“L’alba di tutto” ci parla del futuro
- di Sandro Padula
- / 19 Giugno 2022
- / Libri

Gli esseri umani non sono di natura buoni, come affermano la cultura cristiana e la filosofia di Jean-Jacques Rousseau (1712โ1778), e nemmeno cattivi, come invece ritengono i reazionari e il loro amato Thomas Hobbes (1588โ1679), quel teorico dello Stato assoluto che giunse ad affermare lโidiotesca idea secondo cui la condizione dellโuomo sarebbe quella di una guerra di tutti contro tutti.
Entrambi questi miti, quello dellโuomo di natura buono o cattivo, hanno in comune lโidea secondo cui gli esseri umani preistorici o selvaggi (come arbitrariamente furono definiti gli indigeni delle Americhe o di altre parti del mondo colonizzato dagli occidentali) sarebbero stati stupidi, ma per buona fortuna adesso vengono sistematicamente distrutti da Lโalba di tutto (David Graeber e David Wengrow, casa editrice Rizzoli, 2022); un saggio utile per la comprensione almeno della parte piรน recente di quel periodo ultramillenario che, in modo convenzionale e spesso con arroganza, chiamiamo preistoria.
Lโantropologo David Graeber (New York, 12 febbraio 1961 โ Venezia, 2 settembre 2020), un anarco-comunista famoso per aver organizzato il movimento โOpen Wall Streetโ, ha lasciato cosรฌ una specie di testamento culturale e lโha potuto fare grazie al contributo dellโarcheologo David Wengrow che oggi, assieme a molte altre persone, ne tutela la memoria.
ร un vero peccato che Graeber sia morto prematuramente perchรฉ, senza dubbio, lui da solo o insieme ad altri avrebbe potuto realizzare anche altre opere di grande interesse culturale e politico.
Fatta questa doverosa precisazione, si puรฒ subito dire che, fin dallโinizio, gli autori del libro Lโalba di tutto ci presentano il filosofo-statista wendat (o urone) Kondiaronk (c. 1649-1701).
Di costui, sia pur col nome di Adario, aveva giร parlato lโeploratore francese Luois Armand Lahontan (1666-prima del 1716) nel suo Dialogo con un selvaggio dโAmerica, ma Graeber e Wengrow hanno cercato di farlo conoscere il piรน possibile allo scopo di criticare le filosofie di intellettuali come Rousseau.
Per il pubblico europeo, o piรน precisamente per chi amava lโesistenza di centinaia di sette religiose cristiane o faceva lโapologia del denaro, la critica indigena avrebbe potuto costituire uno shock per il sistema, mettendo in risalto possibilitร di emancipazione umana non piรน ignorabili.
Ecco perchรฉ, al tempo di Kondiaronk, fu inventata la classica meta-narrazione storica secondo cui le libertร si perderebbero nella misura in cui le societร si fanno piรน grandi e piรน complesse.
Verso la metร del XVII secolo, molti pensatori giuridici e politici europei cominciarono ad ipotizzare lโesistenza di uno โstato di natura ugualitario, almeno nel senso minimo di condizione predefinita capace di accomunare societร che, ai loro occhi, erano prive di governo, scrittura, religione, proprietร privata o altri strumenti significativi per distinguersi tra loroโ (pag. 58-59).
Parole come โuguaglianzaโ e โdisuguaglianzaโ cominciavano soltanto allora a circolare fra gli intellettuali europei, persone sempre piรน incuriosite dalla possibile strutturazione delle โsocietร primordialiโ ma non pensavano che lรฌ ci fossero uomini e donne particolarmente โnobiliโ, nรฉ tantomeno degli scettici razionali e paladini della libertร individuale.
Allโinizio, nรฉ i coloni della Nuova Francia (nel nord America) nรฉ i loro interlocutori indigeni avevano molto da dire sullโโuguaglianzaโ.
โPiuttosto la discussione riguardava la libertร e lโassistenza reciproca, o forse faremmo meglio a dire la libertร naturale o il comunismoโ (pag. 59).
Su questโultimo concetto รจ comunque necessario fare alcune precisazioni.
โDallโinizio del XIX secolo sono in corso accesi dibattiti sullโesistenza di qualcosa che si possa legittimamente definire โcomunismo primitivoโ. Al centro di queste discussioni cโerano sistematicamente le societร indigene delle Foreste nordorientali, e questo da quando Friedrich Engels usรฒ gli irochesi come esempio principale di comunismo primitivo nellโโOrigine della famiglia, della proprietร privata e dello Statoโ (1884).
Qui โcomunismoโ si riferisce sempre alla proprietร comune, in particolare a quella delle risorse produttive (โฆ.). Molte societร americane si potevano considerare alquanto ambigue in questo senso: le donne possedevano e lavoravano i campi individualmente, anche se conservavano e vendevano i prodotti collettivamente, gli uomini possedevano gli attrezzi e le armi singolarmente, anche se di solito dividevano la selvaggina e i bottini di guerra.
