Grazie alla mobilitazione che suscita, un’elezione presidenziale offre l’opportunità di avere un’immagine precisa del panorama politico francese e delle divisioni che lo strutturano. Un mese fa, le domande aperte erano numerose. Il blocco borghese che ha permesso la vittoria di Macron nel 20171 avrebbe resistito a cinque anni di potere? Come si sarebbe riorganizzata la destra in risposta alla crisi del suo tradizionale blocco di riferimento? L’egemonia della sinistra radicale dall’altra parte dello spettro politico poteva essere confermata e rafforzata? Il risultato del primo turno dà risposte provvisorie, ma molto chiare a tutte queste domande.
Un blocco borghese esteso ai pensionati
Cominciamo dal blocco dominante. È noto da anni che il Macron “oltre destra e sinistra” del 2017 è scomparso dalle scene.
Il presidente capì subito che il profilo di riformatore progressista, che aveva funzionato il tempo di una campagna, gli avrebbe difficilmente permesso di restare al potere. Ha così scelto fin dall’inizio del suo primo mandato una strategia che, non solo sul terreno economico, ma anche su quello delle libertà pubbliche, dei diritti individuali e perfino dell’ideologia, lo colloca interamente nello spazio della destra. Ci si può quindi chiedere fino a che punto questa scelta strategica abbia prodotto una modificazione del blocco sociale aggregato dalla sua azione. La risposta data dal voto del 10 aprile è che il blocco borghese si rinnova in maniera pressoché identica, con una netta preponderanza delle classi superiori, ma con un notevole allargamento verso la categoria dei pensionati (“retraités”)2.
Le variazioni del voto Macron nelle categorie superiori, nelle categorie intermedie e in quelle popolari sono minime. Molto significativa è invece la variazione del sostegno dei pensionati, cresciuto di undici punti (dal 27 al 38%). Questo segnala che la strategia del Presidente ha raggiunto il suo obiettivo: il blocco borghese si è allargato a destra, intercettando una frazione significativa del voto Fillon 2017, che proveniva per più della metà dai pensionati, senza perdere molto a sinistra. Per misurare l’importanza fondamentale dell’allargamento nei confronti dei pensionati, basti notare che essi rappresentano ormai il 43% del voto Macron. Il successo di questa strategia coincide con il fallimento di quelle di Jadot e Hidalgo, candidati dei verdi e del partito socialista, che si sono dati come avversario Jean-Luc Mélenchon nella speranza di intercettare il voto di una borghesia (che ancora immaginavano) di sinistra, che forse avrebbe potuto voltare le spalle a Macron. Il Presidente conserva invece, nonostante il suo spostamento a destra, la maggior parte dei voti che ha ereditato dal partito socialista dell’epoca di Hollande.
Con Bruno Amable avevamo anticipato questa ricomposizione del blocco borghese, ed esitavamo sulla possibilità di rinominarlo per tener conto del suo allargamento a destra. Il risultato del 10 aprile, tuttavia, indica che si tratta molto più di un blocco borghese modificato che di un blocco di destra ricostituito, come mostra chiaramente il voto Macron per classe di reddito.
Ricomposizione dello spazio della destra
Il blocco borghese si è dunque rinnovato, pur posizionandosi chiaramente nello spazio della destra. Questo spazio è molto ampio, quasi il 70% dell’elettorato. La decomposizione del tradizionale blocco di destra lo ha lasciato per un breve periodo in una condizione di forte disorganizzazione, con quattro candidati (Macron, Le Pen, Pécresse e Zemmour) ben piazzati nei sondaggi, e una grande fluidità dell’elettorato. È ovvio che una situazione del genere non era destinata a durare. I quattro candidati facevano certo affidamento su basi elettorali diverse: il blocco borghese per Macron, un blocco con una forte componente popolare per Le Pen, il tradizionale blocco di destra per Pécresse, e un ipotetico blocco di destra ricomposto per Zemmour; ma le loro strategie erano tutte varianti del neoliberismo autoritario. Un’offerta politica con quattro proposte abbastanza simili non era ovviamente da considerare stabilizzata; ma si poteva immaginare che la ristrutturazione dello spazio della destra avrebbe richiesto più tempo delle poche settimane di campagna elettorale.
