Al centro di piazza Starobazarny, che in italiano suonerebbe come «piazza del vecchio bazar», c’è una grande statua di bronzo che raffigura Ivan Franko, poeta e politico ucraino secondo per importanza solo a Taras Shevchenko.
A POCHI METRI QUALCUNO ha approfittato della giornata di sole per portare i figli al parco giochi della piazza. Un’azione scontata in un fine settimana qualsiasi oggi assume la forza di un atto di resilienza; anzi, se ne potrebbe fare un monumento alla resilienza.
Nelle intenzioni di questi genitori c’è forse il tentativo di illudere i piccoli che ci sia ancora un po’ di normalità o la speranza di accumulare più momenti di gioia possibili. I pochi bambini presenti urlano e si ammucchiano sulle giostre altrimenti vuote e chi viene richiamato per andare via si lamenta come sempre si fa a quell’età.
Dall’altro lato della piazza la realtà della guerra si impone alla vista sotto forma di uomini in fila con boccioni di plastica per fare scorte d’acqua a una fonte pubblica. Sono piuttosto silenziosi, ogni tanto un grido più forte dei bambini sulle giostre gli fa alzare il volto ma nel complesso hanno tutti un’aria seria e un po’ mesta.
SUL LARGO VIALE Oleksandrivs’kyi, occupato al centro da chioschi e bancarelle, c’è pochissima gente e i commercianti aperti sono riuniti in capannelli con i vicini a chiacchierare animatamente, sembrano disinteressarsi del tutto degli affari, consci che oggi tranne i caffè e qualche dolce non si venderà nulla.
Continuando verso il centro i passeggiatori svaniscono e rimangono sporadici gruppi di lavoratori intenti a tappare le vetrate dei negozi con tavole di legno e avvitatori elettrici. Rispetto a ieri se ne notano molti di più e si ha la strana impressione che ci si prepari per un’alluvione più che per una guerra.
Del resto, le immagini di Mykolaiv, Mariupol o Kharkiv non lasciano presagire niente di buono. Non saranno di certo queste tavole di compensato a riparare le vetrate dalle bombe a grappolo, ma forse i vetri non diventeranno ulteriori proiettili letali. Di bombe a grappolo se n’era iniziato a parlare sabato scorso: fonti ucraine avevano dichiarato di averne riscontrato l’uso a Pokrovsk, a nord-ovest di Donetsk.
L’USO DI TALI ORDIGNI per colpire i civili può essere considerato crimine di guerra e il Cremlino l’aveva smentito. Poi ieri, a una settimana di distanza, il portavoce dell’Alto Commissario per i Diritti umani dell’Onu ha fatto sapere di aver ricevuto «relazioni credibili nelle quali si attesta l’uso di bombe a grappolo da parte delle forze russe in diverse occasioni, anche nelle aree abitate».
A corroborare questo report ci sono le testimonianze di molti giornalisti ora a Mykolaiv che, dopo una notte di bombardamenti, hanno girato video e scattato foto dei tipici frammenti metallici che sono sprigionati da tali ordigni e ne hanno ritrovati alcuni inesplosi.
DOPO I MISSILI termobarici dell’ospedale di Mariupol e le bombe a grappolo di Mykolaiv risulta difficile credere ai politici e ai militari russi quando affermano che finora il loro esercito non ha mai puntato a obiettivi civili.
Senza contare i bombardamenti, anche l’uso delle evacuazioni, gli obblighi per le rotte dei profughi, l’interruzione delle forniture di gas ed elettricità per i riscaldamenti, il taglio alle linee idriche e il blocco dei corridoi umanitari senza preavviso, sono comunque un modo di utilizzare i civili per fare pressione sul governo Zelensky.
Nello stesso alveo si inserisce una mossa finora inedita, ovvero il rapimento del sindaco di una città occupata. Ivan Fedorov, primo cittadino di Melitopol, da venerdì è scomparso e sarebbe in mano alle forze russe, stando alle dichiarazioni di Kyrylo Tymoshenko, vice-capo gabinetto del presidente Zelensky. Fonti d’agenzia parlano di un rapimento in stile malavitoso con tanto di blitz e sacchetto sulla testa.
Per tutta risposta oggi una folla di circa duemila persone si è riunita nei pressi del municipio per chiederne la liberazione e, mentre la manifestazione era in corso, a Olga Gaisumova, attivista e organizzatrice della protesta, è toccata la stessa sorte.
Secondo la testata Ukrainska Pravda che cita testimoni oculari, alcuni uomini vestiti di nero e senza mostrine avrebbero lanciato dei lacrimogeni per disperdere il gruppo di testa del corteo e avrebbero poi caricato Gaisumova su un’auto allontanandosi a gran velocità.
Dopo le scene allucinanti di queste due settimane che a molti hanno ricordato i film sulla Seconda guerra mondiale, si passa ai thriller e ai film di gangster, peccato che non si tratti di finzione.
ZELENSKY HA DETTO di aver chiesto a Macron e a Scholz di intercedere per la liberazione di Fedorov: teme che il sindaco possa essere torturato per registrare un video in cui appoggia gli occupanti.
L’argomento dei prigionieri di guerra non è nuovo. Più volte lo stato maggiore ucraino o lo stesso Zelensky hanno dichiarato di avere in mano diverse centinaia di prigionieri russi. Ieri sera il capo di stato ha parlato di «5-600 uomini», dove l’approssimazione si spiega con «il rapido cambiamento degli eventi che influiscono sui numeri».
CHIUDIAMO CON KIEV. La capitale è da giorni ostaggio di un’attesa tremenda, consumata leggendo le notizie che vengono da fuori. Si sa che la metà della sua popolazione, circa due milioni di abitanti, ha abbandonato il centro urbano e ci si aspetta da due settimane un attacco massiccio da parte dei russi. La famosa colonna di mezzi corazzati e uomini di 64 km che una settimana fa era a 25 km dal centro non ha ancora fatto sentire il suo arrivo.
Tuttavia, giorno dopo giorno, gli attacchi sono aumentati di intensità. I bombardamenti hanno colpito le aree intorno al fiume Irpin, a Bucha, all’aeroporto di Hostomel, tutte zone nel quadrante nord-occidentale. Poi c’è stato Vasylkiv, a sud, dove qualche tempo fa era già stata data alle fiamme una raffineria.
Ma la novità, nonostante le dichiarazioni ucraine, sembra essere il fronte orientale. Proprio da Brovary, in particolare da Velyka Dymerka, potrebbero tentare la manovra decisiva le forze russe, approfittando dell’ingaggio delle difese ucraine sugli altri due fronti.
Inoltre, c’è sempre l’eventualità che il leader bielorusso Lukashenko decida di rompere gli indugi (il suo intervento, dato per certo ieri, non è avvenuto) e a quel punto la capitale si troverebbe circondata da tutti e quattro i lati.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 13 marzo 2022