Esiste tuttavia un altro modo per usare la parola โcomunismoโ: non come regime di proprietร , ma nel significato originario di โda ciascuno secondo le sue possibilitร , a ciascuno secondo i suoi bisogniโ. Cโรจ anche un certo comunismo minimo, โdi riferimentoโ, valido in tutte le societร : lโidea che se i bisogni di unโaltra persona sono abbastanza grandi (per esempio, quella persona sta affogando) e se il costo per soddisfarli รจ abbastanza modesto (per esempio, quella persona vi chiede di gettarle una corda) naturalmente qualunque essere umano perbene acconsentirebbe.
Questo tipo di comunismo di riferimento potrebbe essere considerato la base della socievolezza umana, perchรฉ gli acerrimi nemici sarebbero gli unici a non essere trattati in questo modo. A variare รจ la misura in cui si ritiene opportuno estendere questo comunismo di riferimentoโ (pag. 59-60).
Qui gli autori del libro โLโalba di tuttoโ hanno fatto bene a riportare la frase โda ciascuno secondo le sue possibilitร , a ciascuno secondo i suoi bisogniโ, usata da Marx nella sua โCritica del programma di Gothaโ (1875), ma probabilmente avrebbero dovuto precisare che i bisogni crescono di continuo e non tutti possono essere soddisfatti e, di conseguenza, essa andrebbe riferita solo ed esclusivamente ai bisogni di volta in volta fondamentali di ciascuno.
Dโaltro canto, parlando di un comunismo basilare di riferimento, hanno fornito unโinterpretazione piรน ampia del concetto di comunismo primitivo.
Sia pur in modo indiretto, questo ragionamento รจ stato confermato da unโopera di Madame de Graffigny intitolata Lettere dโuna peruvianaโ e pubblicata nel 1749, โdove unโimmaginaria principessa inca rapita espone il proprio punto di vista sulla societร francese. Il libro รจ considerato un punto di riferimento femminista, nel senso che potrebbe benissimo essere il primo romanzo europeo incentrato su una donna che non finisce con il matrimonio o la morte della protagonista. Zilia, lโeroina, รจ contrariata dalle vanitร e dalle assurditร della societร europea quanto lo รจ del patriarcatoโ (pag.71).
Madame de Graffigny dipinse lโimpero inca come un dispotismo benevolo, un regime in cui tutti erano uguali davanti al re, e โla critica di Zilia alla Francia, come quella di qualunque straniero immaginario scriva nella tradizione di Kondiaronk, si impernia nella societร francese e nelle sue violente disuguaglianzeโ (pag. 72) ma A.R.J. Turgot, un seminarista ed economista in erba, trovรฒ questo ragionamento inquietante e perfino pericoloso.
Lui, per evidente reazione alla critica indigena nei confronti della Francia e degli altri paesi europei, dapprima teorizzรฒ la presunta supremazia del progresso tecnologico come motore del miglioramento sociale generale e poi, su questa base, affermรฒ che lโevoluzione sociale parte sempre con i cacciatori, poi passa a una fase di pastoralismo, quindi allโagricoltura e alla fine raggiunge la fase della civiltร commerciale urbana.
Nel giro di pochi anni questa teoria evoluzionistica della societร fu ripresa da Adam Smith e consolidata dai suoi colleghi (Lord Kames, Adam Ferguson e John Millar).
Costoro pensavano che la libertร e lโuguaglianza dei selvaggi sarebbero segni di inferioritร e risulterebbero possibili soltanto nelle societร con una generalizzata situazione di miseria; in tal modo, condivisero e svilupparono le fantasticherie mentali presenti sia nellโopera โIl discorso sullโorigine e i fondamenti dellโineguaglianza tra gli uominiโ (1755) di Rousseau che nel โLeviatanoโ (1651) di Hobbes per meglio diffondere lโinfame โmito dello stupido selvaggioโ.
La teoria evoluzionistica del mondo sociale diventรฒ cosรฌ uno stereotipo tanto lineare e meccanicistico quanto eurocentrico.
โGli imperialisti del XIX secolo adottarono questo stereotipo con entusiasmo, limitandosi ad aggiungere una varietร di giustificazioni pseudoscientifiche โ dallโevoluzionismo darwiniano al razzismo โscientificoโ โ per approfondire lโidea di semplicitร innocente, e dunque offrire un pretesto per relegare i rimanenti popoli liberi del mondo (o sempre piรน spesso, con lโespandersi dellโimperialismo europeo, gli ex popoli liberi) in uno spazio concettuale in cui i loro giudizi non suonassero piรน minacciosiโ (pag.86).
A quel tempo, se vogliamo dire le cose come stavano senza perdere tempo, imperava una grande ignoranza. Nessuno, ad esempio, sapeva quando fosse nato il cosmo in cui viviamo.
โAgli albori del XIX secolo, gran parte degli โuomini di lettereโ โ scienziati compresi โ dava ancora per scontato che lโuniverso non fosse nemmeno esistito fino alla fine di ottobre del 4004 a.C. e che tutti gli esseri umani avessero parlato la stessa lingua (lโebraico) fino alla dispersione dellโumanitร , dopo il crollo della torre di Babele sedici secoli dopoโ (pag. 91).
