sorprese: apparentemente vuota la stanzetta assegnata, in prima battuta nonostante il freschino che comunque comincia farsi sentire, ricordiamo che non c’è riscaldamento sistemico in questo momento all’interno della fabbrica, vede poi spalancate le due porte su due lati, per riuscire a contenere e diluire il gran numero di persone accorse. In prevalenza di area toscana, ma anche liguri, milanesi, bolognesi. Il dibattito è serrato, disciplinato, argomentato, assai poco ideologico e di posizionamento. Si discute principalmente del se e come impiantare uno sportello di ascolto orientamento oppure un ambulatorio di salute popolare interno a .GKN, con la necessità anche di avere un riscontro a forte valenza psicologica, ora che comincia a mordere la stanchezza e l’amarezza per questa lotta di lunga lena in apparenza benedetta da tanti se non proprio tutti. Lotta che tuttavia arriva al giro di boa del fine anno con le prospettive più torbide e oscure davanti, con l’idea padronale di far bollire tutti a fuoco lento, minare l’unità del gruppo dirigente e fare poi evidentemente proposte al ribasso. O far calare attenzione e tensione di pubblica opinione per agire con un colpo di mano. Intanto sfilano, ben argomentati anche da rappresentanti di Medicina Democratica e di Brigata Basaglia, coadiuvati da giovani medici specializzandi, tutti i mali attuali della nostra Sanità pubblica. Si stabilisce pragmaticamente si debba ripartire dai pronto soccorso per cercare di rinnovare quel patto operatori- utenza uniti nella perorazione delle ragioni di una scienza peraltro empirica mai scissa dalla relazione intersezionale. La capacità di analisi del nostro sistema sanitario, considerato il tema dei temi e pazienza se non ci occuperemo di terzo settore, da parte della stragrande maggioranza dei presenti, è molto alta e al posto delle analisi su ciò che le Case di comunità o Salute debbano essere o non siano mai diventate, viene formulata una accurata analisi del sistema ospedaliero in regime aziendalistico che arriva come un pugno nello stomaco. Dobbiamo scriverci, ritrovarci, riunirci e provare a fare almeno uno sportello: oggi non sono previsti spettacoli, neppure per i bimbi; eppure, ce ne sono parecchi, ma ormai cala il buio e la densità dei discorsi è tutta li.

Vado via chiedendomi come potranno essere le festività quest’anno per .Gkn, anche se so che molti benefits si stanno organizzando per supportarli in questo Natale di magra.

Non mi meraviglia leggere che dopo tante promesse di mediazione e costituzione tavoli di confronto, in questo difficile frangente tutte le istituzioni tacciano e nessuno si presenti in fabbrica per esprimere solidarietà. E tuttavia un po’ vorrei ancora di nuovo essere li con loro, se non altro per vedere come se la cavano con il macchinario a loro alieno, per produrre birra, imprestato dai ragazzi di Labàs e per vedere se l’intersezionalità qui si possa esercitare tranquillamente, in maniera del tutto spontanea. Sono ansiosa di vedere se avremo questo asse Bologna- Firenze nella intersezionalità dei percorsi ed in una nuova lettura della dialettica città- campagna che prescinda dalle gerarchie.

Mi dico anche che per quanto ben intenzionati noi di fatto riusciamo a far poco per questa che da vertenza di settore si è trasformata in lotta di principio e di movimenti ma che ha il tempo del logoramento contro: un tempo che la spinge a ritornare nella ovvietà della cronaca annunciata. Se mai avesse senso un bilancio, noi dovremmo dire di aver molto più ricevuto che dato da questa epica che è stata messa in piedi con coraggio e un pizzico di incoscienza dai ragazzi di .GKN. Credo ci sarebbe bisogno di avviare una riflessione seria sul perché proprio da un luogo così in fondo vintage come una fabbrica sia arrivata una spinta al cercare punti di contatto e alleanze tra discorsi diversi. Evidentemente abbiamo, a dispetto di tutti i clouds ancora bisogno di un luogo e di una agorà riconoscibili e percorribili. Augurando una buona fine e buon principio a Francesco, Dario e tutti gli altri, mi auguro di trovare tante casematte per questioni che si stanno rivelando di sopravvivenza. E state all’erta per la seconda parte del reportage dedicata a questa nuova onda fiorentina che tiene banco anche culturalmente.

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