«I curdi mi dominano. Credo mi abbiano impiantato un chip di controllo quando sono stato in Siria nel 2014», dice al suo amico Armadillo il fumettista Michele Rech, per tutti Zerocalcare. La scena si svolge nel suo ultimo libro No Sleep Till Shengal dopo una telefonata del responsabile del centro Ararat di Roma. Questa volta i curdi lo spediranno nella regione irachena abitata dal popolo ezida. Al «manifesto» Zerocalcare racconta la sua esperienza in Medio Oriente, ma parla della situazione politica italiana, di lotta e di governo.
Nella sua prima settimana «No sleep till Shengal» è stato il libro più venduto in Italia. Come ha fatto a portare gli ezidi in testa alle classifiche?
Molte persone leggono i miei fumetti perché apprezzano il linguaggio che ho avuto la fortuna di sviluppare, a prescindere dal tema. È un l’operazione fatta con Kobane Calling. Ai tempi la maggior parte di chi mi conosceva per l’Armadillo o il blog si è ritrovato a leggere della rivoluzione in Rojava. Con gli ezidi è stato uguale, moltissime persone non sapevano neanche chi fossero.
Il filo rosso tra curdi ed ezidi è il confederalismo democratico. Rivoluzione vera o propaganda?
È una rivoluzione vera che ha le contraddizione della realtà, non una dichiarazione di intenti di un ceto politico. Esiste nel quotidiano, nella carne, nella materialità della vita. Ha trasformato sudditi in persone che hanno diritti e partecipano a un modello sociale che non discrimina per genere, religione o etnia. È una cosa molto grossa. Chiaramente siamo in una guerra, in un posto estremamente povero e sotto embargo. Non può essere tutto idilliaco.
Nel fumetto dice che in questa parte di mondo la parola «rivoluzione» è ormai una parodia. Ma c’è qualcosa del confederalismo democratico che si potrebbe usare o tradurre anche qui?
Un sacco di cose potrebbero essere di ispirazione, ma non si può pensare di prenderle paro paro. Intanto perché un tipo di organizzazione che funziona in villaggi dove si conoscono tutti sarebbe difficile da immaginare nelle nostre metropoli. Ma si potrebbe prendere molto da ideali e pratiche che animano il confederalismo. Come l’idea di presidenti e co-presidenti uomini e donne o i meccanismi di democrazia diretta che muovono tutti gli aspetti della vita sociale attraverso le commissioni.
Il libro è uscito a luglio 2022. Cosa è cambiato per curdi ed ezidi?
Erdogan ha approfittato della disattenzione del mondo e del peso internazionale acquisito con il placet all’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia. Così i bombardamenti con i droni e gli omicidi mirati di personalità, anche civili, si sono intensificati. Ora i curdi, principale partner dell’Occidente contro l’Isis, hanno di fronte il secondo esercito della Nato, quello di Ankara. E tutti chiudono gli occhi.
Pandemia e guerra di Putin hanno creato nuove fratture tra le realtà extraparlamentari. Che già prima non erano in forma. Cosa indica questa dinamica?
Intanto l’incapacità di avere una lettura comune del mondo. Forse non c’era neanche prima, ma almeno si potevano armonizzare delle cose tramite il confronto, il vedersi, il parlare. Si riuscivano a trovare dei momenti di sintesi, almeno sui macrotemi o all’interno di un perimetro ampio con una bussola di valori condivisa. Ora è sempre più difficile trovarsi con persone che non la pensano esattamente come te e considerarsi a vicenda compagni.
Il movimento è morto, viva il movimento. Se negli ultimi anni i centri sociali hanno preso soprattutto sgomberi, sulla scena politica si sono affacciati nuovi movimenti di massa. Come quelli femminista ed ecologista. Come li vede uno che si è formato nelle piazze di inizio Duemila?
Il femminismo ha fatto parte della mia esperienza personale per gli spazi che ho frequentato, come Radio Onda Rossa. Ho avuto maggiori difficoltà a riconoscere il movimento ambientalista. All’inizio i Fridays For Future non li capivo tanto, perché non parlavano il mio linguaggio. Ma riconosco che sono gli unici a sollevare la Questione con la Q maiuscola. Continuo a faticare perché non sono le forme di organizzazione che conosco io, ma è perché sono vecchio.
Alla fine gli eredi del Movimento sociale italiano sono andati al governo. È una Caporetto?
Al governo in qualche modo già ci stavano. Meloni stessa era ministra 15 anni fa. Tanti hanno avuto ruoli precedenti. Semplicemente il blocco conservatore italiano ha votato prima Berlusconi, poi Salvini e adesso Meloni. Cambia il cavallo su cui puntare e adesso è il turno di questi qua. Non vuol dire che siano più tranquilli di altri, anzi credo abbiano un’ideologia alle spalle che in certi ambiti peserà molto di più. Però non credo che l’Italia sia cambiata.
Lei racconta le periferie fuori dai cliché. Il fatto che siano in mano alle destre è uno di questi o c’è una parte di verità?
È vero e non è vero. Che non siano roccaforti della sinistra parlamentare perché non votano o comunque non votano i partiti di sinistra è evidente. Che molti scelgano Meloni è altrettanto vero. Ma non credo succeda per ideologia o perché siano posti pieni di fascisti. Sono invece pieni di persone che spesso non vengono ascoltate. Se poi uno va a guardare cosa smuove quei quartieri scopre un milione di associazioni, centri sociali, mobilitazioni dal basso, vertenze che riguardano i territori che sono tutt’altro che di destra, in cui la destra non mette piede. Queste cose non trovano rappresentazione parlamentare, ma non sono neanche raccontate. Tutti parlano di periferie quando c’è il pogrom contro il centro di accoglienza, magari pilotato da tre nazisti venuti da un altro quartiere, mentre le attività solidali non le copre nessuno.
Tra i nuovi ministeri del governo Meloni c’è quello per la natalità, tema ricorrente nei suoi fumetti. Le mette l’ansia?
Madonna. Già l’orologio biologico e i miei genitori dicevano ‘sta cosa, mo c’è pure il ministero che me lo deve ricordare: devastante.
In pochi giorni il ministro dell’Interno Piantedosi se l’è presa con studenti, migranti e raver. Era meglio Salvini?
Mi pare siano in continuità.
Alcuni esponenti del governo danno battaglia sulla memoria dell’antifascismo. A partire dal 25 aprile. Criticano il carattere di parte di date e simboli e ripropongo l’equazione fascismo-comunismo. Sono pericolosi o ridicoli?
Non ci ho ragionato abbastanza. Per la mia formazione questa cosa mi fa accapponare la pelle e venire il sangue agli occhi. Picconare ulteriormente la memoria dell’antifascismo, della Resistenza e mettere altri tasselli sull’equiparazione tra le parti è una roba mostruosa e inaccettabile. Però o noi decliniamo i valori dell’antifascismo in questa società oppure, per quanto sono affezionato a quei simboli, non ha senso impazzire su etichette del passato. L’importante è capire il vero problema: non che questi dicano quanto era buono Mussolini, ma la visione della società che hanno oggi. Perché parte da quei principi. Noi non dobbiamo difendere la medaglia d’oro della Resistenza ma fare in modo che viva nelle battaglie attuali.
Sta per uscire la seconda serie Netflix. Di che parla?
Se lo dicessi la mia famiglia verrebbe sterminata.
Questo articolo è sato pubblicato su il manifesto il 5 novembre 2022