Nel XXI secolo d.C. la situazione culturale รจ migliorata nettamente, ma sappiamo ancora poco della preistoria e perfino dellโHomo Sapiens che, secondo gli autori de Lโalba di tutto โ rifacendosi alla teoria oggi dominante โ sarebbe comparso in Africa, si imbattรฉ in Eurasia con altre popolazioni โ come i Neanderthal e i Denisovani โ di cui vide lโestinzione e costituรฌ lโessere da cui derivano gli animali umani come noi.
Non sappiamo di preciso se lโHomo Sapiens sia comparso solo in Africa oppure โ come alcuni ritengono negli ultimi decenni โ in diverse aree del mondo (Africa, Europa, Asia, Sud-est asiatico e Cina) in modo quasi contemporaneo. Non sappiamo nemmeno quale fosse il rapporto fra lโHomo Sapiens da un lato e popolazioni come i Neanderthal e i Denisovani dallโaltro.
Qualche dietrologo, pensando alle macabre attivitร dei nazisti diretti da Hitler o allโapocalissi del 1945 costituita dalle bombe nucleari statunitensi sulle cittร giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, รจ giunto a ipotizzare che lโHomo Sapiens abbia sterminato altre popolazioni, ma su questo non esistono al momento delle prove sufficienti.
I dietrologi, discepoli coscienti o incoscienti di Thomas Hobbes, sono sempre uguali: risultano essere tanto reazionari quanto presuntuosi e ignoranti!
Partiamo perciรฒ dal fatto che esiste quellโHomo Sapiens, da cui ognuno di noi deriva, e dallโipotesi, la piรน realistica possibile, che lโHomo Sapiens non sia stato e non sia nรฉ buono nรฉ cattivo in sรฉ. Dovremmo imparare ad essere, in maniera gramsciana, sia pessimisti con lโintelligenza che ottimisti con la volontร su noi stessi. Questa รจ la premessa per ampliare la conoscenza e il sapere di ognuno. Il resto sono davvero chiacchiere.
In questo senso, dovremmo da un lato ragionare e socializzare ciรฒ che abbiamo giร acquisito dal punto di vista culturale e dallโaltro, sulla base delle nuove conoscenze, rielaborare frequentemente le nostre idee e le nostre teorie in ogni campo del sapere.
Il mondo sociale e anche fisico dei nostri lontani avi, come giร sappiamo, era molto diverso da quello in cui viviamo e probabilmente la situazione rimase immutata almeno fino al 40000 a.C. circa. Inoltre, come stiamo iniziando a capire, รจ possibile dedurre che lโorganizzazione sociale dei nostri antenati fosse, con tutta probabilitร , molto variegata.
Il comunismo primitivo non era solo e semplicemente il possesso collettivo dei mezzi di produzione; aleggiava su tutte le societร preistoriche o โprimitiveโ, anche quelle con poca proprietร comune, rendendole meno inique nei rapporti fra uomo e donna e nel complesso dei rapporti sociali; aveva la capacitร di revocare i dirigenti in modo frequente; rispettava di piรน i beni comuni naturali e sociali indispensabili alla vita; non di rado praticava lโeconomia del dono e comunque cercava sempre di soddisfare i bisogni collettivi e individuali di carattere fondamentale.
Per parecchio tempo si รจ pensato che gli uomini primitivi fossero stupidi, ma verso la metร del XX secolo le cose iniziarono a cambiare.
Allora lโantropologo Claude Lรฉvi-Strauss (Bruxelles 1908 โ Parigi 2009) cominciรฒ a ritenere che i primi esseri umani fossero al nostro stesso livello intellettuale.
In questo quadro, per la precisazione nel 1944, pubblicรฒ un saggio sullโattivitร politica della piccola popolazione dei nambikwara โche abitava in unโinospitale regione della Savana nel Mato Grosso nordoccidentale, in Brasileโ (pag 112).
I nambikwara facevano una vita relativamente semplice e, stante la loro cultura materiale molto rudimentale, venivano considerati come una finestra affacciata sul Paleolitico,ma ciรฒ, secondo Lรฉvi-Strauss, รจ un errore in quanto loro vivevano allโombra dello Stato moderno โpraticando il baratto con gli agricoltori e gli abitanti delle cittร e talvolta offrendosi come braccianti. Alcuni potrebbero persino essere discendenti di coloro che fuggivano dalle cittร o dalle piantagioniโ (pag. 112)
Ad ogni modo, sempre secondo quellโantropologo, i loro modi di organizzare la vita possono essere utili a farci capire quali fossero le condizioni piรน generali della condizione umana, in particolare per quanto concerne la politica.
I nambikwara nominavano capi con il compito di guidarli. Questi dirigenti, a loro volta e a differenza dei politici moderni e contemporanei, non erano perรฒ faccendieri, quindi non facevano alleanze o compromessi fra diversi collegi elettorali o gruppi di interesse, e non avevano molte differenze, a livello di ricchezza o di status, col resto della popolazione. Nello specifico, loro facevano da mediatori fra due sistemi sociali ed etici totalmente diversi.
Negli anni Quaranta del XX secolo, โi nambikwara vivevano in quelle che, di fatto, erano due societร differenti. Durante la stagione delle piogge occupavano villaggi di varie centinaia di persone in cima alle colline e praticavano lโorticoltura. Nel resto dellโanno si disperdevano in piccole bande di foraggiatoriโ (pag 113).
