Dire Ravenna Festival, è dire qualcosa di molto particolare, perché significa parlare di una città peculiare che per due messi da maggio a luglio, diventa insieme ai comuni limitrofi, grazie alla sapiente mescolanza di accentazioni alte e basse, un esteso e variegato palcoscenico che spazia da sacro a profano da ambientazioni outdoor popolari e rurali a sedi prestigiose, chiostri ombrosi, basiliche decorate d’oro e di giada, giardini di delizie.
Perché Ravenna in sé è cosi, un magnifico scenario aperto all’oriente e a tutte le civiltà altre. Alta fedeltà ad una idea di civiltà che guarda alle origini e ai meticciati. Per la qualità, lo spessore, l’eterogeneità delle proposte,la loro caratura internazionale, non si può assimilare questa manifestazione ad una programmazione estiva come ce ne sono tante, nello stesso tempo travalica certo i limiti spaziotemporali e settoriali del format festival. Facciamo mente locale e ricordiamo che l’intuizione di una manifestazione colta e nello stesso tempo accessibile a tanti, nacque nell’ormai lontano 1990 dalla passione e tenacia della signora Mazzavillani, consorte del maestro Riccardo Muti. L’approccio iniziale del festival fu assolutamente musicologico e votato in prima battuta ad una classicità, sinfonica o cameristica che fosse, o comunque allo proposizione di un contemporaneo qualificato, innovativo, pronto insomma a divenire un nuovo classico.
E la cornice concettuale quella di musica ambasciatrice di pace e fratellanza perché ponte tra diverse culture. Nel tempo forse dopo Sarajevo, le guerre sono diventate tante, davvero troppe e nel festival a risaltare è soprattutto la vocazione multidisciplinare a segnalare lo sconfinamento. Come dimensione del pensiero. Ravenna Festival dunque significa danza, arte contemporanea, eventi di diversa tipologia, tributi musicali pop, ma anche e soprattutto teatro: siamo o non siamo nella Romagna felix? Romagna felix che in questo momento dell’anno e prima della danza contemporanea di settembre, vede rassegne e debutti a raffica, a corona di queste iniziative ravennati e del festival di Santarcangelo di cui ancora molto dovremo parlare.
Ravenna Festival significa per esempio da sempre soprattutto Albe, con i loro magnifici progetti speciali partecipati dedicati a Dante o anche il debutto di Fanny e Alexander, dal romanzo di NadiaTerranova, cosa proprio di questi giorni.
Non si può tuttavia prescindere da una celebrazione importante quale il centenario pasoliniano per parlare di teatro e Ravenna: Qui il festival dà il suo meglio già a cominciare dalle eleganti e ricchissime brochure dedicate ad un corpus composito di iniziative che non poteva che titolarsi icasticamente: Tra la Carne e il Cielo. Una espressione che certo molto racconta della tensione a ben pensare estremamente dantesca, giusto per riferirci al genius loci, che animava la genialità del nostro, cantore di una sorta di passione e martirio del sottoproletariato, ma che è,a tutti gli effetti, una sua creazione. Pasolini stesso, riferendosi infatti al movimento”La Siciliana”, contenuto nella prima sonata per violino di Bach, lo definisce una lotta cantata tra la Carne e il Cielo. Cosi, nulla da eccepire se questo è il titolo designato per il brano che ha aperto ufficialmente il primo giugno il festival, composto da Azio Corghi e messo in musica e scena dalla Mahler Chamber orchestra per la direzione di Daniel Harding. Tra anteprime, rassegna vera e propria che si conclude il 26 giugno, trilogia d’autunno, il progetto arriva all’autunno, sempre all’insegna della dialettica sacro- profano, dell’amore per certi artisti, musicisti e poeti da parte di Pasolini stesso, dell’omaggio che non poteva mancare al maestro Battiato, quasi a stabilire un ponte d’anime oltrenovecentesco, il tutto senza trascurare naturalmente le riproposizioni cinematografiche. Non suonino ritualistiche queste celebrazioni, poiché pochi sanno forse quanto nella cartografia biografica pasoliniana anche la splendida gemma bizantina che è Ravenna ha un posto importante, in quanto terra d’origine paterna.
E in qualche modo la grande ricognizione sulla contemporaneità di qualità che questo festival rappresenta, permette dunque di spaziare in un pantheon pasoliniano meno incrostato di retorica, di datate mitologie di maledettismo, di facile polemismo e di andare invece a rincorrere in massima libertà, quella sostanza poetica pasoliniana fatta di terra, acqua, fuoco, vento, paesaggio. In questo senso sono molto interessanti le progettualità diciamo appositamente pensate e di sapore più pop, non per caso incluse nella sorta di sottosezione che sono i Trebbi, ovvero la ripresa in chiave contemporanea delle cantate contadine romagnole, opportunamente decentrati a Cervia, l’incantevole borgo marino liminare che segna una sorta di limbo tra acque, terre di palude, mare, campagna, mondanità rivierasca.
Questa la location di tre serate non solo interessanti ed intriganti, ma certo aperte ad un pubblico più giovanile ed eterogeneo di quello abitualmente dedito alla esegesi pasoliniana, spesso simile ad una sorta di ecclesia, per rimanere sulle metafore parareligiose.
Non di filologia certo si tratta quando invece parliamo di Vasco Brondi o di Davide Toffolo poliedrico frontman di 3 Allegri ragazzi morti, friulano doc e già autore di un’opera a fumetti sulla umanità pasolinana, qui alle prese insieme ad Emanuele Trevi e la splendida Valentina Ludovini, con il debutto della rilettura di Una disperata vitalità.
