Mani libere sulla casa. Gli sfratti extragiudiziari e le proposte di Confedilizia

di Stefano Portelli /
27 Dicembre 2022 /

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Lunedì 12 dicembre, a Roma una famiglia è stata cacciata di casa a forza dal proprietario che aveva affittato loro l’appartamento in nero per molti anni. Il proprietario ha fatto effrazione nell’appartamento, senza ufficiale giudiziario né forze dell’ordine; con due compari ha sfondato la porta e ha trascinato via a forza l’inquilina, una signora di mezza età. Nella casa abitavano la donna con la figlia, il marito della figlia e il loro bambino appena nato. Quando il marito della figlia ha provato a rientrare in casa, anche solo per recuperare le sue cose, i delinquenti gli hanno spruzzato in faccia uno spray al peperoncino. I carabinieri sulle prime hanno tentato di far rispettare la legge, cercando di obbligare il proprietario a restituire le chiavi agli inquilini. Per chi non lo sapesse, infatti, non si possono eseguire sfratti extragiudiziali; anche quando a fare irruzione è il proprietario nel suo appartamento, si tratta comunque di violazione di domicilio e violenza privata. È necessario sempre attendere una sentenza di sfratto, e a eseguire lo sfratto dev’essere sempre un ufficiale giudiziario, che dovrebbe garantire il rispetto di alcuni diritti, per esempio la tutela dei minori. Ma dopo che i proprietari si sono chiusi in casa con i carabinieri, a quanto pare, questi ne sono usciti trasformati; hanno iniziato a ridicolizzare l’inquilina con il figlio piccolo, insistendo che le avrebbero richiesto il permesso di soggiorno, e si sono portati via il marito, con gli occhi ancora arrossati per lo spray urticante, cercando di accusare lui – la vittima – di aggressione.

Casi di questo tipo sono più frequenti di quanto pensiamo. In Italia quasi un terzo degli affitti sono in nero, e sorprendentemente i dati sono molto più alti al Nord-Ovest (28,4%) e Nord-Est (26,3%) che al Sud (18,2%); i proprietari che hanno affittato in nero hanno evaso il fisco e truffato lo stato, eppure godono di una sorprendente libertà di azione. A maggio del 2021 a Roma una donna migrante di Tor Pignattara, il cui proprietario aveva affittato in nero un ufficio, neanche abitabile, in un “piano di zona” di edilizia sovvenzionata dalla Regione, ricevette un ordine di sfratto che mostrava come il giudice avesse dato tutta la ragione al proprietario. L’unico modo per fermare quello sfratto era stato ricorrere alle Nazioni Unite. Nell’inverno dello stesso anno, un inquilino di un altro “piano di zona”, dall’altra parte della città, era stato sfrattato da un assegnatario abusivodel suo appartamento, che era riuscito a farsi passare come proprietario della casa, ricevendo l’affitto al nero per oltre dieci anni. Di fronte alle continue richieste dell’inquilino di avere un vero contratto, il proprietario riuscì a ottenere lo sfratto, sostenendo di non sapere nulla di quei dieci anni di affitti che aveva ricevuto al nero.

L’unico vero beneficiario di un affitto in nero è il proprietario di casa, che elude il pagamento delle tasse. Gli inquilini quasi sempre non hanno alternative se non accettare di pagare in nero, ritrovandosi a subire condizioni discriminanti senza nessun beneficio. Chi paga un affitto in nero, per esempio, non può chiedere i contributi all’affitto né l’integrazione del reddito di cittadinanza; se non riesce più a pagare non può chiedere i sussidi per “morosità incolpevole” (sussidi che, tra l’altro, sono stati eliminati dalla nuova legge finanziaria), e durante il blocco sfratti per il Covid-19 poteva comunque essere buttato fuori casa, perché non aveva modo di dimostrare la propria situazione. Ora stiamo scoprendo che se davamo per scontato che la legge e le forze dell’ordine punissero duramente i proprietari che affittano in nero, questa certezza non è più tale; chi è costretto ad accettare un affitto in nero rischia anche di essere sbattuto fuori casa con la forza dal proprietario. Senza un mandato, senza una sentenza, senza un minimo provvedimento giudiziario, ma talvolta con l’aiuto e la complicità delle forze dell’ordine.

A ottobre, la lobby della proprietà immobiliare Confedilizia ha inviato al governo italiano dei “consigli” per “rilanciare l’immobiliare”. Uno di questi consigli era legittimare gli sfratti extragiudiziali – testualmente, “l’affidamento delle esecuzioni anche a soggetti diversi dagli ufficiali giudiziari e la possibilità di avvalersi dell’assistenza delle guardie giurate”. Confedilizia voleva che i proprietari avessero più libertà di cacciare i loro inquilini, ma la formulazione è ambigua: si parla di sfratti già dichiarati eseguibili dai tribunali competenti? Chi dovrebbe eseguire lo sfratto, soggetti nominati e avallati dall’autorità giudiziaria o qualunque soggetto a discrezione del proprietario, magari dei buttafuori da discoteca? E poi: Confedilizia preparerebbe un modulo da consegnare al tribunale, dichiarando come, quando e da chi verrebbe eseguito lo sfratto, oppure il proprietario potrebbe legittimare qualunque irruzione nel suo appartamento appena ottiene una notifica di sfratto esecutivo? Sappiamo bene che la parte più delicata di uno sfratto è proprio quella che segue l’ottenimento dell’ordine esecutivo: in quella fase c’è il rischio di danni irreparabili sui minori, o su persone anziane o fragili; ed è proprio per questo che un funzionario dello stato viene deputato dal tribunale a negoziare il rilascio effettivo della casa tra la proprietà e gli inquilini. Nonostante queste accortezze, già diverse decine di sfratti in Italia sono stati segnalati dall’Alto Commissariato Onu per i Diritti Umani come potenziali violazioni delle convenzioni internazionali. Confedilizia immagina un futuro in cui questa fase viene privatizzata e affidata all’arbitrio dei proprietari stessi, che ovviamente non hanno nessun interesse a tutelare i diritti segnalati dall’Onu, ma solo il proprio “diritto” a recuperare la rendita immobiliare.