I capi cercavano di agire come leader eroici durante le โavventure nomadiโ della stagione secca e di guidare gentilmente gli altri, nella costruzione di case e nella cura degli orti, nella stagione delle piogge. Nonostante queste interessanti analisi, il libro di Lรฉvi-Strauss sui nambikwara cadde presto nellโoblio.
David Graeber e David Wengrow hanno pensato perรฒ che, per conoscere meglio le caratteristiche fondamentali degli uomini preistorici o di quelli definiti โselvaggiโ, bisogna valorizzare i risultati culturali migliori non solo dellโarcheologia (ad esempio sui siti dellโera glaciale con sepolture sfarzose e architettura monumentale) ma anche dellโantropologia e, sulla scia delle analisi di Lรฉvi-Strauss, giungono ad affermare che i nambikwara โ e pure i winnebago e i nuer del XX secolo โ ci permettono di comprendere lโesistenza sia di variazioni stagionali della vita sociale delle prime societร umane sia di individui anomali capaci di svolgere ruoli politici significativi durante il Paleolitico.
Purtroppo, come si รจ accennato, lo studio di Lรฉvi-Strauss sui nambikwara non fu ripreso da altri antropologi e, come successe anche al โSaggio sulle variazioni stagionali delle societร eschimesiโ (1903) di Marcel Mauss e Henri Beuchat, fece parte della letteratura antropologica dimenticata.
La ricerca antropologica e archeologica รจ comunque andata avanti e oggi si puรฒ affermare che, negli ambienti altamente stagionali dellโultima era glaciale, i nostri lontani antenati, oscillando fra sistemi sociali alternativi, si comportavano in modo molto simile agli inuit, ai nambikwara o ai crow.
Gli ordini sociali, pur avendo dei gruppi dirigenti, non diventavano mai fissi e immutabili per molto tempo. Cโera un movimento della e nella materia sociale che di fatto, a furia di revocare e cambiare quei gruppi dirigenti, aboliva lo stato di cose esistente.
Quando iniziarono allora a cristallizzarsi i sistemi sociali degli esseri umani basati sulla disuguaglianza?
Alcuni, dai tempi di Jean-Jacques Rousseau in poi, hanno pensato che la Rivoluzione del Neolitico, con lโinvenzione dellโagricoltura e i connessi accumuli di eccedenze (cereali, prodotti caseari, eccetera), avrebbe provocato la vera disuguaglianza, ma a determinarne la nascita non fu automaticamente lโagricoltura e nemmeno la produzione di beni eccedenti.
In primo luogo, โla comparsa di mondi culturali locali durante il Mesolitico aumentรฒ le probabilitร che societร relativamente autonome abbandonassero la dispersione stagionale e si adattassero a una sorta di sistema gerarchico verticistico permanenteโ (pag. 139).
Inoltre, precisando qui un argomento non affrontato in maniera approfondita dallโopera di Graeber e Wengrow, la produzione di beni eccedenti รจ qualcosa che precede la stessa invenzione dellโagricoltura.
Dato che durante il Paleolitico e il Mesolitico gli uomini impiegavano la raccolta, la pesca e la caccia come fonti primarie di cibo, รจ probabile che allora la produzione di beni eccedenti fosse collegata soprattutto allโessiccare e allโaffumicare pesci e carni in eccesso rispetto ai bisogni fisiologici immediati e, tanto per fare un altro esempio, allโabbrustolire una parte di semi e insetti per meglio conservarli.
โLa prevalenza nel sito Mesolitico danese di Svaerdborg di ossa della testa di lucci fa pensare che qui avvenisse un processo di trattamento per conservare le parti piรน importanti dal punto di vista nutritivo, scartando le teste stesseโ. (https://www.treccani.it/enciclopedia/le-paleoscienze-le-conoscenze-scientifiche-dell-uomo-di-25-000-anni-fa_%28Storia-della-Scienza%29/).
Al di lร delle specifiche forme e caratteristiche del plusprodotto prima del Neolitico e quindi prima della stessa invenzione dellโagricoltura, qui si sta parlando di una tesi elaborata da Karl Marx: lโesistenza del plusprodotto, derivante da un corrispondente pluslavoro, come produzione specifica degli animali umani.
โUna delle cose che ci distinguono dagli animali non umani รจ che questi ultimi producono solo ed esclusivamente ciรฒ di cui hanno bisogno; gli esseri umani producono sempre molto di piรน. Siamo creature dellโeccesso, ed รจ questo a renderci insieme la piรน creativa e la piรน distruttiva di tutte le specie. Le classi dirigenti non sono altro che quelle che hanno organizzato la societร in modo da potersi impossessare della maggior parte delle eccedenze, a prescindere dal fatto che questo avvenga attraverso un tributo, la schiavitรน, i dazi feudali o la palese manipolazione dei meccanismi del libero mercatoโ (pag. 142).
A dire il vero, anche il piรน equilibrato e meno manipolato sistema capitalistico puรฒ garantire lโesistenza del plusprodotto, ma il ragionamento di Graeber e Wengrow รจ in sostanza corretto.
