In appello chiesti più di 10 anni per Mimmo Lucano

di Silvio Messinetti /
3 Novembre 2022 /

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Alla lettura della richiesta della procura generale, lui non era in aula. Aveva disertato l’udienza in cui si celebrava la requisitoria della pubblica accusa. Aveva lasciato ai suoi legali – gli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia – il compito di rappresentarlo. Mimmo Lucano non era a Reggio Calabria ieri e non sedeva tra i banchi degli imputati in corte d’appello. Era rimasto a Riace. Dove, proprio alla ripresa del processo, e non per puro caso, passava la Carovane solidaire partita in suo onore da Parigi il 17 settembre.

IN UN LUNGO GIRO TRA ITALIA e Francia, con tappe a Palermo, Napoli, Roma, Torino, La Roya e Marsiglia, terminerà il suo viaggio il 5 novembre. Quel giorno a Marsiglia il sindaco socialista Benoit Payan, alla presenza degli eurodeputati Damien Carême e Pietro Bartolo, ma anche di artisti, avvocati, associazioni in difesa dei rifugiati, conferirà la cittadinanza onoraria all’ex sindaco di Riace. E ieri gli attivisti del collettivo hanno ribadito il loro appello all’intera Europa: «la solidarietà non può essere un crimine, il Mediterraneo non può divenire un simbolo di morte, l’accoglienza è una ricchezza e territori come Palermo, Riace, Crotone, La Roya, Briançon hanno mostrato l’esempio».

IN FRANCIA LA CAUSA di Lucano gode del sostegno di cittadini e associazioni. In Italia, invece, nell’aura di criminalizzazione generalizzata dei soccorsi in mare, dell’operato delle Ong e dell’immigrazione, tornata in auge con il nuovo governo Meloni, la musica è ben altra. E anche ieri se ne è avuta conferma. La Pg ha chiesto la condanna a 10 anni e 5 mesi di carcere per l’ex sindaco di Riace e principale imputato del processo Xenia nato da un’inchiesta della guardia di finanza sulla gestione dei progetti di accoglienza dei migranti nel borgo della Locride.

DAVANTI ALLA CORTE, presieduta da Giancarlo Bianchi, è durata 3 ore la requisitoria dei sostituti procuratori generali Adriana Fimiani e Antonio Giuttari. La riformulazione della pena richiesta è pura cosmesi giuridica. Poco cambia rispetto alla pena inflitta dal tribunale di Locri che lo aveva condannato a 13 anni e 2 mesi di reclusione. E’ vero che c’è una riduzione di 3 anni. Ma lo spirito rimane identico. E’ un processo politico costruito ad hoc per demolire il cosiddetto «modello Riace». E’ quel che Pietro Calamandrei, definiva «il rovesciamento di senso», nell’arringa difensiva per Danilo Dolci, altro perseguitato di Stato: non ci sono fatti ma idee, sparisce il contesto, l’identità dell’inquisito viene capovolta. Nel caso di Lucano, l’accoglienza diventa così sistema clientelare per l’accaparramento dei voti, il volontariato si trasforma in peculato, la trasparenza amministrativa in corruzione. Nello specifico, la Procura generale ha chiesto l’assoluzione per un capo di imputazione e la prescrizione per due capi.

A LUCANO, CHE NEL 2018 trascorse un breve periodo agli arresti domiciliari e circa un anno con il divieto di dimora, vengono contestati i reati di associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abusi d’ufficio. Dopo aver ricostruito gli elementi di prova e dopo aver ritenuto inutilizzabili alcune intercettazioni telefoniche, i due sostituti pg hanno chiesto la condanna anche per altri 15 imputati. Per due è stata chiesta l’assoluzione. La pubblica accusa ha considerato in continuazione i reati per cui era chiamato a rispondere l’ex primo cittadino. La condanna inflitta a Lucano nel processo di prime cure era stata quasi il doppio rispetto alla richiesta del pubblico ministero di Locri, per il quale all’ex sindaco andavano comminati 7 anni e 11 mesi.

I legali di Lucano si dicono comunque fiduciosi in vista della sentenza. Pisapia e Daqua avevano presentato ricorso, sostenendo che nelle motivazioni ci fosse una ricostruzione della realtà «macroscopicamente deforme rispetto a quanto emerso in udienza», ma soprattutto viziata da un approccio «aspro, polemico, al limite dell’insulto» e dalla preoccupazione di trovare Lucano «colpevole ad ogni costo». E la decisione della corte di riaprire l’istruttoria per una intercettazione del 2017 aveva riacceso le speranze. Si tratta di una registrazione chiave, silenziata in primo grado.

LA SENTENZA È PREVISTA per dicembre, preceduta dalle arringhe difensive. Nell’attesa, la scelta dell’ex sindaco è quella della disobbedienza civile: non intende pagare la provvisionale da 750 mila euro poiché sarebbe «un’ammissione di colpevolezza e in appello non mi aspetto l’attenuazione della pena, non accetto neanche un giorno in meno, voglio l’assoluzione piena. Voglio la riabilitazione del nostro lavoro. Voglio la luce della verità».

Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 27 ottobre 2022

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