Il risultato del 10 aprile, invece, dice che la ristrutturazione è già avvenuta. Il tradizionale blocco di destra, che univa una componente popolare e una borghese, e che sapevamo essere in profonda crisi, è definitivamente crollato, trascinando nella sua caduta la candidata dei Repubblicani: Pécresse, che rappresentava il partito che fu di Chirac e Sarkozy, non ha raggiunto il 5%. Il tentativo di Zemmour di ricostruire questo blocco si è concluso con un fallimento. Il candidato razzista aveva immaginato di poter intercettare il sostegno della borghesia di destra attraverso proposte economiche ultraliberali, il che in parte ha funzionato, e il sostegno delle classi popolari che votano per la destra attraverso i suoi eccessi xenofobi e identitari, manovra completamente fallita. Anche quando i sondaggi gli promettevano il 15%, Zemmour (che è poi finito al 7%) ha sempre avuto un elettorato fortemente borghese, il che segnala due cose. In primo luogo, l’idea che il razzismo in Francia sia un fenomeno riservato alle classi lavoratrici è totalmente falsa; d’altra parte, non sono solamente razzismo e xenofobia a spiegare il voto popolare per Le Pen.
In ogni caso, il risultato del primo turno dice chiaramente che il vecchio blocco di destra, che era un’alleanza interclassista, è definitivamente scomparso dal panorama. Al suo posto troviamo due blocchi dalla composizione molto distante, e socialmente complementari: il blocco borghese di Macron e il blocco di estrema destra, più ancorato alle categorie popolari, rappresentato da Le Pen.
Consolidamento dell’egemonia della sinistra di rottura
La frattura del vecchio blocco di sinistra, all’origine nel 2017 del crollo del Partito socialista, aveva portato la sua componente borghese a sostenere Macron. Va ricordato che quasi la metà degli elettori Macron del 2017 aveva votato Hollande nel 2012, si tratta dunque di uno spostamento decisivo per l’affermazione del blocco borghese. Una delle questioni aperte dell’elezione era di sapere se questo cambiamento è strutturale e la risposta è positiva. Era lecito immaginare che il sostegno di cinque anni fa a Macron da parte di elettori provenienti dal PS fosse legato al discredito di Hollande, presidente socialista uscente, e al profilo progressista del candidato Macron di allora; e si poteva dunque legittimamente supporre che al termine di un quinquennio segnato da un brutale spostamento a destra in termini di libertà, diritti, mantenimento dell’ordine e ideologia, almeno una parte di questo elettorato sarebbe stata disposta a fare marcia indietro. È su questo presupposto che Jadot e Hidalgo hanno costruito la loro campagna. Il risultato è inequivocabile: con da un lato Macron chiaramente posizionato a destra, e dall’altro un’offerta politica interamente costruita dai candidati socialista e ecologista per sedurla, la borghesia (ex) di sinistra ha scelto in modo nettissimo il primo. Ciò segnala che per questa frazione della borghesia la garanzia di continuità nella transizione neoliberista e nella traiettoria europea è assolutamente essenziale.