Come loro due hanno scritto, โnel XIX secolo, Marx e molti altri radicali immaginarono che fosse possibile amministrare queste eccedenze collettivamente, in modo equo (โฆ), ma i pensatori contemporanei tendono ad essere piรน scettici. In realtร , lโopinione oggi prevalente tra gli antropologi รจ che lโunico modo per mantenere una societร ugualitaria รจ eliminare la possibilitร di accumulare qualunque tipo di eccedenzaโ (pag. 142-143).
Volendo essere precisi, Graeber e Wengrow non si sono azzardati a dire in maniera chiara ed esplicita quale sarebbe il modo migliore per far vivere, nel futuro, una societร ugualitaria. Infatti, consapevoli che gli esseri umani producono sempre molto di piรน dei bisogni immediati, non hanno mai scioccamente teorizzato nรฉ la necessitร di una generica decrescita economica nรฉ quella di una societร ugualitaria senza plusprodotto.
Loro hanno studiato abbastanza bene il pensiero di Marx sul tema del plusprodotto, riguardante in primo luogo i beni di consumo di massa e i mezzi di produzione, e del pluslavoro che lo crea. Di conseguenza, forse conoscevano anche questa osservazione del rivoluzionario nato a Treviri:
โIl pluslavoro in generale, inteso come lavoro eccedente la misura dei bisogni dati, deve sempre continuare ad esistere. Nel sistema capitalistico come in quello schiavistico ecc., assume semplicemente una forma antagonistica ed รจ completato dallโozio assoluto di una parte della societร . Una determinata quantitร di pluslavoro รจ necessaria per lโassicurazione contro le disgrazie, per il necessario e progressivo ampliamento del processo di riproduzione corrispondente allo sviluppo dei bisogni ed allโincremento della popolazione, che dal punto di vista capitalistico si chiama accumulazioneโ (Marx, โIl Capitaleโ, libro III, capitolo 48, โLa formula trinitariaโ).
Secondo diversi antropologi, al contrario, lโassenza del plusprodotto, quindi pure la non presenza del pluslavoro che lo crea, sarebbe una sorta di garanzia per la vita stessa delle societร ugualitarie.
Graeber e Wengrow non hanno riflettuto molto su questa fantasiosa concezione propagandata da quegli antropologi, ma forse avrebbero potuto spiegare a sufficienza che, per forza di cose, senza plusprodotto le societร ugualitarie sono destinate ad essere societร ugualitarie della miseria.
Immaginare delle societร ugualitarie dignitose senza plusprodotto รจ infatti unโidea sbagliata dalle fondamenta e quindi priva di senso logico. Invece, non sempre le idiozie appaiono come tali agli occhi di ognuno!
Lโantropologo britannico James Woodburn nei decenni del dopoguerra fece delle ricerche tra gli hadza, una popolazione della Tanzania, e dopo aver fatto dei paragoni fra questa popolazione da una parte e i boscimani san e i pigmei mbuti dallโaltra (oltre che rispetto a diverse e piccole societร di foraggiatori nomadi al di fuori dellโAfrica, come i pandaram dellโIndia meridionale o i batak della Malesia), giunse alla conclusione che le societร davvero ugualitarie sarebbero quelle con economie ยซa rendimento immediatoยป.
Le popolazioni come gli hadza sembravano applicare principi di uguaglianza non solo ai beni materiali, sempre condivisi o fatti circolare, ma anche al sapere erboristico o sacro e al prestigio (i bravi cacciatori vengono sistematicamente sbeffeggiati e sminuiti).
Dalla visione di Woodburn pare che la popolazione degli hadza sarebbe giunta โa conclusioni molte diverse da quelle di Kondiaronk e, in precedenza, di diverse generazioni di critici delle Prime nazioni, che ebbero tutti qualche difficoltร anche solo a immaginare come le differenze in termini di ricchezza potessero tradursi in disuguaglianze sistemiche di potere.
Si ricordi che (โฆ) allโinizio la critica indigena americana riguardava qualcosa di molto diverso, ossia la presunta capacitร delle societร europee di promuovere lโassistenza reciproca e di proteggere le libertร personali. Solo in seguito, una volta che gli intellettuali indigeni ebbero imparato a conoscere meglio i meccanismi delle societร francese e inglese, la loro critica cominciรฒ a concentrarsi sulle disuguaglianze in termini di proprietร . Forse dovremmo seguire il loro ragionamento iniziale.โ (pag. 144).
A questo punto, dopo aver precisato che โโฆ gli hadza, i wendat e i popoli ยซugualitariยป come i nuer non sembravano interessati tanto alle libertร formali quanto a quelle sostanzialiโ (pag. 145), cioรจ avere la possibilitร effettiva di viaggiare e di vivere in un contesto di assistenza reciproca che favorisse lโautonomia individuale, Graeber e Wengrow da un lato lasciano sfumare lโaltrui idea della possibilitร di societร ugualitarie con economie ยซa rendimento immediatoยป; dallโaltro si pongono un problema molto diverso: โil vero enigma non รจ quando siano comparsi per la prima volta i capi, o addirittura i re e le regine, bensรฌ quando non sia piรน stato possibile cacciarli via a risate dalla corteโ (pag. 148).
