Condividiamo l’intervista, pubblicata oggi su Altreconomia, di Duccio Facchini al Professor Nicola Armaroli, dirigente di ricerca del Consiglio nazionale per le ricerche e membro dell’Accademia nazionale delle scienze. L’intervista si propone di far emergere una lettura del piano “per risparmiare gas”, reso noto dal ministero della Transizione ecologica.
“Il conflitto tra Russia e Ucraina, tenuto conto dell’importante ruolo svolto dal gas russo nella copertura del fabbisogno nazionale di gas naturale (circa il 40% nel 2021, con 29 miliardi di Smc su 76 miliardi di Smc di gas consumati), ha posto la necessità di adottare misure d’urgenza per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti nazionali”. Inizia così il Piano nazionale di contenimento dei consumi di gas naturale reso noto il 6 settembre 2022 dal ministero della Transizione ecologica. Quindici pagine e un obiettivo: “Risparmiare gas ed evitare il più possibile un eccessivo svuotamento degli stoccaggi nazionali anche in previsione della stagione 2023-2024”. Senza toccare, così è promesso, gli impegni di decarbonizzazione per il 2030.
Nicola Armaroli, dirigente di ricerca del Consiglio nazionale per le ricerche e membro dell’Accademia nazionale delle scienze, lo ha letto insieme a noi.
Professor Armaroli, qual è la sua prima valutazione del Piano presentato dal governo?
NA Ho notato un primo aspetto positivo, se così possiamo dire: c’è la presa d’atto dei vincoli oggettivi che la situazione pone anche in merito a quelle che vengono presentate da alcuni come soluzioni immediate e che tali invece non sono. Ad esempio nel Piano si riconosce che il drastico ridimensionamento della nostra dipendenza dal gas russo si raggiungerà non prima della seconda metà del 2024. Cioè tra due anni. E che l’aumento delle forniture di gas dall’Algeria, Paese al quale in tanti oltre a noi si sono rivolti, non sarà istantaneo ma “graduale”. Un bagno di realtà, insomma.
Si parla di “misure comportamentali da promuovere attraverso campagne di sensibilizzazione degli utenti ai fini di un comportamento più virtuoso nei consumi”. A costo zero o con investimento iniziale, per una stimata riduzione dei consumi da qui al marzo 2023 di quasi tre miliardi di metri cubi. Che cosa ha provato visto che se ne occupa da decenni?
NA Per decenni chi metteva in luce l’importanza di campagne di informazione e sensibilizzazione rispetto ai consumi veniva ridicolizzato. Oggi, solo perché abbiamo la pistola puntata alla testa, ci rendiamo conto di quanto siano importanti. È comunque una cosa positiva.
Al primo settembre 2022 il livello di riempimento degli stoccaggi è di circa l’83%, dice il Piano, definendolo un valore “fondamentale per disporre di margini di sicurezza del sistema gas e affrontare il prossimo inverno”. Stiamo tranquilli allora?
NA No, abbiamo un’idea distorta dello stoccaggio di gas. Non è come lo stoccaggio della legna in cantina per l’inverno. La disponibilità di punta degli stoccaggi di gas varia in funzione della pressione del giacimento, che cala man mano questo viene svuotato. Dunque avere stoccaggi pieni non ci garantisce protezione per l’intero inverno, se cala drasticamente l’immissione in rete giornaliera di nuovo gas. Potremmo svuotare gli stoccaggi troppo in fretta e quel punto il sistema, che deve garantire una pressione costante agli utenti finali, potrebbe non reggere. Il momento più critico sarebbe febbraio-marzo.
Per il governo, come ribadito nel Piano, occorrono “nuovi terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto”. È esatto?