In altri paesi europei da anni operano gruppi privati che promettono di svuotare le case dagli inquilini e dagli occupanti; ne fanno parte invariabilmente ultras, ex poliziotti, paramilitari, buttafuori da discoteca e praticanti di arti marziali, che sfogano il loro odio sociale prendendosela con i più indifesi. Il più antico forse è Camelot, in Francia, che ha approfittato di un cambiamento legislativo che rendeva più facile sfrattare i cosiddetti “residenti temporanei”. Nel 2016 in Spagna è nata l’impresa Desokupa, che sfrutta invece una nuova legge sui cosiddetti “sgomberi express”, e che promette ai suoi clienti di “recuperare gli immobili mediando con occupanti, inquilini, precari”. Sul loro canale Youtube ci sono video che dichiarano per esempio di avere “bonificato una tana di ratti” (otra ratonera desinfestada). Alla faccia della mediazione! Desokupa si fa pagare circa tremila euro per svuotare un appartamento; tra i suoi membri identificati dai giornalisti d’inchiesta e dagli attivisti dei movimenti sociali catalani ci sono personaggi inquietanti come l’ex paramilitare ultranazionalista serbo Jivko Ivanov, il giovane neonazi spagnolo Ernesto Navas, condannato per l’accoltellamento di un antifascista, e l’ex poliziotto peruviano Tulio Ricardo Muñoz, licenziato dal suo lavoro come controllore della metropolitana perché si teneva i soldi delle multe. Il fondatore di Desokupa è l’ex lottatore di estrema destra Daniel Esteve, che nel 2008 è stato arrestato per sequestro ed estorsione: il gruppo di recupero crediti per cui lavorava usava metodi troppo spicci.

Non è difficile che questi metodi spicci comincino a diventare la norma anche da noi. Lo scorso 12 ottobre un proprietario immobiliare di Castel Gandolfo, un paese intorno a Roma, è stato arrestato insieme ad altre quattro persone proprio per sequestro e tentata estorsione ai danni di un inquilino di trentotto anni che non aveva pagato l’affitto. Il proprietario e altri due sgherri, tutti con precedenti penali, hanno fatto irruzione nella casa per picchiarlo, reclamando circa duemila euro di affitti non pagati; dopodiché lo hanno caricato su una macchina per portarlo in una villetta isolata, dove li attendevano altri due complici, anche loro già noti alla polizia. Nella villetta lo hanno torturato con un machete, un bastone di ferro, i calci e i pugni. Lo hanno fatto dormire sul pavimento, vigilandolo a turno, e il giorno dopo hanno telefonato a un conoscente dell’inquilino intimandogli di versare cinquemila euro “pena la rescissione di un orecchio e delle dita delle mani, nonché la minaccia di violenza sessuale”. L’uomo fortunatamente è riuscito a scappare e ad avvisare la polizia, che ha trovato i criminali e li ha arrestati.

Queste storie sembrano appartenere a un mondo oscuro e crudele che la società non riesce a vedere. Ma ci sono delle ragioni per questa opacità. Tranne i casi estremi come quello di Castel Gandolfo, queste storie non arrivano all’opinione pubblica. Nella maggior parte dei casi, giornali e giornalisti preferiscono non parlare di queste vicende in modo chiaro, anche perché temono di essere denunciati per diffamazione dai proprietari. Degli sfratti si parla sempre in termini vittimistici, pietistici, omettendo quasi sempre i nomi di chi sfratta, soprattutto quando sono grandi imprese. L’informazione viene censurata preventivamente, per evitare conseguenze legali. Non è uno scherzo: in Europa si stanno moltiplicando i casi di cosiddette SLAPP (strategic lawsuits against public participation), cioè cause legali che le grandi corporazioni o le lobby private muovono a giornalisti e attivisti per impedire la presa di parola e la critica pubblica. Per dirne una: alcuni mesi fa ho scritto un tweet in cui accostavo la proposta di sfratti privati di Confedilizia e la violenza del tentativo di recupero crediti extragiudiziario di Castel Gandolfo. Nel giro di pochi giorni ho ricevuto la lettera di un avvocato di Confedilizia che mi intimava di rimuovere il tweet entro dieci giorni, altrimenti sarei stato denunciato per diffamazione a mezzo stampa. La minaccia era pretestuosa: il tweet non diceva certo che Confedilizia fosse colpevole del sequestro, né che l’avesse ispirato; ma che si parli di questi temi è già pericoloso per un’organizzazione che difende gli interessi della proprietà immobiliare (in particolare, quelli della grande proprietà immobiliare). La mia denuncia ancora non è arrivata; ma quanti giornalisti, quanti ricercatori, quanti attivisti, saranno stati intimoriti preventivamente, fino all’autocensura, da metodi come questo. Proprio nel momento in cui quello di cui abbiamo più bisogno è parlare liberamente e discutere collettivamente di come vogliamo affrontare una delle crisi abitative più drammatiche della nostra storia.

Questo articolo è stato pubblicato su Napoli Monitor il 21 dicembre 2022. Immagine di copertina, disegno di otarebill.

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