Secondo la loro opinione, le nuove scoperte sugli antichi cacciatori-raccoglitori nellโAmerica del Nord, precisamente a Poverty Point nella Lousiana, e in Giappone stanno ribaltando le idee a proposito dellโevoluzione sociale. A Poverty Point ci sono i resti di massicci terrapieni eretti dai nativi americani intorno al 1600 a.C. . Si tratta di โun sito dellโetร della pietra in unโarea dove non cโรจ pietraโ (pag.157) e forse lรฌ furono presenti migliaia di persone in particolari periodi dellโanno.
โIn Giappone e nelle isole vicine, unโaltra designazione culturale monolita, ยซJรถmonยป, domina oltre diecimila anni di storia dei foraggiatori, dal 14000 al 300 a.C. circaโ (pag.161).
Sembra incredibile, ma รจ vero!
Quei progetti monumentali โ che non sappiamo se abbiano coinvolto re o leader di altro tipo โ cambiano โper sempre la natura della discussione sullโevoluzione sociale nelle Americhe, in Giappone, in Europa e senza dubbio in quasi tutti gli altri luoghi. Chiaramente i foraggiatori non si rifugiarono dietro le quinte alla fine dellโera glaciale, in attesa che un gruppo di agricoltori del Neolitico riaprisse il teatro della storiaโ (pag.163).
Lโidea di bande di foraggiatori pigri, infantili e spensierati e quella secondo cui la ยซciviltร ยป propriamente detta โ cittร , artigiani specializzati, specialisti di conoscenze esoteriche โ sarebbe stata impossibile senza lโagricoltura sono prive di fondamento.
In maniera analoga, non esistono prove sufficienti sullโorigine della disuguaglianza sociale, della proprietร privata e dello Stato.
Per quanto riguarda la proprietร privata si puรฒ comunque dire che essa ebbe un inevitabile rapporto con il sacro di cui รจ coetanea.
Senza dubbio la costruzione dei terrapieni a Poverty Point, ma pure dei siti di Sannai Maruyama, la chiesa dei giganti a Kastelli in Finlandia o le antiche tombe dei personaggi illustri del paleolitico superiore, furono, in un certo senso, luoghi sacri.
Poco prima degli albori dellโagricoltura, i sistemi sociali erano molto differenziati. Ad esempio, i foraggiatori canadesi avevano gli schiavi e i loro vicini californiani no. Due vicine societร costituirono quindi due diverse aree culturali.
โLe ยซsocietร di catturaยป delle Americhe consideravano il reperimento degli schiavi una modalitร di sostentamento a pieno titolo, ma non nel consueto senso di produzione di calorie. I predoni si ostinavano a dire che gli schiavi venivano catturati per la loro forza vitale o ยซvitalitร ยป, unโenergia che poi veniva consumata dal gruppo conquistatoreโ (pag. 205).
Nelle Americhe โun manipolo di societร mise in atto queste relazioni in modo letterale. Il punto importante riguardo alle ยซmodalitร di produzioneยป o alle ยซmodalitร di sostentamentoยป รจ che questo tipo di sfruttamento prendeva spesso la forma di rapporti costanti tra societร โ (pag. 205-206).
Come riportano Graeber e Wengrow, nella sezione nordoccidentale della California cโera โ secondo lโetnografo Alfred Kroeber โ una ยซzona di frantumazioneยป, โun territorio di diversitร inconsueta, capace di fare da ponte fra le due grandi aree culturali del litorale del Pacifico. (Lรฌ) alcune (โฆ) micronazioni parlavano lingue della famiglia athabaska; altre, negli ordinamenti interni e nellโarchitettura, conservavano tracce di aristocrazia che ne collocano le origini sulla costa nordoccidentale. Eppure, salvo rarissime eccezioni, nessuno praticava lo schiavismoโ (pag. 215).
โLa schiavitรน affonda le radici nella guerra ma, ovunque la incontriamo, รจ anche, anzitutto, unโistituzione domestica. La gerarchia e la proprietร possono derivare dalle idee del sacro, ma le forme piรน brutali di sfruttamento hanno origine nelle relazioni sociali piรน intime, come perversioni dellโaffetto, dellโamore e della premuraโ (pag. 224-225).
Ciรฒ significa che la schiavitรน non esisteva solo nel โmondo anticoโ ma, sia pur in modo diverso e limitato, anche nella preistoria.
Nella preistoria la schiavitรน era figlia delle guerre vittoriose e delle perversioni dellโaffetto, dellโamore e della premura,
Il lavoro di ricerca di Graeber e Wengrow smonta cosรฌ tutta una serie di luoghi comuni sulla preistoria e, come vedremo, mette in discussione anche lโidea secondo cui ci sarebbe stato un rapporto di interdipendenza fra la nascita delle cittร e dellโagricoltura.
La cittร di Catalhoyuk, situata sulla pianura di Konya, nella Turchia centrale, nacque intorno al 7400 a.C., fu abitata per circa millecinquecento anni; si estendeva per 13 ettari, aveva circa 5 mila abitanti e finora รจ considerata come quella piรน antica del mondo.
Una sua caratteristica era che non aveva un centro riconoscibile, nรฉ strade o edifici comuni: โera solo un fitto agglomerato di case, tutte di pianta e dimensioni simili, ciascuna accessibile tramite una scala a pioli dal tettoโ (pag. 229).
