Autonomia differenziata, fermiamo le “repubblichette”

di Massimo Villone /
7 Giugno 2022 /

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Campania felix? Per gli antichi. Le cronache del weekend su questo giornale oggi provano il contrario. Mentre quello che vorrebbe esserne struttura politica portante – il Pd – implode. E se un partito è un sistema feudale il commissariamento può solo continuare la rissa in altra forma. La cosa è grave, perché avanzano rilevanti novità. La ministra per gli Affari regionali Gelmini aveva avvertito che la cosiddetta legge-quadro sulla Autonomia differenziata (Ad) era all'”ultimo miglio”. Il presidente veneto Zaia aveva esultato, richiamando un “patto tra gentiluomini” (chi, come, su che?) che si aspettava fosse onorato. E finalmente un testo c’è. Non ripeterò le critiche già volte alla legge-quadro. Ora conta il segnale dell’indirizzo di governo sulla questione.

Il testo anzitutto definisce il procedimento per le intese tra Stato e Regioni ai sensi dell’articolo 116.3 della Costituzione. È una trattativa privata tra governo e singola Regione, che emargina del tutto il parlamento. Su un testo preliminare esprime un parere non vincolante la commissione bicamerale per le questioni regionali. Le Camere poi approvano con legge a maggioranza assoluta senza possibilità di presentare emendamenti l’intesa definitiva stipulata tra governo e Regione. Cosa esclude che un governo compiacente verso questa o quella Regione per affinità politica elettiva metta la mordacchia a tutto il paese con un vincolo di maggioranza? Un procedimento della cui incostituzionalità si può essere ragionevolmente certi.

Sui Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) la commissione Caravita istituita dalla Gelmini per un parere sul tema Autonomia differenziata ha escluso che la loro previa definizione debba essere condizione per il trasferimento di funzioni alle Regioni, perché coprono un’area limitata (sanità, istruzione, assistenza, trasporto pubblico locale per spese in conto capitale). E come poi sappiamo tutti, i Lep possono essere posti più in alto o più in basso, su tutta una materia o solo su parte di essa, con decisione politica, e compatibilmente con il bilancio. Qui conta che al di fuori dello stretto segmento Lep (da definire) la legge-quadro consente di procedere intanto con le intese.

Il trucco c’è, e si vede, per vari punti. Il primo. Nessun limite è posto alla Ad laddove non volta a limitati adattamenti alle specificità regionali, ma alla frammentazione di asset strategici per l’unità del paese: scuola, lavoro, autostrade, ferrovie, porti, aeroporti, beni culturali di primario rilievo e quant’altro. Arrivano le “repubblichette”. Il secondo. Senza attendere la definizione di costi e fabbisogni standard, si procede con la spesa storica, inglobando nella Ad tutte le intollerabili diseguaglianze esistenti. Il terzo. Governo e singola Regione contrattano il finanziamento delle funzioni anche con riferimento ai tributi erariali maturati nel territorio regionale. Un ovvio assist ai territori più ricchi. Il quarto. Si richiamano verifiche, adeguamenti, correzioni, che però la Regione potrebbe sempre rifiutare. Il quinto. Non si definisce il rapporto con il Pnrr, pur avendo la Ad un impatto ovvio e inevitabile sulla sua attuazione. Il sesto. Si fa salvo il già acquisito con Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna.

Il circo Ad riparte. Il Pd veneto esce dal coma, e propone di ridurre a 7 le 23 materie richieste da Zaia (“Corriere del Veneto”, 24 maggio). Per sottrarsi a polemiche, Bonaccini parla di escludere la scuola. Ma niente impedirebbe che la scuola rientrasse alla fine nelle intese con una o più Regioni. Non a caso, la commissione Caravita considera l’istruzione interamente devolvibile, e ne sconsiglia la regionalizzazione solo per motivi di spesa. Mentre Cirio porta il Piemonte sulle barricate, chiedendo oltre 100 funzioni in tutte le materie già chieste dal Veneto (regioni.it, 11 maggio).

Pandemia, Pnrr, guerra, onestà politica suggerirebbero di lasciare l’Ad quanto meno in standby. Invece, c’è aria di “ora o mai più”. È il momento di pensare a una manutenzione ragionata e mirata degli articoli 116 e 117 della Costituzione, prima che ne vengano danni per il paese. Mentre nell’assalto alla diligenza in corso avremmo bisogno di una classe dirigente degna del nome, per Napoli, la Campania e il Sud. Non pochi contributi su queste pagine segnalano la inadeguatezza di quel che abbiamo.

Quanto a noi, la prospettiva di un terzo mandato di De Luca già ci preoccupava. Sentire che vorrebbe essere promotore e pivot di una forza riformista “unica e seria” aggrava di molto il carico. Sarà pur vero che siamo nati per soffrire. Ma non esageriamo.

Questo articolo è stato pubblicato su Repubblica il 6 giugno 2022

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