Pertanto, la scomparsa della sinistra di accompagnamento dal panorama politico è da considerarsi duratura. Questa sinistra, che ha promosso la riforma neoliberista proponendosi di attenuarne le conseguenze più dolorose, e che è stata a lungo incarnata dal PS, ha perso il suo pilastro sociale. Si ritrova così nel vuoto, e le lamentele sul voto utile che l’avrebbe indebolita non la aiuteranno a rimettersi in sesto. In primo luogo, perché un elettore che sceglie “utilmente” di votare Mélenchon, aderisce con questo stesso atto a una prospettiva di rottura con il neoliberismo: come indica l’istituto Ifop, l’adesione al programma di Mélenchon riguarda l’80% dei suoi elettori (il livello più alto tra tutti i candidati). Inoltre, perché tutto indica che il voto utile ha giocato nel 2022 meno che nel 2017. Cinque anni fa, quasi un terzo degli elettori di Mélenchon dichiarava di aver esitato con Hamon, il candidato socialista dell’epoca; solo uno su cinque dice di aver esitato quest’anno con Jadot o Hidalgo. Nel 2017, i sondaggi hanno mostrato che l’ascesa di Mélenchon è stata accompagnata da un calo quasi equivalente di Hamon. Niente del genere questa volta: mentre il candidato dell’Unione Popolare è passato dal 10 al 22%, gli altri due hanno perso in tutto circa tre punti. Jadot e Hidalgo, che hanno raccolto insieme solo il 6% dei suffragi, non avevano mai avvicinato il 10% nei sondaggi. E, soprattutto, il totale della sinistra aumenta di 4,4 punti (dal 27,6 al 32%), una progressione esattamente identica a quella del voto per la sinistra di rottura incarnata, oltre che da Mélenchon, dai candidati del Partito comunista, di Lutte Ouvrière et del Nouveau Parti Anticapitaliste. La progressione della sinistra di rottura non si è fatta dunque a scapito del Partito socialista e di quello ecologista.
Il voto per i candidati della sinistra di rottura (Arthaud, Mélenchon, Poutou e Roussel) in base al livello di reddito, dice chiaramente che questo nuovo blocco di sinistra è fondato in larga parte sul sostegno delle categorie popolari.
La questione che si pone ora per la sinistra di rottura non è più quindi più quella di una lotta egemonica contro una sinistra di accompagnamento ormai vinta, ma riguarda la stabilità del blocco sociale su cui essa si basa, e la sua capacità di competere con gli altri due blocchi che strutturano il panorama politico francese.
Da questo punto di vista, le tre alleanze sociali non si trovano nella stessa situazione. Il blocco di estrema destra è nel panorama da molti anni, la sua base è solida; il blocco borghese è ormai il riferimento immediato per gran parte delle classi privilegiate; mentre il blocco della sinistra di rottura è in fase di costituzione. Ad esempio, il 27% degli elettori di Mélenchon afferma di aver scelto all’ultimo momento, contro il 14% per Macron e il 18% di Le Pen. Allo stesso modo, meno della metà (48%) degli elettori di Mélenchon ha preso la decisione con largo anticipo, mentre questa percentuale è del 62% per Le Pen e del 74% per Macron.
D’altra parte, il confronto tra il risultato del primo turno del 2017 e quello del 2022 mostra che l’emergere di questo blocco segue un percorso chiaro e ben individuabile. Se il suo peso aumenta (la somma dei voti di Mélenchon, Poutou, Arthaud e, per il 2022, Roussel, passa dal 21,3 al 25,7%), è grazie a una progressione omogenea in tutte le categorie socio-professionali e a tutti i livelli di diploma. Si tratta quindi di un’alleanza sociale che si rinforza conservando la sua struttura interna, il che è il segno di una costruzione progressiva e non di risultati legati a congiunture occasionali.
Tre poli, due prospettive
Dal primo turno delle elezioni presidenziali è dunque emerso un paesaggio tripolare. Senza offesa per i partiti di sinistra che si sentono penalizzati dal voto utile, è perché esso è stato più importante all’interno del blocco borghese (da Pécresse a Macron) e in quello di estrema destra (da Zemmour a Le Pen) che la sinistra si è ritrovata esclusa dal secondo turno. Il che non è frutto del caso: in una struttura articolata in tre blocchi, l’elettorato ecologista e quel che resta dell’elettorato socialista appaiono divisi nella scelta tra la sinistra di rottura e il blocco borghese.
A termine, ragionando sugli anni che arrivano, questa tripolarizzazione può aprire due prospettive totalmente diverse.