Sotto il segno della contaminazione e della volontà di scavare nelle pieghe di un sentire, più che di un pensiero o una poetica pasoliniana, anche lo splendido reading di Elio Germano (ve l’ho già detto che sono innamorata senza speranza di lui già da molti anni? )insieme a quel genio sulfureo di Theo Teardo, manipolatore di suoni a teatro, in collaborazioni sempre sorprendenti con gli autori rock più disparati, uno su tutti Nick Cave insieme a Blixa Bargel Nello scenario di un incantato imbrunire estivo in un vasto parco marittimo, apparentemente antitetico ai luoghi e atmosfere del Sogno di una cosa, a poco a poco, nella più assoluta semplicità e privazione di orpelli, i due uomini- prima che artisti innanzi a noi fiocamente illuminati dietro a un banco mixer, affaccendati al lavoro che loro compete ma in silente simbiosi di accordo e collaborazione, lo si evince bene nei momenti di stacco, in cui Germano collabora con piccoli tocchi ad aggeggi strumentali certo rubati a Pan, evocano, ricostruiscono perfettamente, una Italia lacera e cenciosa.
Una Italia dove oggi c’è una sorta di Manchester nostrana, con annessi e connessi di disagio giovanile, ben ricostruiti da Toffolo in tanta sua produzione sia fumettistica che musicale e prima fango, freddo, vino, pianura, confine. Stiamo parlando di Friuli, naturalmente, il materno pasoliniano per eccellenza.
Qui però non ci sono i giovani allievi della scuoletta di Versuta, ma in amarissimo post bellico, si intrecciano biografie tragiche o mediocri di giovani proletari per i quali non esiste mito di ascensore sociale, ma una candida fede nel comunismo, cosi identitaria da non essere scalfita neppure dalle evidenze deludenti se non apertamente respingenti che i paesi “fratelli”dell’utopia tentata offrono loro appena oltreconfine.
Un mondo di prima, naif, selvatico, abbacinante per tenerezza e vitalità, anche per il prefigurare un inedito universo maschile già fuori dalla retorica virilista, militarista o di ottimistico bread winner. In poco più di un’ora, attraverso un intreccio sapiente tra lettura dal vivo, musica, suono, rumore, voci preregistrate di parti dialogiche in friulano o quasi, si snoda la narrazione di vite comuni di ordinaria eccezione inserite in un contesto sospeso tra emancipazione, rivolta, nascente cultura dello sviluppo a tutti i costi, che richiede le sue vittime sacrificali innocenti. Uno spettacolo scarno, rigoroso valevole più di cento prolusioni per spiegare anche l’anelito alla giustizia sociale e l’inclinazione alla pietas, questo si, sentire classico, che rende grande e immortale la figura di Pasolini, caratteristiche troppo spesso offuscate dallo scandalo a carattere sessuale, specie quando ci riferiamo proprio al Friuli. Il sofferto, vitale ostinato antagonismo di Pasolini si esprime in questo mini affresco sociale e antropologico in punta di penna.
L’emozione per questa sorta di lavoro rivelatorio, mi spinge il giorno seguente a fare due chiacchiere con Franco Masotti, affabile e appassionato direttore artistico curatore di Ravenna Festival, che segue con ammirevole amore quasi paterno il farsi dei “suoi” spettacoli e infatti lo raggiungo mentre sta correndo alle ultime prove dei Fanny e Alexander, quest’anno davvero superproduttivi in tutte le loro declinazioni e certamente rappresentativi di una concezione teatrale complessiva, che vede in primo piano l’aspetto musicale degli spettacoli. Il segreto di Ravenna festival, mi dice Masotti con una punta di più che giustificato e sacrosanto compiacimento, quello che ci permette in qualche modo di creare una vasta zona franca all’interno della Romagna estiva danzereccia e turistica, coniugando aspetti di turismo culturale sostenibile con la salvaguardia, il rispetto e una certa riscoperta ambientale di una sorta di regione nella regione, più intima e appartata, è sempre stato in un certo senso imparare dalle avanguardie, rielaborarle, per alzare l’asticella del fruitore medio. E, oltre a questo, essere cosmopoliti, aprirsi al nuovo, all’altro, all’estero, tenendo una tradizione antica del territorio che è fatta di ospitalità e ricezione in senso proprio e metaforico.
Il pubblico ci ripaga sempre, non puoi immaginare quando poi succede che autonomamente esprima la richiesta di cura, qualità, innovazione, quale soddisfazione rappresenti per noi che facciamo questo lavoro.
Dante, aveva già capito tutto del rapporto tra alto e basso,tra elevato e triviale, era già maestro di comunicazione., Pasolini, aveva soffertamente assimilato questa lezione: emblematica all’interno della brochure la sua foto, insieme a tante altre splendide e rare, di lui in visita alla tomba del vate. Noi non possiamo che doverosamente raccogliere al meglio questo testimone e come succede in Romagna ci rimbocchiamo le maniche e creiamo sinergie virtuose e, di più, armoniche tra istituzioni pubbliche e partner privati che ha pochi eguali anche per lo sforzo economico profuso e che può produrre il risultato di una vera festa mobile della Cultura. Chapeau, dunque e una raccomandazione a voi, pochi o tanti lettori:non trascurate una visita ravennate e qualcuna delle sue proposte artistico culturali perché sorprendentemente, non vi troverete mai, neppure nei contesti apparentemente più tradizionali, in una situazione di statica preservazione storico-museale, ma in un mondo in dinamico divenire.
Imagine di copertina e fotografie di Luca Concas