Scoperta negli anni Sessanta del XX secolo, allโinizio fece pensare che fosse un monumento alle origini dellโagricoltura, ma le cose cambiarono grazie a nuovi metodi di lavoro usati a partire dagli anni Novanta.
Si capรฌ che i teschi e le corna di bovini presenti nei saloni centrali delle case non erano di animali domestici ma di feroci uri selvatici. Inoltre, si comprese che le statuine dโargilla, trovate nel relativo sito archeologico, raffiguravano delle donne sedute ma non erano rappresentazioni delle โdee della fertilitร โ o di obsolete fantasie vittoriane sul ยซmatriarcato primitivoยป e potrebbero essere state lโequivalente delle Barbie.
Graeber e Wengrow fanno comunque ulteriori precisazioni. Secondo loro, lโattuale rifiuto dellโidea del ยซmatriarcato primitivoยป da parte di antropologi e archeologi deriva in gran parte da una incomprensione dei risultati delle analisi dellโarcheologa lituano-americana Marija Gimbutas che, negli anni Sessanta e Settanta del XX secolo, costituรฌ un punto di riferimento per la conoscenza della tarda preistoria nellโEuropa Orientale.
Lei, a differenza di quanto affermavano i suoi critici piรน rigidi che spesso non avevano nemmeno letto le sue opere, non voleva affatto modernizzare la ridicola fantasia vittoriana del ยซmatriarcato primitivoยป.
In realtร , leggendo i libri della Gimbutas come ยซLe dee e gli dei dellโantica Europaยป (1982), si capisce che lei aveva intenzione di creare una narrazione grandiosa sulle origini della societร eurasiatica. A tale scopo usรฒ il concetto di โaree culturaliโ e concluse che, per certi aspetti ma non per tutti, era vera โla vecchia storia vittoriana degli invasori ariani e degli agricoltori che veneravano le deeโ (pag. 233).
Lโarcheologa cercava di capire quali fossero i contorni generali della tradizione culturale che chiamava ยซantica Europaยป, unโarea costituita da villaggi neolitici stanziali concentrati sui Balcani e sul Mediterraneo orientale, ma estesi anche piรน a nord, dove โ a suo parere โ cโera una buona paritร fra uomini e donne e non esistevano grandi differenze di status e ricchezza.
Quellโarea, comprendeva societร molto pacifiche che, sul piano religioso, avevano โun pantheon comune sotto lโegida di una dea comuneโ (pag. 234). Secondo i suoi calcoli, resistette dal 7000 al 3500 a.C. e proprio nel terzo millennio avanti Cristo andรฒ verso una fine catastrofica perchรฉ a quel tempo i Balcani furono invasi da una migrazione di popoli di allevatori โ i cosiddetti kurgan โ originari della steppa pontica, a nord del Mar Nero.
Per la precisione, lโarcheologa Gimbutas non riteneva che il matriarcato fosse la condizione originaria del genere umano, ma voleva difendere โ come hanno scritto Graeber e Wengrow โ โlโautonomia e la prioritร rituale delle donne nel Neolitico mediorientale ed europeoโ (pag. 234).
Il fatto entusiasmante รจ che, diversi decenni dopo, lโanalisi del DNA antico โ non disponibile allโepoca di Gimbutas โ abbia spinto diversi e prestigiosi archeologici a riconoscere che una parte della sua ricostruzione era probabilmente corretta.
Se ciรฒ รจ vero anche solo in linea di massima, โallora ci fu davvero unโespansione dei popoli di allevatori dalle praterie a nord del Mar Nero piรน o meno nel periodo individuato da Gimbutas, cioรจ il terzo millennio avanti Cristoโ (pag. 236).
Sullโaltra parte della sua tesi, bisogna precisare che lโarcheologa non sostenne mai in maniera aperta e ufficiale lโesistenza dei matriarcati neolitici.
Graeber e Wengrow spiegano che il matriarcato inteso come una societร in cui le donne detengono la maggior parte delle posizioni politiche formali รจ stato un fenomeno molto raro nella storia dellโumanitร . Invece il matriarcato inteso come una situazione in cui โil ruolo della madre allโinterno della famiglia diventa il modello e la base economica per lโautoritร femminile in altri settori della vitaโ รจ stato qualcosa di abbastanza reale e forse โanche Kondiaronk si muoveva in un sistema di questo tipoโ (pag. 237).
Fatte queste puntualizzazioni, i due autori passano a smontare la fantasiosa idea di Rousseau secondo cui lโagricoltura avrebbe avuto bisogno della recinzione di campi fissi per nascere; fanno osservare che dal 10 mila a.C. al 7 mila a.C. ci fu un lungo periodo di passaggio verso lโagricoltura neolitica, unโagricoltura che allโinizio risultava โorientata verso il possesso collettivo delle terreโ (pag. 254) e nacque โnellโAsia sudoccidentale come una serie di specializzazioni nella coltivazione delle piante e nellโallevamento del bestiame, disseminate in varie parti della regione, senza un epicentroโ (pag. 263).
