L’avvento della pace in quattro Paesi che hanno vissuto a lungo conflitti armati mortali non è stato benevolo nei confronti dell’ambiente: un nuovo studio mostra infatti tassi di deforestazione più elevati in tempo di pace che durante gli anni di guerra. Il recente lavoro, pubblicato sulla rivista Land Use Policy, mostra come Sri Lanka, Nepal, Perù e Costa d’Avorio abbiano registrato «un’allarmante perdita di foreste» negli anni immediatamente successivi alla fine dei rispettivi conflitti civili, sulla base dell’analisi dei dati sulla copertura forestale raccolti con metodi di telerilevamento.
«I tassi di deforestazione nelle zone di guerra aumentano drasticamente una volta dichiarata la pace e, ad eccezione del Nepal, sono significativamente elevati negli altri tre Paesi che abbiamo studiato», ha dichiarato a Mongabay Nelson Grima, coautore della pubblicazione e post-doc presso la Rubenstein School of Environment and Natural Resources dell’Università del Vermont. La natura e la durata del conflitto in ogni Paese sono diverse, dalle due brevi guerre civili combattute tra il 2002 e il 2011 in Costa d’Avorio, spinte dalla xenofobia e dai cambiamenti politici, all’insurrezione di un quarto di secolo in Sri Lanka per un’enclave etnica Tamil nel Nord del Paese. In Nepal e in Perù, le rivolte comuniste sono durate rispettivamente 10 e 30 anni (in Perù continua a ribollire un’insurrezione di minore intensità). Ciò che accomuna i quattro Paesi, tuttavia, è la spaventosa perdita di interi ecosistemi forestali. Secondo lo studio, il tasso medio di deforestazione nei cinque anni successivi alla fine dei rispettivi conflitti è stato del 68% superiore a quello degli ultimi cinque anni di conflitto. I dati, basati sull’analisi delle immagini satellitari Landsat, indicano un tasso medio globale di aumento della deforestazione del 7,2%. «Non vogliamo che si pensi che sosteniamo in qualche modo la violenza armata. Ma i nostri risultati dimostrano che quando i combattimenti cessano, una serie di fattori porta a un aumento del tasso di deforestazione», ha dichiarato in un comunicato Simron Singh, coautore e ricercatore dell’Università di Waterloo, in Canada. Secondo i ricercatori, in tempo di guerra le foreste vengono utilizzate come copertura per la guerriglia e come basi isolate. Diverse ricerche indicano che le guerre moderne sono spesso ambientate in aree remote dove i gruppi armati possono trovare copertura e sostentamento nelle foreste. Anche nelle aree urbane soggette alle pressioni della guerra, come nell’assedio di Sarajevo (1992-96), capitale della Bosnia ed Erzegovina, gli alberi e i parchi urbani hanno protetto i cittadini dai cecchini e dall’artiglieria, a tal punto che alcuni alberi sono stati considerati “beni militari” e quindi non era consentito tagliarli. Ciò è particolarmente importante, se si considera che durante i 44 mesi di assedio (l’assedio più lungo nella storia della guerra moderna), la maggior parte degli alberi presenti nelle strade, nei parchi e nelle foreste periurbane della città furono tagliati per fornire legna da ardere agli abitanti, privati delle erogazioni energetiche. La fornitura di un riparo da parte dell’ecosistema in tempi di crisi non dovrebbe essere dimenticata in tempi meno impegnativi, e la capacità delle foreste di offrire questo servizio dovrebbe essere mantenuta tenendo presente che un giorno sarà necessario.
Le cose cambiano quando i combattimenti finiscono e le foreste non sono più considerate zone pericolose: «Quando i combattimenti cessano, spesso gli sforzi di ricostruzione richiedono risorse, e le foreste offrono ampio materiale e opportunità per aiutare a ricostruire un’economia e una società. Spesso l’instabilità politica e sociale consente uno sfruttamento incontrollato». I ricercatori affermano che gli effetti negativi derivano da una combinazione di riduzione o sospensione delle attività di conservazione ‒ a causa di problemi di sicurezza ‒ e dirottamento delle risorse degli aiuti internazionali verso il mantenimento della pace. Ma notano anche effetti positivi, come l’allentamento della pressione sugli ecosistemi e sulle risorse naturali dovuto ai cambiamenti degli insediamenti, alla creazione di zone cuscinetto e alla riduzione o soppressione di alcune attività economiche.
Sulla base di quanto detto, una possibile soluzione per migliorare i sistemi di salvaguardia ambientale nelle fasi post-conflitto è l’adaptive co-management o cogestione adattiva, definita come «un accordo di collaborazione in cui la comunità e i governi locali condividono la responsabilità e l’autorità nella gestione delle risorse naturali in questione». In sostanza, la cogestione adattiva è un approccio di governance interdisciplinare (sia concettuale che operativo) per costruire fiducia attraverso la collaborazione, che utilizza lo sviluppo istituzionale e l’apprendimento sociale per problemi socio-ecologici su diverse scale, fornendo capacità di adattamento e resilienza istituzionale. Un esempio di attuazione della cogestione adattiva nel settore forestale è il caso del bacino idrografico di Llancahue. In questa regione del Cile centro-meridionale, un’università (Universidad Austral de Chile) ha implementato da anni un processo di cogestione adattativa ‒ in più fasi ‒ nel bacino idrografico. Questo processo si focalizza su un approccio inclusivo, tenendo conto delle considerazioni e percezioni degli stakeholder interessati, per sviluppare un piano di gestione in grado di bilanciare le molteplici richieste della società locale nonché le funzioni dell’ecosistema. Di conseguenza, le foreste della regione forniscono in modo sostenibile legname, opportunità di lavoro per i proprietari terrieri locali e acqua dolce alla città di Valdivia.
Grima e Singh concludono: «L’obiettivo dei servizi ecosistemici efficienti in qualsiasi ambiente, pacifico o meno, è una gestione responsabile», afferma Singh. «I conflitti armati sono una parte spiacevole del nostro mondo. Comprendere appieno il ruolo delle foreste durante e dopo la violenza armata aiuterà a governare e gestire meglio le nostre risorse in ogni circostanza. A prescindere da quanto terribili siano i conflitti».
Questo articolo è stato pubblicato su Atlante Treccani il 27 luglio 2022