Per alcuni la guerra in Ucraina è un buon affare

di Alessandro Volpi /
12 Maggio 2022 /

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C’è un dato molto significativo che è emerso nel corso del conflitto in Ucraina: i titoli del debito pubblico americano con scadenze brevi garantiscono rendimenti più alti di quelli a lungo termine. Si tratta di un’anomalia perché solitamente i titoli a breve -dato l’orizzonte limitato temporalmente della valutazione- rendono meno di quelli a lungo termine, rispetto al quale è più difficile fare previsioni. 

Negli ultimi 60 anni, quando i primi hanno reso di più dei secondi, si è avuta una recessione. Dunque, gli Stati Uniti si trovano davanti a un pessimo segnale che dipende, in primis, dalla fiammata inflazionistica, legata in larghissima parte all’aumento dei prezzi dell’energia. Davanti a una simile situazione, l’economia americana può scongiurare la recessione se riuscirà a sfruttare l’inflazione a proprio vantaggio; una prospettiva che può realizzarsi se sarà in grado di esportare moltissima energia a prezzi alti. 

In altre parole se venderà gas liquefatto (Gnl) a piene mani con prezzi spinti verso l’alto dalla guerra ucraina. Più in generale, dovrà far lievitare le proprie esportazioni a prezzi sempre più alti; cereali, armi, meccanica con quotazioni portate alle stelle dalle pressioni rialziste sui mercati finanziari. In questo modo gli Stati Uniti conterranno l’inflazione interna, esportandola in giro per il mondo, in Europa in primis. In questa direzione si è mosso il presidente Joe Biden, che ha concluso con la presidente della Commissione europea, Ursula von Der Leyen, un accordo che prevede proprio un maggior afflusso di gas liquefatto in Europa. 

Era un risultato cui le grandi compagnie energetiche americane puntavano da tempo. Il gas a stelle e strisce proviene dal cosiddetto shale gas, ottenuto con un pesante impatto ambientale. Le major Usa ne esportano circa 190 miliardi di metri cubi, di cui una novantina via terra verso Canada e Messico e il resto sotto forma di gas liquefatto, usando più di 600 navi metaniere, in larghissima parte di proprietà statunitense. Una porzione rilevante va in Asia e America latina. L’Europa ne importa poco meno di 30 miliardi di metri cubi: una quantità limitata perché preferiva il gas russo, decisamente meno costoso e perché, fatta salva la penisola iberica, dispone di pochi rigassificatori. 

L’Europa importa mediamente in un anno 30 miliardi di metri cubi di gas liquefatto prodotti dagli Stati Uniti. Una cifra che aumenterà sensibilmente.

La guerra in Ucraina ha cambiato questo scenario. Sul mercato di Amsterdam, hub di riferimento per il gas europeo, la speculazione ha portato i prezzi alle stelle e dunque ha reso conveniente il costoso Gnl americano, mentre la decisione politica di ridurre la dipendenza dalla Russia ha imposto la necessità di trovare subito 15-20 miliardi di metri cubi di gas liquefatto per limitare il fabbisogno di 155 miliardi di metri cubi annui che Mosca fornisce all’Europa. In prospettiva, poi, la volontà di comprare gas liquefatto dalle grandi compagnie statunitensi sembra destinata a crescere proprio per erodere sempre più la dipendenza dalla Russia. 

Dunque l’economia Usa trarrà da questa debolezza strutturale europea una serie di vantaggi evidenti; avrà un compratore importante del proprio gas, i cui prezzi è probabile saliranno rapidamente, come emerge dall’andamento registrato sulla piattaforma di quotazione “Henry Hub”. Cresceranno, al tempo stesso, i profitti delle società americane in possesso delle navi metaniere e anche di quelle che affittano le “navi rigassificatrici”. Ci sarà infine tutta la partita della costruzione dei rigassificatori, le cui tecnologie e i cui brevetti sono, in buona misura, nelle mani di società statunitensi. Purtroppo, la guerra può essere un buon affare.

Questo articolo è stato pubblicato su Altreconomia il 1 maggio 2022

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