Graeber e Wengrow sottolineano inoltre โ cosa che quasi nessuno ha mai fatto prima, nemmeno Lรฉvi-Strauss nel suo โPensiero selvaggioโ โ lโimportanza delle donne, grazie ai loro saperi accumulati, nella nascita dellโagricoltura neolitica.
Senza i saperi e i poteri-qualitร delle donne, molto probabilmente, lโagricoltura neolitica non si sarebbe configurata cosรฌ come quando nacque ed avrebbe avuto bisogno di molto piรน tempo e di maggiori contraddizioni per svilupparsi.
Ad esempio, la Mezzaluna fertile del Medio Oriente aveva diverse situazioni fra la zona dei bassipiani (come quelle nella valle del Giordano) e quella degli altipiani (le pianure e le colline pedemontane della Turchia orientale).
La struttura sociale nei bassipiani era poco gerarchizzata, mentre negli altipiani era autoritaria.
In entrambi i casi, la nascita dellโagricoltura non significรฒ anche lโinizio della proprietร privata terriera.
โEmerge che, per gran parte del suo passato, la nostra specie รจ stata bravissima a entrare e uscire liberamente dallโagricoltura (โฆ), oppure a indugiare sulla sua sogliaโ (pag. 280).
Lโagricoltura โtendeva ad attecchire dove le risorse selvatiche erano piรน rare. Era lโeccezione nelle strategie del primo Olocene, ma aveva un potenziale di crescita esplosivo, soprattutto dopo che il bestiame domestico si aggiunse alle colture dei cerealiโ (pag. 294-295).
Spesso si credeva che โla comparsa delle prime cittร , delle prime grandi concentrazioni di persone insediate in via permanente in unโunico luogo, corrispondeva anche allโascesa degli Statiโ (pag. 297).
Invece, โin alcune regioni, come ormai sappiamo, le cittร si governarono per secoli senza tracce dei templi e dei palazzi che sarebbero sorti solo in seguito; in altre, i templi e i palazzi non comparvero mai. In molte cittร antiche, nulla dimostra lโesistenza di una classe di amministratori o di qualunque altro tipo di ceto dominante. In altre, il potere centralizzato sembra comparire e poi scomparire. A quanto pare, il semplice fatto della vita urbana non implica necessariamente una forma particolare di organizzazone politica, e non la implicรฒ maiโ (pag. 297-298).
Molte persone pensano che le prime cittร grandi e popolose comparvero in Eurasia, ma ciรฒ avvenne nel mesoamerica, per la precisione nella valle del Messico e a circa 40 chilometri dalla moderna Cittร del Messico. Stiamo infatti parlando della cittร di Teotihuacรกn che, abitata dal popolo dei mexica, nacque attorno al 100 a.C. ed ebbe il suo declino intorno al 600 d.C. .
Oggi sappiamo che โTeotihuacรกn aveva trovato il modo di autogovernarsi senza sovrani, come avevano fatto le cittร molto piรน antiche dellโUcraina preistorica, della Mesopotamia nel periodo di Uruk e del Pakistan nellโetร del Bronzo. Poi lo fece con una base tecnologica molto diversa, e su scala ancora piรน largaโ (pag. 352).
Secondo Esther Pasztory, una storica dellโarte ungherese-americana, la cittร di Teotihuacรกn โnon era solo antidinastica nello spirito, ma era essa stessa un esperimento utopistico di vita urbanaโ (pag. 354).
Se non cโรจ identificazione fra nascita delle cittร e nascita dello Stato, ciรฒ vuol dire che per il momento non รจ possibile trovare le โorigini dello Statoโ.
Lo Stato, il cui termine fu coniato dal giurista francese Jean Bodin alla fine del XVI secolo, ha bisogno โ secondo Graeber e Wengrow โ di tre elementi: il controllo della violenza (cioรจ il monopolio della violenza), il controllo delle informazioni e il carisma personale (pag. 388).
Quelli che โora consideriamo Stati non si rivelano affatto una costante della storia. Non sono il risultato di un lungo processo evolutivo che iniziรฒ nellโiniziรฒ nellโetร del Bronzo, bensรฌ una fusione di tre forme politiche โ sovranitร , amministrazione e competizione carismatica โ che hanno origini diverse. Gli Stati moderni sono semplicemente un modo in cui i tre principi di dominazione sono riusciti a unirsi, ma questa volta con lโidea che il potere dei re sia detenuto da unโentitร detta ยซil popoloยป (o la ยซnazioneยป) e che le burocrazie esistano a beneficio del suddetto ยซpopoloยป, e in cui una variazione sui vecchi premi e competizioni degli aristocratici รจ stata ribattezzata ยซdemocraziaยป, il piรน delle volte sotto forma di elezioni nazionaliโ (pag. 456-457).
Il libroย โLโalba di tuttoโย cerca di dimostrare la validitร della critica indigena allโEuropa moderna. Per fare questo, da un lato mette in discussione, sia pur in maniera implicita, una concezione lineare, evoluzionistica ed eurocentrica delle epoche della storia. Dallโaltro lato permette di precisare cosa potrebbe essere stato ilย comunismo primitivoย e soprattutto di pensare a comeย cambiare rotta per abolire di frequente lo stato di cose esistente.
Questo articolo รจ stato pubblicato su Contropiano il 19 giugno 2022