Sono oltre 8 milioni le persone che in Italia abitano in aree ad alta pericolosità e quasi il 94% dei Comuni è a rischio dissesto e soggetto ad erosione costiera. I dati del Rapporto “Dissesto idrogeologico in Italia: Pericolosità ed indicatori di rischio” a cura dell’Ispra.
Il 93,9% dei Comuni italiani si trova a rischio a causa dissesto idrogeologico per una popolazione di 1,3 milioni di abitanti minacciati da frane e 6,8 milioni da alluvioni. È quanto emerge dal rapporto “Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio” pubblicato dall’Istituto superiore per protezione e la ricerca ambientale (Ispra) in collaborazione con il Sistema nazionale di protezione ambientale (Snpa) il 7 marzo 2022 e relativo alle ricerche compiute nell’anno precedente riguardo la percentuale di territorio, popolazione ed edifici minacciati da frane, alluvione ed erosione costiera. Al dato sulla popolazione fa riscontro anche quello degli edifici. I dati raccolti dal Rapporto dividono in tre livelli di pericolosità -molto elevata, elevata e media- il totale dei 14 milioni di strutture presenti sul territorio. Il rischio elevato e molto elevato riguarda oltre 565mila edifici (3,9%), mentre poco più di 1,5 milioni (10,7%) di strutture edilizie ricadono in aree inondabili nello scenario medio. Le Regioni più colpite sono Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia e Liguria.
In evidenza anche la situazione degli oltre 213mila beni architettonici, monumentali e archeologici presenti in Italia. “Quelli potenzialmente soggetti a fenomeni franosi sono oltre 12mila -sintetizza il Snpa- nelle aree a pericolosità elevata; raggiungono complessivamente le 38mila unità se si considerano anche quelli ubicati in aree a minore pericolosità. I beni culturali a rischio alluvioni -poco meno di 34mila nello scenario a pericolosità media- arrivano a quasi 50mila in quello a scarsa probabilità di accadimento (eventi estremi)”.
Il rapporto esamina anche le cause dei fenomeni naturali. Il territorio italiano risulta particolarmente soggetto per diverse ragioni: le caratteristiche morfologiche, climatiche e geologiche rendono la penisola soggetta all’azione degli eventi atmosferici, ad esempio le aree maggiormente soggette ad alluvioni si trovano in prossimità di coste o fiumi mentre le Regioni montuose risultano spesso a elevato rischio di frane. A questa predisposizione si aggiunge la rapidità dello sviluppo urbanistico, particolarmente intenso a partire dagli anni Cinquanta e spesso realizzato senza una adeguata valutazione del territorio. Il progressivo abbandono delle zone rurali montuose o collinari, invece, ha incrementato la vulnerabilità di diversi territori. Per esempio i terrazzamenti agricoli, molto diffusi in Liguria, se privi di un adeguata manutenzione diventano soggetti all’azione di piogge intense. Infine l’effetto dei cambiamenti climatici sta influendo negativamente aumentando la frequenza di aventi meteorologici estremi, mentre in alta quota l’incremento delle temperature sta causando un degrado del permafrost rendendo così il terreno instabile. Rispetto al precedente rapporto risalente al 2017, si è registrato un incremento del 3,8% del rischio frane e del 18,9% di quello idraulico dovuto principalmente a una migliore conoscenza del territorio.
Il 75% del territorio italiano è montuoso o collinare e di conseguenza risulta soggetto a fenomeni franosi. Il rischio maggiore viene quindi a trovarsi lungo le catene montuose alpine e appenniniche e nelle zone collinari di Sicilia e Sardegna. L’esposizione è classificata su quattro livelli di pericolosità: molto elevata, elevata, media e moderata. La Regione più colpita è la Valle d’Aosta di cui l’81,9% del territorio si trova a livelli di rischio elevato o molto elevato e il 94,9% del territorio è soggetto ad attenzione. Le altre Regioni soggette sono la Provincia autonoma di Trento, la Campania, e la Liguria mentre quelle meno soggette sono Veneto, provincia di Bolzano, Friuli-Venezia Giulia e Calabria con una porzione di territorio coinvolta inferiore al 5%. In totale il 20% del territorio italiano è coinvolto di cui l’8,7% per una pericolosità elevato o superiore. Per quanto riguarda la popolazione, quasi 500mila persone vivono in Regioni a rischio molto elevato, 800mila a elevato, 1,7 milioni in zone classificate con pericolo medio e 2 milioni in moderato e 680mila in zone sottoposte ad attenzione. Sono invece 1,8 milioni gli edifici in pericolo per 400mila strutture legate a imprese con 200mila dipendenti. Una parte importante del rapporto riguarda la tutela dei beni culturali di cui il 17,9% è minacciato dalle frane per un totale di 38mila siti. Sono numerosi i borghi storici interessati da fenomeni franosi negli ultimi anni quali ad esempio la rupe di San Leo in provincia di Rimini è stata colpita da un crollo il 27 febbraio 2014. Il maggior numero di beni culturali minacciato si trova in Campania, Toscana, Marche, Lazio ed Emilia-Romagna.
