Al Pd mancano identità e progetto

di Massimo Villone /
20 Luglio 2022 /

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Questa volta il presidente De Luca ha cambiato palcoscenico. Invece della sua consueta omelia televisiva del venerdì ai fedeli ha scelto piazza Municipio e la festa dell’Unità. Altro pubblico, stesso copione. Con qualche punto che merita riflessione.
Non è mancata la tradizionale invettiva contro il ministro Speranza, bersaglio necessario delle sue censure per fare fumo intorno al disastro della sanità campana. Si può dare la colpa ad altri quando si governa da un mese o da un anno, non quando si è avanti in una seconda legislatura e si dispone di ampi poteri gestionali. Anche il sottofinanziamento della sanità campana – indiscutibile – avrebbe potuto e dovuto essere in tale lasso di tempo essere affrontato, visto che è maturato essenzialmente in sedi di concertazione in cui la regione è stata ed è presente. Non manca la scena ad effetto di sceriffo con il dito sul grilletto contro alcuni malviventi dei laboratori di analisi privati. Ma è davvero poco. Lo scopre adesso che c’è un blocco del centro-nord che difende gli egoismi territoriali? Dove e come ha mai battuto i pugni sul tavolo con i suoi colleghi governatori che sono i principali artefici e beneficiari di quel blocco e in specie del turismo sanitario che ne deriva? Se lo ha fatto, lo certifichi e saremo lieti di dargliene atto.

Nemmeno manca l’attacco a 360 gradi al governo, inadeguato su lavoro, sanità, sicurezza, e con la testa ad altro che non i problemi del paese. Considera che vi sia una intollerabile deriva giustizialista. Pur senza attaccare personalmente Draghi, definisce la condizione del governo irrecuperabile. In breve, conferma di volersi rappresentare come il cavaliere senza macchia e senza paura che prende le armi contro il mondo intero. Mettendosi in una condizione di sostanziale isolamento della quale afferma di non curarsi affatto.

Ha attaccato anche il gruppo dirigente del Pd. Non è la prima volta, ma in questa occasione le parole sono state particolarmente pesanti. In parte contengono una verità. De Luca nota che in anni recenti milioni di elettori hanno cambiato il proprio orientamento. Ma di questi milioni di voti il Pd non ha sostanzialmente intercettato quasi nulla. Il punto non è sbagliato, perché è vero che il Pd nei sondaggi ha mantenuto e mantiene percentuali dignitose, intorno al 20/ 25% degli orientamenti di voto, ma non mostra il salto di qualità che lo porterebbe ad essere forza centrale nel sistema politico italiano, ed egemone nell’ambito di un centrosinistra potenzialmente vincente.

Un soggetto politico cresce se è capace di definire una identità e un progetto politico che lo mettono in sintonia con i bisogni e le domande di chi vota. Ed è quello che manca al Pd di oggi. Un partito responsabile, certo, affidabile e mediamente popolato di persone competenti e a loro volta affidabili. Ma non basta, in un paese in cui sono esplose le diseguaglianze, la povertà, i divari territoriali, le speranze perdute dei giovani senza futuro, in un contesto reso ancora più oscuro dalla pandemia prima e dalla guerra poi. Un partito che non sembra più capace di grandi battaglie ideali, tanto meno di sinistra, ad esempio sul recupero di un vero sistema sanitario nazionale e pubblico, su una università e una scuola di qualità per tutti, su una mobilità adeguata in ogni parte del territorio, su una politica industriale che riporti vitalità in territori economicamente desertificati, sul recupero del Mezzogiorno nell’agenda politica nazionale, e così via. De Luca coglie un punto.

Basta considerare che il Movimento 5S ha bruciato nell’arco della legislatura l’occasione di diventare soggetto politico egemone nel Sud, dove aveva una vera e propria cassaforte elettorale. Non ha mai saputo elaborare un vero progetto meridionalista, ed anzi si è fatto irretire dalla Lega nella proposta di autonomia differenziata. Ora, il dissolversi del Movimento apre uno spazio a forze politiche che vogliano battersi per il Sud. Il Pd non lo fa. Ma lo fa De Luca? No. Ribadisce la sua disponibilità a lavorare per una nuova forza riformista e di sinistra. Ma con chi, e per fare cosa? Con quale rete di alleanze? La sua strategia di attacco può tenere insieme il suo bacino di consenso personale o personalissimo, ma non può costruire i consensi politici necessari a sostenere una qualsiasi funzione di leadership che superi il confine. Basta guardare a personaggi come Bonaccini, Zaia, o Sala per cogliere la differenza. Pare inoltre che abbia detto di non pensare solo al terzo mandato, ma anche al quarto o al quinto. L’avevamo sospettato.

Questo articolo è stato pubblicato su Repubblica Napoli il 19 luglio 2022

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