La prima, per la quale lavorano duramente media mainstream e intellettuali di regime, si fonda sul fallimento del tentativo di consolidare ed espandere il nuovo blocco di sinistra. Non v’è dubbio che gli insulti improbabili (“amici dei dittatori”) e le accuse fantasiose (vicinanza all’estrema destra) che hanno caratterizzato la campagna, si moltiplicheranno nei mesi a venire. Questa prospettiva è quella di una transizione riuscita verso il capitalismo neoliberista, con il quale i due blocchi che da soli occuperebbero la scena sono totalmente compatibili. La sinistra scomparirebbe dal paesaggio e aumenterebbe ulteriormente l’astensione, in particolare a causa del ritiro di gran parte delle classi lavoratrici dai meccanismi della rappresentanza politica. Ciò ovviamente non cancellerebbe la sofferenza sociale, che si esprimerebbe solo in manifestazioni che il blocco borghese e l’estrema destra, alternandosi al potere, non esiterebbero a reprimere con la massima brutalità. Questo scenario è tutt’altro che ipotetico, perché caratterizza i capitalismi allineati al modello neoliberista, tra i quali quello italiano.
L’altra prospettiva, per la quale si batte l’Unione popolare, suppone il consolidamento del blocco della sinistra di rottura. Questo blocco si aggrega a sostegno di una visione radicalmente diversa e totalmente alternativa a quella della transizione neoliberista. Di conseguenza, un ulteriore allargamento di questa alleanza sociale, in continuità con la dinamica degli ultimi dieci anni, produrrebbe meccanicamente la centralità nel dibattito dei temi legati al rapporto salariale, ai servizi pubblici, alla fiscalità, alla transizione ecologica, alla protezione sociale. In un conflitto politico strutturato da questi temi, nel quale i periodici e mediatici scontri sul velo islamico o l’identità francese scomparirebbero immediatamente dalla scena, ci accorgeremmo subito che la distanza tra l’azione del blocco borghese e quella del blocco di estrema destra è minima.
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La struttura in tre blocchi del conflitto politico francese appare dunque chiara ma provvisoria. La capacità di consolidare e ampliare il blocco della sinistra di rottura, in particolare mobilitando le classi popolari astensioniste, sarà decisiva per il futuro. In caso di fallimento, la Francia andrà verso un bipolarismo fondato sulla falsa alternativa tra due versioni del neoliberismo; e logicamente, la riforma neoliberista delle istituzioni sociali francesi non incontrerà più alcun ostacolo importante. Se invece la sinistra di rottura saprà stabilizzarsi e rafforzarsi, e da questo punto di vista il risultato del 10 aprile è molto incoraggiante, la Francia andrà verso un bipolarismo completamente diverso, con da un lato la proposta di un’organizzazione produttiva e istituzionale orientata dai principi di solidarietà, uguaglianza e sostenibilità ecologica, dall’altra quella del neoliberismo autoritario. Non sono quindi solo dei risultati elettorali ad essere in gioco nella lotta avviata da Mélenchon e dall’Unione popolare, ma il futuro del sistema sociale francese
Note
1 Si veda Amable, Palombarini : L’illusion du bloc bourgeois. Alliances sociales et avenir du modèle français, Raisons d’agir, Parigi, 2018 ; versione inglese : The Last Neoliberal. Macron and the Origins of France’s Political Crisis, Verso Books, Londra, 2021
2 I dati presentati nei grafici sono tratti da due sondaggi post-elettorali dell’istituto Ifop : « Le profil des électeurs et les clefs du premier tour de l’élection présidentielle », 23 avril 2017, et Ifop, « Présidentielle 2022 – Sondage jour du vote : Profil des électeurs et clés du scrutin (1er tour) », 10 avril 2022.
Stefano Palombarini è insegnante all’Università Paris 8 – Saint Denis e membro del parlamento dell’Union populaire. Questo testo è la traduzione di un articolo pubblicato il 20 aprile 2022 sul blog degli economisti dell’Union Populaire