La seconda parte del rapporto riguarda le aree allagabili sia lungo le coste sia nell’entroterra che vengono classificate in base a tre livelli di rischio: a elevata, media e bassa probabilità a seconda della frequenza con cui possono accadere eventi estremi. Le zone più colpite dal fenomeno si trovano lungo gli argini dei fiumi e in prossimità delle coste. Le Regioni più a coinvolte, con probabilità bassa, risultano essere l’Emilia-Romagna con il 47,3% del territorio soggetto al fenomeno, il Veneto per il 23% e la Toscana per il 21%. La Calabria suscita particolare preoccupazione in quanto è la Regione con la percentuale più elevata di territorio (17%) a rischio elevato. Tra le province più minacciate ci sono quelle di Ferrara in Emilia-Romagna e di Rovigo in Veneto con una superficie allagabile pari a quasi il 100%. Ad essere soggetti ad alluvioni sono più di 12,2 milioni di persone (20,6% della popolazione) che vengono a trovarsi a livello di rischio basso, 6,8 milioni (11,5%) a pericolo medio e 2,4 milioni (4,1%) a elevato, la maggior parte di questi abitano soprattutto nel Centro-Nord. Sono invece 2,7 milioni gli edifici soggetti a una frequenza bassa di alluvioni pari al 18,6% del totale in prevalenza in Emilia-Romagna e in Toscana e di cui 1,1 milioni appartenenti a industrie o servizi. Per quanto riguarda il numero di beni culturali coinvolti il 24,3% si trova in aree a basso rischio, il 16,5% a frequenza media e il 7,8% ad alta pericolosità. Particolarmente interessate sono Emilia-Romagna (55,4% delle opere in uno scenario di pericolosità medio), Liguria (27,1%) e Veneto (18,8%) sia per la loro esposizione sia per la presenza di un ricco patrimonio culturale. La provincia di Mantova, in uno scenario a basso rischio, presenta il 73,8% del proprio patrimonio culturale esposto ad alluvioni. “Per la salvaguardia dei beni culturali, è importante valutare anche lo scenario meno probabile, tenuto conto che, in caso di evento, i danni prodotti sarebbero inestimabili e irreversibili”, ricorda il rapporto.
La terza parte della relazione riguarda lo stato delle coste e analizza la porzione di territorio ritenuta stabile o che ha subito un fenomeno di accrescimento o di erosione. Le Regioni con cui è presente una maggiore attività del fenomeno sono la Calabria con 180 chilometri di coste in avanzamento e 160 in arretramento, la Sicilia con più di 160 chilometri in accrescimento e 140 soggetti a erosione. L’Istituto identifica i tratti costieri più soggetti a modifiche riguardano quelle in prossimità delle foci fluviali come quella del fiume Ofanto in Puglia dove si è assistito a una decisa riduzione del fronte costiero.
In conclusione l’Ispra unisce i dati dei tre fenomeni precedentemente analizzati considerando come particolarmente soggetti al rischio idrogeologico i Comuni che presentano almeno una delle seguenti caratteristiche: pericolosità frane alta o molto alta, frequenza idraulica media o erosione costiera. Su un totale di 7.900 Comuni italiani il 93,9% (7.423) presentano almeno uno dei fattori. Poco più della metà è soggetta sia alle frane sia agli allagamenti. “I dati del Rapporto e la cartografia online rappresentano uno strumento centrale a supporto delle politiche di mitigazione del rischio, per l’individuazione delle priorità di intervento, la ripartizione dei fondi, la programmazione degli interventi di difesa del suolo” conclude lo studio.
Questo articolo è stato pubblicato l’11 Marzo 2022 su Altreconomia