NA La situazione anche qui è molto delicata. La scelta di Piombino e Ravenna, nel Centro-Nord del Paese, è legata al fatto di avere le linee del Sud “piene” di gas via tubo, per l’import da Africa e Azerbaijan. Snam ha avuto mandato di acquisire e installare due terminali di rigassificazione mobili, cioè due navi. Qui emerge la contrapposizione tra sicurezza -con la necessità di tenerle al largo- e velocità -avvicinandole e facendole collegare il più in fretta possibile alla rete-. Sul tema faccio osservare che non tutti i Paesi terzi da cui ci aspettiamo il gas liquido alternativo a quello russo hanno terminali e capacità di liquefazione adeguati e pronti all’uso. Occorre essere prudenti. E sui mercati mondiali il gas liquido certamente non abbonda in questo momento, anzi. Ecco perché sono scettico a proposito dell’obiettivo indicato nel Piano, ovvero di “arrivare ad avere in esercizio al più presto, entro i primi mesi del 2023, il primo rigassificatore galleggiante e, successivamente e comunque entro il 2024, anche il secondo impianto”. Sulla disponibilità del primo per la fine dell’inverno 2022-2023 non sono ottimista. Vedremo.
È preoccupato rispetto all’inverno che ci aspetta?
NA Sì, molto, soprattutto per quanto riguarda la produzione industriale e in particolare dell’industria chimica tedesca, che utilizza enormi quantità di gas come materia prima. Se si ferma l’industria chimica tedesca, c’è il rischio domino su una parte cospicua del sistema industriale europeo. Il gas in più che avremo quest’inverno sarà quello che non bruceremo e azioni di risparmio sono necessarie e urgenti. Inoltre c’è l’incognita del meteo. È vero che il riscaldamento globale potrebbe “aiutarci” ma anche in questo contesto possono verificarsi eventi gelidi estremi. E un inverno molto rigido cambia molto il consumo di gas di una nazione industriale come l’Italia, dove un’ondata di gelo può colpire quasi ovunque. Sono molto preoccupato anche per le casse pubbliche. Lo Stato, oltre a dover giustamente sostenere famiglie e imprese in difficoltà, dovrà banalmente pagare le bollette di ospedali, scuole, università, centri di ricerca, tribunali, enti locali, etc.. Una mazzata. Ma non abbiamo grandi alternative per far fronte all’insipienza di non aver fatto per tempo quanto necessario.
Nel Piano si parla, seppur poco, di solare termico e acqua calda.
NA Già. Si accenna a una cosa incredibile che da anni si pone in evidenza, e cioè al fatto che in Italia bruciamo miliardi di metri cubi di gas per produrre acqua calda ad uso domestico. Una follia, specie in un’estate come questa, con un sole implacabile, anche oggi. E invece questa sera, nelle nostre città, i cittadini si faranno ancora una volta la doccia bruciando decine di migliaia di metri cubi di gas proveniente da altri continenti, quando abbiamo tecnologie alternative e semplici, incentivate da 15 anni, come il solare termico. Peccato che non siano state fatte campagne di informazione e sensibilizzazione. Evidentemente, ripeto, dovevamo avere la pistola alla tempia.
Altro punto importante è la “massimizzazione della produzione a carbone e olio” delle centrali esistenti.
NA Non è ovviamente una buona notizia, è una extrema ratio. Sono il primo a disperarmi per l’inevitabile l’aumento di produzione a carbone, vista la situazione, ma sarò anche il primo a pretenderne la definitiva chiusura, senza deroghe, prevista nel 2025.
Per concludere veniamo a quello che nel Piano non c’è. A parte l’assenza di interventi di risparmio energetico nelle grandi imprese, che genererebbero l’equivalente di 3,7 miliardi di metri cubi di risparmio, non si fa alcuna menzione delle esportazioni italiane di gas record avvenute nei primi sette mesi di quest’anno: due miliardi di metri cubi, il 359,1% in più rispetto al gennaio-luglio 2021. Un dato maggiore della produzione nazionale (1,9 miliardi).
NA È un punto degno di riflessione di cui si parla poco. La quantità di gas che esce dai confini italiani è oggi, incredibilmente, superiore rispetto a quanta ne estraiamo dai giacimenti nazionali. È bene che i cittadini conoscano uno dei tanti effetti paradossali e distorti di questo “mercato del gas”.