Brasile, cosa aspettarsi (e cosa sperare) dalla vittoria di Lula

di Maurizio Mattuezzi /
20 Novembre 2022 /

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Fra poco più di un mese, il primo gennaio 2023, il fiammante presidente Luiz Inácio Lula da Silva salirà per la terza volta la rampa del palazzo di Planalto, a Brasilia, dove tornerà a risiedere per i prossimi quattro anni dopo l’incredibile resurrezione politica che l’ha proiettato alla tiratissima ma entusiasmante vittoria nel ballottaggio del 30 ottobre (50.9% contro 49.1%).


Ad aspettarlo, in cima alla rampa, per imporgli la fascia verde-oro, non ci sarà, salvo sorprese, il presidente uscente. Jair Bolsonaro non ha riconosciuto, finora, la vittoria di Lula anche se ha dovuto autorizzare l’avvio dei lavori della lunga transizione dei poteri. Se non altro ha evitato di alimentare i conati golpisti minacciati alla vigilia del voto e attuati da alcune centinaia o migliaia di scalmanati camionisti che, come fossero nel Cile di Allende anni ’70, nei giorni successivi al ballottaggio hanno bloccato le strade invocando l’intervento delle forze armate. Certamente fra i militari c’erano teste calde pronte a tutto ma l’istituzione in quanto tale ha retto le pressioni e le tentazioni. Dopo un paio di comunicati – le forze armate “riaffermano” il loro “pieno compromesso” con la democrazia, il controllo del voto elettronico garantisce che non ci sono state frodi – i bollori di Bolsonaro e dei suoi si sono raffreddati.
Ma sarebbe un errore molto grave se Lula pensasse che con la sua elezione tutto è tornato “alla normalità” . Primo perché Bolsonaro, oltre ad aver riportato la fame per milioni di brasiliani, ha prodotto un danno e una frattura sociale così profondi ( poveri, favelados, neri, indigeni, comunità LGBTQI…) che ci vorranno anni per ripararli. Secondo perché la minaccia della destabilizzazione – il golpe blando e lento che non si ferma – è permanente.


Lula ha una capacità straordinaria di negoziare e di convincere, certamente tornerà alle politiche economiche e sociali che lo hanno reso famoso nel corso dei suoi due mandati e riuscirà forse anche a venire a capo di un Congresso sulla carta ostile ma pronto a… scendere a patti in cambio di qualche contropartita sostanziosa (che però è poi il brodo di coltura della corruzione endemica).
Ma rispetto all’inizio del secolo XXI le condizioni oggi sono molto differenti e più avverse. Basti ricordare che quando Lula lascò il governo, nel 2010, la Cina era il maggiore partner degli Stati Uniti e oggi Cina, partner ineludibile del Brasile, e USA sono in piena guerra fredda; o che il multipolarismo a livello globale e l’integrazione latino-americana a livello continentale, di cui Lula era il leader indiscusso e indiscutibile, sono crisi profonda.
Ma Lula è Lula e il Brasile – undicesima potenza mondiale, terzo produttore di cibo – è il gigante che dorme e di tanto in tanto si risveglia. Bisogna sperare che il carisma e le capacità di Lula riescano a tenere insieme il variegato fronte amplio – dall’estrema sinistra di PSOL e PC do B alla destra moderata del PSDB, dal radicalismo ecologista di Marina Silva all’Opus Dei del vicepresidente Geraldo Alckmin – messo insieme per stoppare l’offensiva brutale della destra-destra (ancora loro: agro-businnes, pentecostali, fake news). E bisogna sperare che il carisma e le capacità di Lula e la forza trainante del Brasile siano in grado di far ripartire il treno dell’integrazione latino-americana in una fase in cui tutti i maggiori paesi della regione, dal Messico al Cile, dalla Colombia all’Argentina, dalla Bolivia al Perù sono riusciti a ridare spinta a quell’onda progressista che, con tutte le sue specificità e diversità, richiama alla memoria lo scenario di inizio secolo e in qualche misura apre prospettive anche a paesi come Cuba e Venezuela in palese affanno.


Non solo il Brasile confida in Lula, spera in Lula. Perché il Brasile che nel ’69 fu il laboratorio delle sette pentecostali scelto da Nelson Rockefeller per conto del presidente Nixon con l’obiettivo di arginare l’influenza della Teologia della Liberazione, è diventato oggi almeno dal 2016 in poi un laboratorio della nuova destra mondiale: Trump, Bannon, Bolsonaro… Che non si è fermata con la vittoria di Lula. E non si fermerà anche se Bolsonaro e famiglia si preparano al peggio se è vera la notizia dell’agenzia Ansa che riferisce dei quattro figli maschi dell’ex presidente in fila all’ambasciata d’Italia di Brasilia per ottenere al più presto la cittadinanza italiana.

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